Raccontare in prima persona l’esperienza di un disturbo del comportamento alimentare (DCA), ricevere in risposta le testimonianze spontanee dì tante ragazze alle prese con il mostro, e da molte di queste una sottolineatura importante: per parlarne ci vuole coraggio.

DCA, percorso collettivo e reciproco aiuto

È così che la nostra blogger Costanza Mignanelli ha deciso di trasformare quell’atto individuale in un percorso collettivo di confronto e reciproco aiuto, che passa proprio attraverso il narrarsi apertamente: delle ragazze, già guarite o ancora in cura, ma anche dei loro genitori, che si sentono spess o un po’ colpevoli, corresponsabili o comunque fortemente coinvolti.

Ammettere di avere un problema alimentare è difficile perché ci si vergogna, spiega Costanza. Perché è come ammettere di essere deboli in un mondo di gente più sana e più forte di te – che poi è una percezione falsata proprio dal fatto che chi vive un disagio psicologico spesso lo tace. Parlarne è infrangere la solitudine, scoprirsi meno sol3 di quanto si credesse e anche scoprirsi utili ad altre persone, come monito – perché chi sta scivolando nella patologia spesso rifiuta di riconoscere il rischio a cui va incontro – ma anche, soprattutto, come speranza:

“Noi ce l’abbiamo fatta, potete farcela anche voi”.

Se ne esce ma le cicatrici restano, continua Costanza, resta la vocina interiore che segnala quando la pressione emotiva sale e che va controllata affinché non torni ad essere un urlo. In ogni caso,

“se ne esce diversi da come si è entrati”.

Non più deboli ma anzi più forti e più consapevoli delle proprie risorse, specialmente se come lei si è avuta la fortuna di avere accanto un genitore che lotta a sua volta, che sprona a non lasciarsi andare, che insegna a fare delle scelte. Tra le testimonianze che Costanza ha raccolto nel suo progetto c’è anche lei, sua madre: un rapporto combattuto e ricucito, nel segno dell’ascolto e della comprensione reciproca, della gratitudine e della vita. Nel segno del coraggio.

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