In principio fu Agatha Cristie, con i suoi romanzi gialli e le sue storie di crimini efferati, ad introdurci in un mondo oscuro e allo stesso tempo affascinante, dove ogni indizio ci tiene con il fiato sospeso e la mente si perde nel tentativo di svelare il colpevole. Oggi, invece, abbiamo il true crime.

Ma cos’è che ci spinge a guardare serie tv, divorare podcast e libri che ricostruiscono storie di crimini e misteri irrisolti? Il true crime è diventato uno dei generi più seguiti del momento e il recente successo della serie Netflix Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez ne è la conferma.

Perché il male ci affascina?

Le origini della nostra attrazione per il genere true crime ha radici più profonde di quanto ci potessimo mai immaginare. Risale infatti a quando ancora eravamo dei primati.

Il desiderio, che spesso si trasforma in curiosità morbosa, di comprendere il comportamento deviante di un killer è parte della nostra natura: deriva infatti dall’istinto di sopravvivenza che nei secoli ci ha permesso di decifrare i segnali di pericolo attorno a noi, così da poterci difendere. Questo bisogno primordiale di capire le ragioni alla base del male si è evoluto, manifestandosi nella nostra curiosità verso questo tipo di fatti che apparentemente ci sembrano incomprensibili.

Dalla tv ai social: il true crime è ovunque

Quante volte al telegiornale sentiamo parlare di omicidi in cui il colpevole era stato preso da un raptus di follia? E quante volte abbiamo sentito dire che fosse una persona per bene

Ecco, l’utilizzo di questi termini non è casuale, ma vengono scelti per far scattare un campanello d’allarme in noi che ci possa aiutare ad agire qualora ci trovassimo, malauguratamente, in situazioni simili. 

Le storie di true crime ci offrono una finestra sicura da cui osservare questo mondo oscuro, permettendoci di esplorare il crimine senza doverci confrontare direttamente con il pericolo. In un certo senso, guardare il male da lontano ci rassicura e al contempo ci coinvolge profondamente.

L’ossessione per la cronaca nera non è un fenomeno solo moderno. In Italia, eventi come il caso di Cogne o l’omicidio di Yara Gambirasio, anche questo al centro della serie tv Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio, hanno catturato l’attenzione del pubblico per anni. Molti di voi infatti ricorderanno i giorni in cui i tg parlavano solo di questo, spesso in maniera a dir poco ossessiva.

I programmi di approfondimento, da Quarto Grado a Chi l’ha visto?, continuano a registrare ascolti record, dimostrando che la cronaca nera non conosce declino.

Tuttavia, negli ultimi anni, il true crime si è evoluto, sbarcando sulle piattaforme social dove ha attirato l’attenzione dei giovanissimi.

Un esempio lampante è quello di Elisa True Crime, nome d’arte di Elisa De Marco, una creator che ha saputo trasformare il suo canale YouTube in uno spazio in cui condividere storie di crimini realmente accaduti. Grazie al suo stilo narrativo coinvolgente, Elisa è riuscita a riportare al centro dell’attenzione della sua community casi di crimini più o meno conosciuti per diffondere consapevolezza, come dice lei stessa nell’intro dei suoi video.

L’esperimento di Stanford e l’effetto Lucifero

Il confine sottile tra bene e male citato poco fa emerse chiaramente durante l’Esperimento Carcere di Stanford condotto nel 1971 dal professor Philip Zimbardo, il quale dimostrò la facilità con cui gli esseri umani si avvicinano al male quando sono posti in determinate condizioni sociali.

L’esperimento aveva come obiettivo quello di esplorare gli effetti psicologici sulla vita dei detenuti. Per far ciò, Zimbardo e il suo team trasformarono il seminterrato dell’Università di Stanford in una finta prigione dividendo i partecipanti, tutti studenti universitari, in guardie e prigionieri.

L’esperimento, che inizialmente doveva durare due settimane, venne interrotto dopo soli sei giorni a causa delle gravi conseguenze psicologiche che si stavano registrano sui partecipanti: le guardie cominciarono a manifestare comportamenti sempre più autoritari e violenti, mente i prigionieri svilupparono segni di stress e sottomissione. 

Lo studio condotto da Zimbardo divenne uno dei più famosi e controversi della psicologia sociale, ispirando film, libri e documentari. Riuscì a mostrare come le persone possano adottare rapidamente comportamenti abusivi se posti in situazioni di potere, quello che poi sarà definito l’effetto Lucifero, ovvero la tendenza umana a compiere il male quando il contesto lo favorisce.

Il successo di “Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez

Considerando tutto quello che abbiamo detto finora, è facile capire che il motivo alla base del successo della serie tv Netflix Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez non è casuale.

La storia dei fratelli Menendez, che nel 1989 uccisero brutalmente i loro genitori, fu uno di quei casi che sconvolse l’America e che, ancora oggi, continua a dividere l’opinione pubblica. A fronte di quanto emerse nel processo, all’epoca tramesso in tv, e in virtù delle ultime prove, molti credono nella loro innocenza mentre altri li considerano come dei criminali mossi da una sete di denaro.

In ogni caso, il successo della serie sta nella sua capacità di non esplorare solo i fatti, ma di approfondire anche le dinamiche familiari e psicologiche che hanno portato al compimento del crimine. Lyle ed Erik hanno sempre sostenuto di aver agito per difendersi dagli abusi del padre, e questo elemento introduce un’importante riflessione su temi quali la violenza e il trauma che ne deriva.

Romanticizzare un crimine: è possibile?

L’interesse nei confronti della serie è ulteriormente alimentato da un fenomeno continuamente ricorrente nei casi di cronaca nera, ovvero la tendenza a romanticizzare la figura del criminale. I fratelli Menendez, con il loro aspetto fisico curato e la loro educazione privilegiata, sono stati visti da molti come vittime piuttosto che carnefici, suscitando empatia in una parte dell’opinione pubblica. Questo meccanismo è simile a quanto avvenne in altri celebri casi, come quello di Ted Bundy, un assassino seriale che, nonostante i suoi crimini atroci, fu ampiamente considerato innocente per via del suo aspetto e del suo carisma.

A partire dalla scelta degli attori chiamati ad interpretare tali personaggi, il fascino perverso che si viene a creare porta a umanizzare o persino idolatrare individui colpevoli di delitti atroci e aggiunge complessità al dibattito sulla loro reale colpevolezza. 

Tutto questo ha un impatto enorme: con l’uscita della serie tv Netflix, in America è stato riaperto il caso Menendez.

La storia dei fratelli Menendez, così come tutte le altre storie di true crime, che altro non sono che fatti di cronaca nera, ci portano a riflettere sul fatto che non si tratta solo di osservare criminali diversi da noi, ma di confrontarci con l’idea che il male possa annidarsi anche nelle persone più insospettabili, persino in noi stessi. È questa consapevolezza che rende sia le narrazioni true crime sia l’esperimento di Stanford così inquietanti e rivelatrici.

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