Enrico Ghezzi, “Gli ultimi giorni dell’umanità”: il testamento di una vita dedicata al cinema
Il primo vero lungometraggio di Enrico Ghezzi è una folgorazione, un inno alla vita, in cui il regista si mette a nudo con estremo coraggio.
Il primo vero lungometraggio di Enrico Ghezzi è una folgorazione, un inno alla vita, in cui il regista si mette a nudo con estremo coraggio.
Giunto nelle sale nel mese di maggio, e presentato fuori concorso alla 79ma Mostra d’arte internazionale del Cinema di Venezia, Gli ultimi giorni dell’umanità, distribuito dalla Cineteca di Bologna, è il vero e proprio primo lungometraggio del critico Enrico Ghezzi che ne firma la regia, il montaggio e la sceneggiatura insieme al regista Alessandro Gagliardo.
Opera di ostica collocazione (film saggio, documentario, film sperimentale) e testamento di una vita, sembra riassumere l’amore esagerato, folle, impossibile per il cinema, per la visione.
Come il testo teatrale dello scrittore Karl Kraus, da cui la pellicola prende il titolo, ci si rende conto dell’impossibilità stessa di congegnare un film in senso tradizionale, proprio come è quasi impossibile portare a teatro il testo dello scrittore ceco.
Grazie ad un archivio di immagini e di riprese private che il critico ha iniziato a collezionare dagli anni ’70 fino ad oggi, la vita privata si confonde con frammenti di interviste, di autori, letture di testi letterari, schegge di pellicole tratte dai registi, forse quelli più amati, o da cui ha imparato di più: Guy Debord, Alexander Sokurov, Abel Ferrara, Samuel Fuller, Carmelo Bene, Sam Peckinpah, Bernardo Bertolucci, Straub&Huillet, Syberberg, Wakamatsu ecc.)
Musica, voci, canzoni, testi letterari, più che un film è una vera e propria folgorazione, un inno alla vita.
Se un produttore vedesse la pellicola obietterebbe che manca una storia, ma Enrico Ghezzi e Alessandro Gagliardo propongono, alla stregua di Godard, una storia dell’immagine che diventa pluralista: il gusto per il frammento, l’aforisma.
Alla semplice costruzione di un intreccio si sceglie quasi un approccio rizomatico, per citare il filosofo Gilles Deleuze, in cui i principi di molteplicità, eterogeneità e asignificanza sono i capisaldi su cui si fonda.
Quindi lasciamoci trasportare nel maelström cinefilo che si avviluppa e ci permette di sprofondare e riemergere con nuova consapevolezza.
Enrico Ghezzi si mette a nudo con estremo coraggio in un viaggio in cui la destinazione ci è ignota.
A volte è la pellicola che sceglie la persona, come ricorda Enrico Ghezzi in numerosi interventi, e cosi deve essere: ci si lascia attraversare dai flussi, dalle insidie di un nuovo film che ci descrive, ci attraversa, ne diventiamo assoggettati, perdiamo il controllo, ne siamo attraversati. Forse non è nemmeno la pellicola della vita o la migliore, ma quella che ci descrive, ci plasma, ci sottomette.
Gli Ultimi giorni dell’umanità è un’esperienza unica e, se ve la siete persa, vi consigliamo di recuperarla non appena arriverà in piattaforma.