«Come potete acquistare o vendere il cielo, il calore della terra? L’idea ci sembra strana. Se noi non possediamo la freschezza dell’aria, lo scintillio dell’acqua sotto il sole come è che voi potete acquistarli? Ogni parco di questa terra è sacro per il mio popolo. Ogni lucente ago di pino, ogni riva sabbiosa, ogni lembo di bruma dei boschi ombrosi, ogni radura, ogni ronzio di insetti è sacro nel ricordo e nell’esperienza del mio popolo. La linfa che cola negli alberi porta con sé il ricordo dell’uomo rosso.

Noi siamo una parte della terra, e la terra fa parte di noi. I fiori profumati sono i nostri fratelli, il cavallo, la grande aquila sono i nostri fratelli, la cresta rocciosa, il verde dei prati, il calore dei pony e l’uomo appartengono tutti alla stessa famiglia. (….)  Sappiamo che l’uomo bianco non comprende i nostri costumi. Per lui una parte di terra è uguale all’altra, perché è come uno straniero che arriva di notte e alloggia nel posto che più gli conviene. La terra non è suo fratello, anzi è suo nemico e quando l’ha conquistata va oltre, più lontano. Tratta sua madre, la terra e suo fratello, il cielo, come se fossero semplicemente delle cose da acquistare, prendere e vendere come si fa con i montoni o con le pietre preziose. Il suo appetito divorerà tutta la terra e a lui non resterà che il deserto. (…)

Considereremo l’offerta di acquistare le nostre terre. Ma se decidiamo di accettare la proposta io porrò una condizione: l’uomo bianco dovrà rispettare le bestie che vivono su questa terra come se fossero suoi fratelli. Che cos’è l’uomo senza le bestie? Se tutte le bestie sparissero, l’uomo morirebbe di una grande solitudine nello spirito. Poiché ciò che accade alle bestie prima o poi accade anche all’uomo. Tutte le cose sono legate tra loro. (…) Questo noi lo sappiamo. Tutte le cose sono legate fra loro come il sangue che unisce i membri della stessa famiglia. Tutte le cose sono legate fra loro. Tutto ciò che si fa per la terra lo si fa per i suoi figli. Non è l’uomo che ha tessuto le trame della vita: egli ne è soltanto un filo. Tutto ciò che egli fa alla trama lo fa a se stesso. (…) Sappiamo che l’uomo bianco non comprende i nostri costumi. Per lui una parte di terra è uguale all’altra, perché è come uno straniero che arriva di notte e alloggia nel posto che più gli conviene.

La terra non è suo fratello, anzi è suo nemico e quando l’ha conquistata va oltre, più lontano. Tratta sua madre, la terra e suo fratello, il cielo, come se fossero semplicemente delle cose da acquistare, prendere e vendere come si fa con i montoni o con le pietre preziose. Il suo appetito divorerà tutta la terra e a lui non resterà che il deserto.” 

Queste sono alcune parti del discorso con cui Capo Seattle – capo delle tribù Duwamish e Squamish  risponde, nel 1854, a Isaac Stevens, all’epoca governatore dei territori di Washington, alla richiesta di acquisto della terra appartenente al suo popolo.

Fin da piccola ho sempre fatto il tifo per loro: i nativi americani. Poi ci sono stati libri, film, approfondimenti e, infine, un viaggio sino ai loro luoghi. Lì si è chiuso il cerchio. Ho attraversato con profonda tristezza e vergogna i luoghi che appartenevano a loro, ho capito, guardandomi intorno, quale poteva essere il legame profondo che questi popoli avevano con la loro terra. Più che capito direi che ho sentito.

La tristezza e la vergogna riguardano i danni terribili e irreversibili che l’uomo bianco ha provocato, i colpi mortali che sono stati inferti, la profonda violazione di luoghi che, ancora oggi, nonostante tutto, riescono ad apparire sacri.

Riflessioni su Homo Sapiens e terra

E così partono ancora alcune riflessioni sulla relazione negata da Homo Sapiens con la terra che lo ospita. Mi viene in mente una definizione che potrebbe suonare come una bella cosa, un modo per tutelare le bellezze che ci circondano, siano esse naturalistiche che nate per mano umana: Patrimonio dell’Umanità. Eppure qualcosa non torna, non mi gira bene, non mi suona come le parole di Capo Seattle.

L’uomo non ha intrecciato il tessuto della vita: ne è solamente un filo”.

Non suona bene perché parlare di patrimonio rimanda ancora una volta al concetto di possesso. Il modo in cui noi umani ci rapportiamo al nostro ambiente, agli esseri con cui lo condividiamo, al mondo animale, vegetale, minerale, direi alla Terra, è caratterizzato dal nostro infinito e mai sazio bisogno di possedere. Persino quando ci proponiamo di tutelarlo, lo facciamo in riferimento a noi stessi come al centro di tutto. Il bello diventa qualcosa da possedere. Ripenso anche a Hobbes:

“l’uomo è un animale mosso meccanicisticamente da pulsioni egoistiche”.

Già da allora si capiva dove ci avrebbe portato la nostra bramosia di possesso.

Da questa modalità di relazione, se la vogliamo chiamare relazione, possiamo tristemente declinare alcuni comportamenti umani che sembrano non tenere, in alcun modo, conto dei valori di empatia, cura, cooperazione, condivisione, rispetto e tanto altro, che consideriamo caratteristiche fondanti della nostra stessa umanità.

Ci sono alcuni fatti di cronaca che ci dovrebbero far riflettere, con molta serietà, sui rischi di questa impostazione. Lasciamo, volutamente, da parte gli orrori della guerra, delle guerre che stanno assurdamente affliggendo migliaia e migliaia di nostri simili e soffermiamoci su altre efferate azioni che, purtroppo sempre più numerosi, giovani mettono in atto contro creature indifese, gli animali, insensibili ai segnali di sofferenza che spesso precedono la morte, purtroppo neppure molto ravvicinata.

Leggo di giudici che archiviano il caso. Non è per bisogno, se pur legittimo, di giustizia che mi sembra una scelta non corretta, ma perché mi sembra il segno di un tempo che sancisce il nostro potere sugli altri esseri sino a contemplare come normali delle condotte psicopatiche, condotte così dette a freddo, dove l’empatia è azzerata, la sofferenza dell’altro prevista, ragionata e agita. Agita senza rimorso, senza responsabilità, senza attenzione, se non per il telefonino che riprende la scena di cui in un secondo momento potersi vantare. 

Eppure il nostro stato, il nostro sistema di valori dovrebbe tutelare i più piccoli, i futuri adulti che devono, nel loro percorso evolutivo, imparare a crescere, a far parte della società e perché no, a sapere avere cura degli altri esseri viventi.

Perché queste azioni violente, in realtà, oltre che recare morte e dolore alle vittime malcapitate, producono danni agli stessi autori di reato e spesso sono indicatori, purtroppo inascoltati, di un disagio psicologico importante e che potrebbe, per la maggior parte dei casi, esitare in un vero e proprio disturbo psicopatologico.

In Italia l’associazione link ha prodotto numerosi dati a sostegno della necessità di riconoscere la pericolosità sociale delle condotte in danno a animali agite da minorenni. Gli studi evidenziano anche come tali condotte difficilmente si estinguano nello sviluppo evolutivo dell’adolescente e, anzi, al contrario, tendano a mantenersi e a estendersi, drammaticamente, sugli esseri umani.

Un altro dato molto interessante, a proposito di violenza contro gli animali, ci viene dal CISMAI, il Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia, secondo cui la definizione di violenza assistita per i minori, si amplia sino a contemplare atti di violenza anche sugli animali di affezione. 

Violenze, dati allarmanti

Una violenza inflitta contro un animale, dunque, rappresenta un dato allarmante sotto diversi aspetti, dato allarmante non solo per chi si occupa di tutela degli animali ma anche per chi si occupa di minori, della loro crescita sana e del loro benessere.

Educatori, insegnanti, genitori, giudici, dovrebbero avere una sensibilità tutta particolare per riconoscere e combattere questi atteggiamenti e queste condotte, non sperare che con il tempo passino, non pensare che siano solo delle bravate, sono importanti spie su cui bisogna intervenire tempestivamente. Alla crudeltà va contrapposto il valore della capacità di provare empatia, garanzia di uno sviluppo psicologico armonico ed equilibrato.

L’empatia, ci fregiamo noi umani, rappresenta proprio una delle caratteristiche che più ci rendono umani. Empatia non prevede possesso dell’altro, prevaricazione, senso di superiorità, egoismo assoluto, anzi è proprio l’empatia, insieme all’etica, che ci consente di regolare i nostri stati emotivi in comunione con gli altri esseri viventi. Qualcosa sembra essersi smarrito.

Leggiamo che l’ennesima mamma orsa in Trenino è stata abbattuta, in barba alle proposte fatte da associazioni animaliste che avrebbero garantito la sua sopravvivenza, lontano da quei boschi ormai inospitali e tornano in mente le parole dei nativi americani che sanciscono il nostro profondo legame con i boschi e con gli animali che li popolano. Forse, si potrebbe dire meglio, il loro, perché noi appartenenti al civile uomo bianco questo legame lo stiamo spezzando in tutti i modi possibili.  

Abbiamo bisogno di un pochino di speranza, di invertire la nostra rotta orientata solo dal possesso e dall’egoismo, cambiare prospettiva, come ha fatto Aldo Leopold che da efferato cacciatore, dopo aver visto morire una lupa, aver visto i suoi occhi chiudersi e lasciare tutti i suoi cuccioli orfani, aver visto e assorbito quello sguardo su di sé, è diventato uno dei più attivi e significativi difensori dell’ambiente e ha speso tutta la sua vita a diffondere il pensiero che lo ha reso fondatore dell’Etica della Terra, l’equilibrio tra natura e umanità risiede nella conservazione, non nello sfruttamento insensato delle risorse.

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