Quante volte lo abbiamo visto con il suo corpo tozzo a forma di pera girare nei boschi, in campagna o nei giardini? Quante volte abbiamo evitato i suoi aculei per salvarlo o per accoglierlo nel nostro giardino?  Il riccio, animale solitario e goffo, è ben presente nel nostro conosciuto, e chi ha avuto la fortuna di poter interagire con lui lo ricorda teneramente come un animaletto molto giocoso.

Il riccio è un mammifero, appartiene al genere delle Erinaceidae e non a quello dei roditori, è un animale notturno ed è l’unico insettivoro che da ottobre ad aprile va in letargo.

Il riccio e le streghe

Si nutre di scarabei e dermatteri, bruchi, millepiedi, lombrichi, raramente di giovani topi e piccole uova di uccelli che covano a terra. Non è vero che i ricci rubano il latte dai capezzoli delle mucche ma su questa diceria alcune narrazioni affermavano che le streghe potevano trasformarsi in ricci e succhiare tutto il latte.

Una leggenda tutta italiana sui ricci è raccontata da Antonio Gramsci in una lettera del 22/02/1922 in cui racconta, elogiandone l’astuzia, di come cinque ricci riuscirono a far cadere alcune mele dall’albero e ad infilzarle – stendendosi sui frutti – per sgranocchiarle nella loro tana.

Se è vero che non hanno bisogno, per sopravvivere, di ricevere cibo dagli esseri umani è pur vero che un po’ d’acqua fresca in una ciotola fa sempre piacere e questo gesto gentile non incide sul corretto rapporto tra noi e gli animali selvatici.

Il riccio ha circa 6.000-8.000 aculei che lo proteggono dai predatori,  in caso di pericolo si raggomitola trasformando il suo  corpo in un’impenetrabile palla di aculei. Nel linguaggio quotidiano utilizziamo spesso il concetto di chiudersi a riccio per indicare una persona riservata, talvolta reticente e sulla difensiva verso gli altri.

Il corteggiamento del riccio è lungo e complesso, non a caso si parla di carosello dei ricci, il più delle volte la femmina, al primo approccio, soffia e sbuffa e solo dopo molte insistenze cede.

Il riccio e le culture antiche

Nella società babilonese il riccio era simbolo di Ishtar – dea dell’amore della fertilità – ed anche nella cultura celtica raffigurava la fertilità e la fecondità dato che la sua pancia  striscia sul terreno, determinando, così, una profonda connessione con Madre Terra.

Sono animali pacifici e non hanno difficoltà a interagire con gli umani, amano molto anche i gatti con cui non disdegnano di condividere le crocchette. In Italia è ritenuto un animale protetto e ci sono regole comportamentali ferree sia  in caso di ritrovamento – entro 24 ore, salvo motivi di salute, va portato ai CRAS (Centri Recupero Fauna Selvatica)- sia su quando e come aiutarli. Ad esempio se li vediamo girovagare di giorno (sono animali notturni) significa che qualcosa non va, prima di alimentarli verificare che la pancia sia fredda ed in ogni caso non dargli latte e tutto ciò che non trovano in natura.

I ricci necessitano  di un ambiente naturale complesso come campi aperti con siepi, scorte di fieno, boschetti di rami secchi e margini di boschi di latifogli, frutteti, parchi e giardini Nell’ecosistema dell’insediamento i ricci sono considerati come una specie protettrice, cioè quando si conserva il riccio difendendone l’habitat, si fa del bene anche ad altre specie animali, talvolta rare, con esigenze simili di habitat, fra cui: orbettini, toporagni, codirosso, calabroni, api selvatiche, occhio di pavone e sfinge del galio.

Il riccio, simbolo di ricchezza e fertilità, animale riservato e pacifico, ha una sua discreta eleganza descritta  in modo amorevole e profonda da Muriel Barbery nel suo romanzo  L’eleganza del riccio,

“Madame Michel ha l’eleganza del riccio: fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti”.

Il riccio con la sua celata eleganza, con il suo strumento difensivo (chiusura a riccio) ma non offensivo, con la sua voglia di solitudine ma anche con la sua capacità di interagire in modo giocoso, con la sua peculiarità di specie protettiva ci insegna ad andare oltre le apparenze. In ogni piccolo goffo essere possiamo trovare un mondo da scoprire e amare. E da proteggere.

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