C’è chi ne ha fatto una ricerca, prendendo atto che la stessa specie animale, a seconda della latitudine del Pianeta dove si trova, può essere considerata come buona da mangiare oppure buona da pensare, cioè amata e coccolata (il riferimento va al libro di Marvin Harris, Buono da mangiare, Edizioni Einaudi).

E ci sono Paesi, uno è l’Italia, dove contemporaneamente, a seconda del caso, puoi essere tutte e due le cose, anzi anche una terza, oggetto di esperimenti. 

E’ il caso dei maiali. Tredici milioni circa ogni anno macellati per le tavole, oltre 1.500 utilizzati da laboratori di vivisezione – in particolare per xenotrapianti senza alcuna utilità per i malati umani – così come diverse migliaia, non vi sono cifre attendibili, che vivono in giardini e recinti di privati e associazioni, salvati o comunque considerati d’affezione.

Un numero quest’ultimo certamente in crescita, emerso in particolare in alcune zone come Piemonte e Liguria a inizio dell’anno, quando sono stati registrati alcuni casi di peste suina africana e questi animali erano stati condannati a morte come i loro cugini negli allevamenti zootecnici.

Non per pericolo della malattia, che non è trasmissibile agli umani, ma per motivi economici, per non chiudere le frontiere alle esportazioni di prosciutti e bistecche poichè anche i prodotti da animali ammalati, anche una singola fetta di prosciutto, possono trasmettere invece la patologia ad altri suidi.

Così sull’onda delle proteste, e del buon senso, il Ministero della Salute a inizio febbraio aveva fermato l’uccisione dei maiali sani non tenuti a scopo di lucro per poi scrivere a maggio che un privato al massimo ne avrebbe potuto tenere due (di numero). E quindi cosa fare degli altri?

Come sta cambiando la
considerazione di una specie,
dalla macellazione alle coccole

Sull’onda della mobilitazione a difesa della Sfattoria degli Ultimi a Roma, rifugio di suini e cinghiali, colpito nell’agosto scorso dall’ordine di abbattimento di oltre 140 animali sani emanato da una sorda Asl Roma 1, la Direzione Generale del Ministero è tornata intelligentemente sui suoi passi e, finalmente, un mese fa il TAR del Lazio ha accolto il ricorso, scrivendo una innovativa pagina del diritto animale.

Il provvedimento dell’organo veterinario della Regione è stato annullato in quanto illegittimo per contraddittorietà, difetto di istruttoria e difetto di motivazione – analogamente al parere del Ministero della Salute e del Commissario straordinario alla peste suina – contestualmente tracciando un quadro di principi destinati ad operare ogniqualvolta si renda necessaria l’adozione di provvedimenti nei confronti di animali ospitati presso strutture quali rifugi e santuari.

In primis è stato riconosciuto ancora una volta il diritto delle associazioni animaliste di costituirsi in giudizio, quindi il valore culturale ed educativo degli animali salvati come dettato dal Regolamento europeo 687 del 2020

“sulla base di una ponderata e motivata valutazione, la Sfattoria degli ultimi (…) rivesta effettivamente un’elevata funzione educativa e culturale, rilevante ai fini del riconoscimento della deroga invocata. E, infatti, attraverso l’attività di salvataggio e cura di animali in difficoltà e quindi di tutela degli stessi, si educa al valore del rispetto per gli animali

e  soprattutto è stata citata per la prima volta in una sentenza della giustizia amministrativa, l’integrazione dell’articolo 9 della Costituzione in vigore dal marzo scorso. Per il TAR la norma costituzionale, tra i principi fondamentali della Repubblica, “garantisce la centralità e la statualità della disciplina di tutela degli animali” in continuità con l’orientamento della normativa europea tracciato a partire dall’articolo 13 del Trattato sul Funzionamento dell’UE, e richiede un continuo impegno da parte degli operatori affinché possa essere effettivamente declinata in ogni ambito di applicazione e contemperata solo alla luce di altri valori equiordinati.

Una vittoria per tutti i rifugi e santuari di animali, una vittoria per chi – sempre più persone – intende convivere con un animale domestico, di casa appunto, come amico.

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