“Imagine” di John Lennon, l’utopia dimenticata in un mondo senza pace
Era l'11 ottobre 1971 quando John Lennon, con una semplicità disarmante, ci consegnò "Imagine", capolavoro immortale
Era l'11 ottobre 1971 quando John Lennon, con una semplicità disarmante, ci consegnò "Imagine", capolavoro immortale
L’ode alla pace di John Lennon, Imagine, echeggia ancora oggi, dopo più di cinquant’anni, come un’utopia irraggiungibile. Mentre il mondo continua a dividersi, il messaggio di fratellanza universale sembra svanire, lasciando spazio ad un’amara riflessione: abbiamo davvero perso la capacità di sognare?
Era l’11 ottobre 1971 quando John Lennon, con una semplicità disarmante, ci consegnò Imagine, un capolavoro immortale, un inno alla pace, all’amore e alla fratellanza universale. Un sogno così audace da sembrare irrealizzabile.
“Immagina non ci siano nazioni, niente per cui uccidere e morire, e nessuna religione.”
Frasi semplici, dirette, quasi innocenti, ma anche ferocemente provocatorie. E oggi, ad oltre mezzo secolo di distanza, suonano come una voce sbiadita, mentre il mondo procede nella direzione opposta.
Non era una canzone, era una visione. Un manifesto politico nascosto in una dolce melodia, in grado di sfidare i dogmi di un mondo che, oggi come allora, non ha mai smesso di dividersi e massacrarsi per confini, ideologie e religioni. Ma quanti sono ancora consapevoli del peso reale di quelle parole? Quanti le sentono con la stessa passione con cui furono scritte. Forse, e lo dico con amara ironia, abbiamo perso la capacità di sognare.
Non c’è bisogno di scavare troppo a fondo per capire quanto il mondo del 2024 sia distante dalla visione utopica di John Lennon. Gaza, Israele, Libano, Ucraina: nomi che riecheggiano quotidianamente nei notiziari, simboli di conflitti che sembrano non avere fine. E la lista potrebbe continuare senza sosta. Gli stessi confini che la canzone Imagine ci invitava a immaginare inesistenti sono oggi più marcati che mai, tracciati con il sangue, imposti con la forza e giustificati da nazionalismi che alimentano divisioni anziché sanarle.
È più facile immaginare l’apocalisse che la pace. Le immagini di distruzione scorrono incessantemente sugli schermi, anestetizzandoci ad una violenza che sembra ormai parte integrante del quotidiano. I leader mondiali parlano di pace mentre stringono accordi economici e militari che alimentano le fiamme dei conflitti. L’industria bellica prospera e, nel frattempo, i confini si alzano sempre di più.
John Lennon, con la sua visione quasi ingenua, ci ha consegnato un sogno collettivo: l’idea che potessimo tutti
“vivere la nostra vita in pace“.
Lo aveva detto senza troppi giri di parole: Imagine è una canzone antireligiosa, antinazionalista, anticonvenzionale e anticapitalista. Un brano che non lascia spazio alle interpretazioni facili, né alle rassicuranti banalità che spesso accompagnano le discussioni sulla pace e l’amore universale.
Spiegava il senso profondo della sua canzone con una frase che suona oggi quasi profetica:
“Prima di tutto bisogna pensare a volare, poi si vola. Concepire l’idea è la prima mossa”.
Ma il mondo non ha mai fatto quel passo. Al contrario, ha deciso di restare ancorato a terra, ai suoi confini nazionali, alle sue divisioni, alle sue convenzioni e, soprattutto, al suo amore per il denaro. E così, Imagine resta una bellissima ballata, ma non è mai diventata quel manifesto di cambiamento che Lennon aveva immaginato.
La canzone resta, le parole vibrano ancora, ma il mondo che raccontano sembra un pianeta alieno, lontano anni luce da quello che oggi conosciamo.