“Now and Then”, l’ultimo singolo dei Beatles e la rivoluzione dell’intelligenza artificiale
"Now and Then", l'ultimo singolo dei Beatles realizzato da Paul e Ringo a partire da un demo di Lennon per voce e pianoforte.
"Now and Then", l'ultimo singolo dei Beatles realizzato da Paul e Ringo a partire da un demo di Lennon per voce e pianoforte.
Il 2 novembre alle 15.00 la lunga attesa era finita. Avremmo potuto ascoltare l’ultimo singolo dei Beatles, Now and Then, realizzato da Paul e Ringo a partire da un demo di Lennon per voce e pianoforte. Ultimo nel senso di più recente ma anche di last: con questo singolo la discografia ufficiale dei Beatles dovrebbe essere conclusa.
Già nel 1994, all’epoca della monumentale impresa di Anthology, Paul, George e Ringo avevano pubblicato due nuovi inediti a firma Beatles, entrambi provenienti da demo registrate da John: Free As A Bird e Real Love. La novità, sbandierata forse con eccessiva leggerezza, era che stavolta si ci sarebbe serviti dell’intelligenza artificiale per portare a termine la missione.
Una parte dei fan e dell’opinione pubblica ne rimase scioccata al punto da costringere McCartney a un chiarimento, alquanto ovvio a dire il vero: l’intelligenza artificiale non avrebbe composto o eseguito nulla, la canzone sarebbe stata registrata in modo tradizionale. Piuttosto, come già accaduto per il docu-film Get Back – l’eroica impresa con cui Peter Jackson ha restituito al pubblico ore e ore di girato inedito risalente all’epoca di Let It Be – l’intelligenza artificiale doveva servire a ripulire il materiale, ricostruirlo in digitale e renderlo maggiormente fruibile e godibile.
La voce di Lennon andava infatti estratta dal nastro, eliminando non solo l’accompagnamento di pianoforte ma anche l’inevitabile fruscio legato all’usura della cassetta originale. Chi ricorda il cantato spettrale di Lennon in Free As A Bird, uscita quando questa tecnologia non era ancora disponibile, saprà cosa significa provare a inserire una voce registrata con strumenti analogici in una produzione pop-rock moderna e digitalizzata.
Il brano di Lennon era già stato elaborato durante le sessions di Anthology ma non se ne era fatto nulla. L’impresa sembrava allora particolarmente complessa non solo da un punto di vista tecnico-materiale ma anche tecnico-compositivo. Il brano abbozzato da Lennon aveva una struttura non ben definita soprattutto da un punto di vista armonico. In particolare era presente un pre-chorus che, nonostante fosse melodicamente molto toccante e armonicamente interessante, spezzava l’andamento del brano rendendolo più lungo e farraginoso.
La maestria compositiva di McCartney gli ha probabilmente suggerito di eliminarlo e rendere più fluida e centrata la composizione di Lennon. Ne è venuto fuori un pezzo veramente toccante, un addio pieno di nostalgia e amore che chiude degnamente una discografia pressoché perfetta. L’arrangiamento in pieno stile beatlesiano, nonché l’orchestrazione di Giles Martin – figlio del loro storico produttore George – restituiscono un’immagine eterna quasi iconica del quartetto. Sono stati inseriti, come omaggi o citazioni (oggi si direbbe Easter eggs) riferimenti più o meno espliciti al loro repertorio: dai cori di Because utilizzati durante l’assolo alla chiusura in 3/4 che ricorda celebri e analoghi cambi di tempo in We Can Work It Out o She Said She Said.
Non tutti sono rimasti soddisfatti del risultato. Gli elementi critici sono stato soprattutto due: uno relativo al missaggio e al mastering, l’altro relativo alla scelta di omettere parti del brano originale di Lennon (e l’idea di aggiungere invece una lunga parte strumentale non presente nella demo).
Per quanto riguarda il primo punto si può convenire che il mix non sia all’altezza delle aspettative. Io stesso ascoltando la canzone la prima volta ho avuto la sensazione che qualcosa non andasse, pensavo ci fosse un eccesso di orchestrazione o comunque troppe sovraincisioni che snaturavano l’elegiaca semplicità della composizione lennoniana.
Ma una serie di video di analisi e perfino di esperimenti fatti dai fan con dei missaggi alternativi mi ha convinto che il problema non fosse l’arrangiamento quanto un’eccessiva compressione del master finale: in sostanza l’onda sonora risulta schiacciata e si perdono completamente le dinamiche, gli intrecci tra gli strumenti ecc. Una scelta che potrebbe andar bene per un pezzo trap ma che qui è decisamente incomprensibile.
L’altra critica, come ho già detto, mi pare meno centrata. Il pre-chorus della canzone originale non poteva essere mantenuto senza rendere inutilmente complicata armonicamente e melodicamente la canzone finale. Qualcuno ha provato a reinserire questa parte della canzone come un bridge, quindi una parte a sé stante prima del secondo ritornello.
L’esperimento è senz’altro interessante, la voce di Lennon qui è magnifica, la sequenza armonica, che come pre-chorus risulta ondivaga e poco incisiva, qui splende in tutta la sua magnifica pensosità. Ma in questo modo è l’assolo finale che appare di troppo. E si tratta di una scelta che snatura in un altro senso il brano: McCartney ha infatti scelto di eseguire un assolo slide in stile Harrison, trasformando così la canzone in un doppio omaggio (e se pensiamo a quanto hanno pesato le divergenze tra Paul e George rispetto agli arrangiamenti di chitarra nell’ultimo periodo dei Beatles questa scelta appare particolarmente toccante).
L’assolo presenta una struttura armonica interessante: le modulazioni hanno qui lo stesso senso intimistico ed emozionale che hanno nel pre-chorus lennoniano originale ma risultano decisamente più a fuoco.
Ciò che colpisce di più in questa vicenda è l’importanza che l’AI vi svolge, ulteriore segno della capacità dei Beatles di essere sempre al passo coi tempi, di registrare i mutamenti profondi dell’epoca.
Non mi riferisco però solo all’uso dell’AI da parte dell’entourage dei Bealtes ma soprattutto di quello popolare, dal basso che ha tentato di migliorare – talvolta riuscendoci egregiamente – il risultato finale.
In effetti, l’uso dell’AI dall’alto sponsorizzato dal machine learning del regista Peter Jackson non è esente da pecche. Il video musicale che accompagna Now and Then, ad es., fa un uso dell’AI molto discutibile: se far interagire sullo schermo i vecchi Beatles e quelli giovani, recuperando materiale inedito d’archivio, può essere a tratti commovente e divertente, l’effetto complessivo non è esteticamente convincente. Si scade spesso nel kitsch e l’uso dell’AI appare qui un mero trucco per stupire ed emozionare a buon mercato. Tra l’altro il video ricalca, peggiorandola, un’idea che i Beatles avevano già utilizzato negli anni ’90 per il video di Real Love.
È stupefacente invece cosa possa fare l’AI in mano alla collettività. Mi è capitato spesso di ascoltare queste versioni alternative di Now And Then e di trovarle migliori dell’originale. Questo sforzo creativo collettivo ci fa comprendere cosa potrebbe essere l’AI se invece di uno strumento nelle mani delle classi dominanti diventasse strumento di appropriazione collettiva della ricchezza. Quella materiale ma anche quella creativa.
E se questo ci fa almeno in parte perdere l’idea dell’artista creatore o addirittura di un’opera originale sacra e inviolabile, piombandoci in un mondo a n dimensioni di copie e rivisitazioni, dall’altro sembra portare a compimento la fine di un’epoca eroica della musica pop di cui gli stessi Beatles sono stati iniziatori: l’epoca di un’industria discografica costruita attorno ai talenti di quattro ragazzi che avevano avuto la pretesa di scrivere ed eseguire le proprie canzoni ed imporre il proprio stile al mondo.
Ma non è la tecnologia la causa della fine di quest’epoca. Sono i cambiamenti sociali ed economici globali a rendere obsoleta quell’idea di industria musicale già messa in crisi dallo streaming e da una miriade di artisti che producono e distribuiscono oggi la propria musica in autonomia, utilizzando i social e altri canali alternativi.
La ristrutturazione dell’industria discografica subirà così un’ulteriore accelerazione dall’uso dell’AI. Se si tratterà di un uso progressivo, emancipativo, oppure reazionario, oppressivo, dipenderà solo dalla lotta che i lavoratori nel mondo dello spettacolo e all’esterno sapranno opporre allo strapotere del profitto.
E questa lotta andrà avanti fino al giorno in cui non accadrà più che
“un uomo debba spezzarsi la schiena per guadagnarsi il suo giorno di riposo”
(“Girl”, Beatles).