Quintiliano non fu solamente un autore latino, anzi, fu il primo vero “insegnante statale”: infatti, l’allora Imperatore Vespasiano gli affidò la prima cattedra remunerata (profumatamente) di retorica a Roma. Quindi l’autore ha dedicato tutta la sua vita alla scuola in una prospettiva nuova per la sua epoca e più vicina a noi.

Secondo molti, benché l’Institutio Oratoria – l’opera più importante di Quintiliano – non possa definirsi un testo propriamente “pedagogico” contiene, infatti, principi sull’educazione preziosi anche per noi al giorno d’oggi.

La “docendi ratio” di Quintiliano

Nell’opera di Quintiliano è possibile identificare aspetti salienti della cultura latina e dell’istruzione. L’autore esprime la sua “docendi ratio”, ovvero il suo metodo di insegnamento, inerente soprattutto alla retorica, insegnata nelle scuole che noi chiamiamo “superiori”. L’educazione dei Romani era infatti articolata in istruzione elementare (dove il ludi magister insegnava a leggere, scrivere e far di conto), istruzione media (dove il grammaticus insegnava letteratura e lingua greca e latina tramite classici, primo fra tutti Omero, ma anche storia, geografia, fisica e astronomia) e infine la superiore dove un rhetor (retore) insegnava la retorica.

Lì venivano insegnate le declamationes, ovvero gli allievi erano istruiti a fare discorsi nei tribunali o comunque a padroneggiare la retorica. Spesso avvenivano gare di retorica anche su argomenti controversi o del tutto distanti dalla realtà; pertanto, era all’ordine del giorno che potesse essere più importante la forma del discorso che il contenuto. Questa è la principale critica che Quintiliano muove al sistema scolastico a lui contemporaneo: insegnare delle declamazioni retoriche, molto in voga, ma del tutto prive di utilità morale e soprattutto di contenuto. Si tratta unicamente, quindi, di virtuosismi di parole che poco hanno da insegnare e soprattutto da comunicare.

La “pedagogia” dell’Institutio Oratoria

Quintiliano è stato a buon diritto definito un precursore della moderna pedagogia per diverse teorie per l’epoca rivoluzionarie: la difesa della scuola pubblica, l’affermazione della necessità di un’educazione fin dalla prima infanzia, il rifiuto dell’abuso di punizioni corporali preferendo invece a queste il gioco, ecc.

Che poi gli alunni siano percossi, benché ciò sia accettato e Crisippo non lo disapprovi, non lo vorrei affatto, innanzitutto perché è sconveniente e da schiavi e certamente (cosa su cui si è d’accordo se cambi età) un’offesa: poi perché, se in qualcuno c’è un animo così illiberale da non essere corretto col rimprovero, costui anche di fronte alle percosse, come tutti i peggiori schiavi, non si piegherà: infine perché non ci sarà neppure bisogno di questa punizione se sarà presente un assiduo controllore degli studi. Ora quasi sempre per negligenza dei pedagoghi sembra che le correzioni vengano applicate in modo che i bambini non siano costretti a fare le cose che sono giuste, ma vengano puniti perché non le hanno fatte.

Quintiliano, Institutio Oratoria I, 3

Nell’Institutio Oratoria il magister delinea alcune caratteristiche del docente, ma prima di tutto si inserisce nel dibattito sulla decadenza dell’oratoria, poi proseguito da Tacito nel suo Dialogus de oratoribus e affrontato in generale da tanti altri autori latini di età imperiale come Seneca e Petronio. Spiega le ragioni che, secondo lui, hanno portato a un lento benché inesorabile peggioramento dell’arte dell’eloquenza, prima tra tutte il modo in cui questa veniva insegnata nelle scuole.

Anche se apparentemente Quintiliano si occupa della formazione dell’oratore, infatti, nella sua lunga opera comunque delinea aspetti fondamentali per l’istruzione, partendo dalla critica alle declamazioni. Secondo il magister, il punto di istruire alla retorica è, infatti, legare quanto si apprende a scuola a cose concrete e all’esperienza (come non pensare al moderno learning by doing di John Dewey?), mentre come detto che le declamazioni erano molto lontane dalla realtà. Soprattutto, l’autore sottolinea come oltre alla forma bisogna occuparsi del contenuto; lo scopo di tale formazione è costruire non solo un modo che sappia parlare, ma anche una persona con un pensiero critico, per non dire qualcuno di forte integrità morale. Una scuola, quindi, che insegni prima di tutto a essere bravi cittadini e brave persone, contrapponendo al saper fare il saper essere.

Il ruolo del magister: un uomo buono

La stessa figura dell’oratore e quindi del docente deve essere un “vir bonus dicendi peritus”, massima che Quintiliano riprende da Catone e Cicerone e che significa “uomo buono, esperto nel dire”. Probabilmente l’insegnamento più importante che possiamo imparare dall’autore, in quanto lega il concetto di parola con quello di moralità. Il punto dell’istruzione e della parola soprattutto non è insegnare a sapere parlare bene e basta, come nella vuota retorica, ma formare uomini onesti.

Quintiliano delinea per questo le caratteristiche del magister, alcune delle quali ci stupiscono per la profonda modernità. Innanzitutto, per Quintiliano il primo elemento fondamentale del docente è che questo sia un uomo onesto, che possa insegnare principi morali che egli stesso possiede; inoltre, è dovere del docente comunicare in modo chiaro ed efficace, ma senza cadere nella tentazione della manipolazione.

Personalmente [il magister, ndr.] non abbia vizi né li tolleri. La sua severità non sia arcigna, la sua affabilità non sia eccessiva, affinché non si generi dall’una l’odio, dall’altra disprezzo. I suoi discorsi più frequenti siano sull’onestà e il bene; infatti quanto più spesso ammonirà, tanto più raramente castigherà. Non sia per nulla irascibile, e tuttavia non finga di non vedere i difetti da correggere; semplice nell’insegnare, resistente alla fatica, costante piuttosto che troppo esigente. A quelli che gli pongono domande risponda volentieri, e interroghi di propria iniziativa quelli che non gli chiedono nulla. Nel lodare le esercitazioni dei discepoli non sia né (troppo) severo né (troppo) generoso, perché il primo sentimento suscita avversione per il lavoro, il secondo (eccessiva) sicurezza. Nel correggere quei difetti che dovranno essere corretti non sia aspro né tantomeno offensivo; infatti proprio questo allontana molti dal proposito di studiare, cioè il fatto che alcuni rimproverano come se odiassero. Egli personalmente dica ogni giorno qualcosa, anzi molte cose, che gli scolari possano portare via con sé. Sebbene infatti possa fornire attraverso la lettura sufficienti esempi da imitare, tuttavia la cosiddetta “viva voce” nutre più abbondantemente, e specialmente quella di un insegnante che i discepoli, solo che siano bene istruiti, amano e rispettano.

Quintiliano, Institutio Oratoria, X, 2

Alcune di queste teorie ricordano in maniera sorprendente le barriere della comunicazione teorizzate da Thomas Gordon. Egli ha elaborato un modello educativo centrato sulla comunicazione e sulla relazione, basato sulla fiducia che l’insegnante deve avere nel potenziale dell’allievo per facilitarne l’apprendimento. Secondo Gordon, l’educazione è un processo autogestito, atto a sviluppare nel discente una maggiore comprensione di sé stesso. In tale processo, l’educatore è un facilitatore che deve quindi agevolarlo. La stessa concezione appartiene a Quintiliano, una fonte antica e classica da cui possiamo ancora imparare.

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