Sono allibita dalle recenti notizie che leggo sui giornali. Resto ogni volta sconcertata dalla violenza e dalla disumanità che sento quotidianamente nel parlare di relazioni tra persone. 

Mi sconvolge anche parlare con adolescenti e notare come per molti di loro siano normali temi di dialogo, storie che tutt* loro hanno vissuto almeno una volta nella vita (di già!). In realtà, non solo gli adolescenti.

Durante l’anno scolastico ho la fortuna di entrare come psicologa e sessuologa in varie scuole della mia città, Verona, dalla scuola primaria alle superiori con diversi progetti, e ho la preziosa occasione di portare avanti e spargere la mia grande passione, l’educazione alla sessualità.

Avrei mille storie da condividere, ma qui vorrei parlarvi proprio delle splendide persone che incontro alle superiori e, in particolare, vorrei entrare nel mondo dell’educazione al consenso e di come questa sia spesso (purtroppo) data per scontata.

L’importanza di un sì volontario e libero

Mi collego subito alla importante campagna #iolochiedo portata avanti da Amnesty International Italia, che invito tutt* a seguire e proporre in ogni occasione possibile e che lavora da un punto di vista di educazione e di legislazione. 

Chiedo poi a tutt* di portare l’attenzione alla sfera sessuale, la propria o quella di altre persone, e di riflettere sul modo in cui comunichiamo un . Quante volte non abbiamo espresso verbalmente la nostra intenzione?

Solo un è un , tutto il resto lascia spazio a interpretazioni di comportamenti o di altre parole dette. Il consenso è l’esposizione di un volontario e libero, in risposta a una domanda su qualsiasi argomento: sni, ni e forse non manifestano assenso. 

Vi racconto questo episodio, capitato a una mia cara amica (adulta eh, poco meno di trent’anni, single, eterosessuale). Una sera esce con un gruppo di amici e amiche per partecipare ad un evento in paese. Lì incontra per caso un amico di vecchia data (erano a scuola assieme alle medie, giusto qualche anno prima!) e finiscono a chiacchierare e a bere qualcosa insieme.

Nel caos della sagra perde il gruppo con cui era uscita a inizio serata e lui gentilmente si offre di riaccompagnarla a casa in macchina. Senza che ci fossero allusioni a livello sessuale lei accetta, ringraziandolo. Premetto che lei è una ragazza molto bella e curata, si veste bene, mette anche gonne corte e top scollati, ma è una cosa che fa regolarmente per sé stessa e un abbigliamento non è, e non può essere in alcun modo, considerato un’epressione di consenso

Ma andiamo avanti: arrivano sotto casa di lei e lui agisce.

«Mi è saltato addosso prima che scendessi, mi ha baciata e io non volevo, e non avevo mandato alcun tipo di messaggio malizioso o roba simile».

A casa poi lei, scioccata, mi ha raccontato di essersi pure fatta un esame di coscienza, perché non capiva se era stata lei a provocare in qualche modo questo comportamento, se vi erano stati fraintendimenti nel suo agire (sottolineiamo anche come la mentalità patriarcale ancora ci metta nella posizione di essere noi le femme fatale istigatrici).

«Quando poi ho preso le distanze, ha fatto la faccia da cane bastonato e mi ha chiesto se volevo che ci spostassimo per fare altro, perché appunto eravamo sotto casa mia. Io gli ho detto di no più volte e lui ha insistito, ma solo verbalmente ecco, e poi mi ha detto pure: Beh mi vuoi dire che tu non ci avevi pensato mentre stavamo tornando?”». 

Senza aggiungere altri commenti (la storia si commenta da sola) facciamo la domanda magica: c’è stato consenso? NO. Anzi, qui proprio non c’è stata nemmeno la minima richiesta verbale ma solo un uomo che si è sentito autorizzato a un comportamento perché pensava, dava per scontato che fosse condiviso. O forse il problema non se lo è nemmeno posto.

Queste scene sono comuni anche alle superiori, tra ragazzi e ragazze dai 16 anni in su. Ho avuto l’occasione quest’anno di far parte di un progetto di due insegnanti bravissime di un istituto superiore, che hanno preso in mano l’educazione al consenso a 360 gradi e hanno chiesto a me di affrontare la parte relativa alla sessualità.

La voglia di raccontarsi di questa classe mi ha davvero sorpresa, ma ancor di più sono rimasta sbalordita (non in senso buono però) dalle loro esperienze. Una in particolare merita attenzione: un’amica di una di loro era stata in discoteca con un gruppo di amici e conoscenti, aveva bevuto un po’ troppo (forse), era stata accompagnata in un parcheggio e, in questo stato di semicoscienza aveva amoreggiato con il tipo che poi l’ha lasciata lì in piena notte, da sola, in questo stato. Ovviamente ha chiamato i genitori raccontando tutto (anche per tornare a casa viva), ma anche qui mi chiedo dove sia il confine tra il consenso e le molestie normalizzate

Foto di Nadine Shaabana su Unsplash

Un gesto come questo e come altri raccontati sono invasioni del corpo non autorizzate, sono abusi. Ogni persona deve rispettare le altre e sentirsi libera di accettare o rifiutare una qualsiasi avance o proposta.

Il consenso sessuale deve essere sempre inequivoco, libero, consapevole, reciproco, informato, dato in modo cosciente e non in stati di alterazione da droghe o alcool, non estorto con la forza o minacce o con l’inganno, e soprattutto dobbiamo ricordarci che è sempre revocabile. Certo, si può cambiare idea, anche se si era detto di sì.

Insegnare il consenso alle future generazioni

Dobbiamo insegnare il consenso fin dall’infanzia ai/alle nostr* figl*, nipot*, pargol* di amiche. È una cultura che si costruisce un pezzo alla volta, prima di tutto con l’educazione. Abituiamoci a sottolineare quali sono i comportamenti corretti e a chiedere, anche se si tratta di un semplicissimo bacio o abbraccio, cosa ne pensa la persona che abbiamo davanti.

Vi invito a seguire la magnifica collega Giulia Marchesi con la sua pagina Instagram @se4sexeducation nel progetto/webinar L’albero del consenso, assieme a @mammafrau, in cui offrono una guida su come iniziare a parlare di consenso fin dall’infanzia e molti altri spunti. E date un occhio anche al video Consent is simple as a tea

“Posso darti un bacio?”, non mi sembra una cosa così impossibile da dire. 

Ci vuole rispetto.

L’autrice di questo articolo è Giorgia Fasoli, psicologa e sessuologa clinica. Si occupa anche di educazione alla sessualità nelle scuole. Il suo libro Ben venga il piacere (le plurali editrice, 2022) demolisce stereotipi e tabù sulla sessualità delle donne.

Condividi: