L’allestimento del Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano da giugno si è arricchito di un nuovo reperto, se così lo possiamo chiamare, davvero strepitoso.

Si tratta di una tomba di una ragazza che oggi avrebbe 2800 anni circa. Riportata alla luce attraverso un sapiente, accurato e delicato scavo archeologico durato molti mesi, questa giovane ragazza ci racconta di tendenze, modi di vestire, curiosità dello stesso periodo in cui nacque la città di Roma.

La tomba 359 della necropoli di Castel di Decima, un interessante sito archeologico posto a sud di Roma, più precisamente sulla Pontina e ricadente nel IX Municipio Ovest, venne rintracciata già negli anni ’90.

Fu estratta in un grande pane di terra ed è stata qui contenuta fino a questi ultimi mesi, ossia al momento in cui è avvenuto il microscavo sistematico e il restauro che l’ha riportata alla luce.

Per vedere tale meraviglia dunque, non dovrete recarvi fino a Castel di Decima, ma vi basterà raggiungere il Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano fino al 3 settembre 2023.

La giovane inumata era sepolta in un tronco d’albero quasi completamente scomparso. Doveva trattarsi di un’adolescente molto ricca se si considera che il suo corredo era articolato in circa 120 reperti archeologici.

Cosa indossava la ragazza?

Come sappiamo i materiali organici sono deperibili e quindi si conservano difficilmente; nella tomba compaiono, ma solo perché si sono ossidati sui metalli. Se osservate attentamente potrete notarne la trama dell’ordito. Si rassegnino quindi i curiosi che vogliono sapere se vestiva marche particolarmente fashion, ci accontenteremo di conoscere quali erano i suoi ornamenti.

I monili che teneva sulle vesti erano prevalentemente di bronzo, che a quel tempo doveva assumere il colore dell’oro; i pendagli erano spesso in ambra e venivano giù soprattutto dai bracciali; la collana era valorizzata da tantissimi pendenti di varie tipologie tra cui elementi a forma di animali o figurine, non molto diversi quindi da quei ciondoli che dondolano dai nostri bracciali di grido.

La veste era valorizzata da almeno 38 anelli di bronzo, una specie di borchie tonde, e ben 41 fibule. Ebbene, a quei tempi in cui ancora non erano stati inventati i bottoni che saranno una grande novità tutta medievale, gli abiti si trattenevano con grandi spille da balia che in archeologia vengono chiamate fibule.

Talvolta, quando sono ben conservate, è ancora possibile infilare l’ago nella staffa e quindi considerarle del tutto funzionanti. Un cinturone in bronzo ne sottolineava i fianchi, aveva però una posizione un po’ diversa rispetto a quella che possiamo oggi immaginare perché era allacciato sul davanti e non sul retro, come siamo abituate a fare noi; forse la ragazza non lo indossava, ma era stata deposto contestualmente alla sepoltura. Ad ogni modo, sappiamo bene quanto ancora oggi sia alla moda portare grandi cinture per impreziosire gonne e abiti.

Proprio i 38 anelli invece sono stati interpretati dagli archeologi come elementi tipici del costume delle donne del Latium Vetus agli inizi dell’Età del ferro. Una parure di tutto punto quindi che la connaturava come appartenente ad un’élite aristocratica.

Gli studiosi si sono interrogati sul significato di questi anelli e sono giunti alla conclusione che con ogni probabilità dovevano essere riconosciuti come amuleti, oggetti magici oppure elementi collegati alla sfera femminile e alla maternità.

E i capelli lunghi? Come li tratteneva? La nostra ragazza aveva fermatrecce in argento che avevano la stessa funzione dei nostri nastrini per capelli. Un attento esame dei denti ha permesso di determinarne l’età tra i 18 e i 24 anni, era alta 1.58 cm.

Vi incuriosirà sapere che la sua attività giornaliera era quella di filare e non di andare a scuola o passeggiare con le amiche, è per questo che lungo i fianchi recava due conocchie cilindriche appartenenti ad un kit per la filatura.

La vita oltre la morte

La convinzione che la vita continuasse oltre la morte comportava l’inserimento nelle sepolture di vasellame metallico o in terracotta destinato a contenere derrate alimentari, caso mai fosse sopraggiunto un languorino post mortem!

Gli archeologi ricordano come in questa e in altre tombe simili sono spesso presenti strumenti domestici destinati alla cottura della carne o al consumo di bevande alcoliche: una specie di spritz (o forse meglio calice di vino) dell’Età del ferro.

La cronologia della tomba ottenuta attraverso i reperti archeologici rinvenuti fa sì che la sepoltura si possa datare al terzo quarto dell’VIII sec. a.C. Ergo… era nata con Roma!

Se la fondazione dell’Urbe risale al 753 a.C., la nostra compagna di giochi si appresta ad avere più o meno la stessa età.

Non avrete difficoltà a credere che appartenesse ad uno stato sociale molto alto e che probabilmente, tutti questi monili, trasferivano il senso di una ricchezza che doveva essere esornata e rappresentata a tutti.

Deposizione femminile in tronco d’albero dopo il restauro

La tomba è stata restaurata grazie all’intervento pecuniario della Fondazione Paola Droghetti onlus che ha attivato una borsa di studio per giovani laureati della Scuola di Alta Formazione dell’Istituto Centrale del Restauro di Roma.

La giovane vincitrice e restauratrice si chiama Carla Torrisi e ha potuto svolgere la sua attività grazie ad un partenariato tra il Museo Nazionale Romano diretto da Stephane Verger, l’Istituto Centrale del Restauro e il Ministero della Cultura. Il catalogo è pubblicato da Gangemi Editore.

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