La rivoluzione umana di un singolo individuo contribuirà al cambiamento nel destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l’umanità”.

Con queste parole il maestro Daisaku Ikeda esprime uno dei concetti più belli e profondi della tradizione buddista quello noto come esho funi o di identità tra persona e ambiente, per il quale ognuno di noi possiede una responsabilità e una potenzialità incredibile, che è quella di poter trasformare il proprio cuore per trasformare l’ambiente in cui in cui viviamo.

Guardando il mondo com’è oggi mi sembra invece di vedere che le persone non credano affatto nella propria potenzialità, tantomeno nella capacità di poter influire positivamente sul proprio ambiente. Direi anzi che è molto comune sentire lamentele per come vanno le cose del mondo, incolpando continuamente gli altri, una volta i migranti, una volta lo stato, una volta i comunisti, una volta le grandi lobby finanziarie, sempre qualcuno e qualcosa fuori da noi che ci impedisce di essere i soggetti del cambiamento che desideriamo.

Oggi voglio presentarvi e dare voce a una persona che invece rappresenta un esempio meraviglioso di cambiamento personale profondo e di trasformazione attiva del proprio ambiente.

Qualche anno fa ho conosciuto Davide Cerullo grazie al mio amico di sempre Gabriele, che ne aveva visto un’intervista in televisione e aveva capito come si trattasse di una persona davvero eccezionale.

Davide è nato cresciuto nell’hinterland napoletano, una periferia difficile nella quale come tanti altri ragazzi della sua età ha vissuto un’infanzia e un’adolescenza difficili, fatte di rabbia, violenza e desiderio di rivalsa. Di questa fase della sua vita, dei suoi esiti, della prigione e di ciò che poi lo ha portato a diventare la persona che è oggi, Davide Cerullo scrive in un libro che veramente consiglio di leggere e che si intitola L’orrore e la bellezza pubblicato da AnimaMundi Edizioni. Oggi Davide lo potete trovare di nuovo a Scampia, da dove era partito, dove ha fondato l’Associazione di promozione socio-culturale “L’albero delle Storie” per lavorare con ragazzi e ragazze ad un presente e ad un futuro fatto di relazioni umane forti e solidali.

Ciao Davide, buongiorno. Quando ho letto questo libro già ci conoscevamo e sapevo molto di te, ma la lettura del libro mi ha davvero colpito profondamente e anche ispirato. Puoi raccontarci da dove inizia la storia, la tua storia?
E’ difficile individuare un preciso momento in cui tutto ha inizio; forse tra poco riusciremo meglio a individuare quale sarà il momento della fine dell’universo, ma capire da dove tutto sia iniziato, per quanto ci abbiano provato in tanti, nessuno è mai riuscito e segnare quel punto.

E’ la stessa cosa per le nostre esistenze; sono difficilmente delle linee temporali, sono più spesso degli atlanti che si orientano e che si sfogliano, delle mappe che in base alle correnti fanno emergere isole che non credevamo ci fossero.

Ho cambiato tanti orizzonti e tante rotte; ho fatto miei i sentimenti più bassi del percepibile umano e ho sentito di calpestare la terra delle vette più supreme dell’esistenza… ma non guardo mai da dove sono partito, perché ogni volta la differenza l’ha fatta l’unica guida che mi sono voluto scegliere … la forza.

Ecco, se chiedessimo a 100 persone diverse che cosa ritengono essere la cosa più potente del mondo probabilmente riceveremmo 101 risposte diverse… perché nella stessa vita anche noi siamo abitati da più di uno spirito guida … io questa forza l’ho cercata prima nella capacità di saper utilizzare un’arma, per poi trovarla davvero solo nella splendida angoscia di iniziare a leggere una poesia. Quindi il mio inizio sono i poeti; la loro sempre irriverente capacità di disarmare anche lo spirito più inquieto per renderlo nuova carne … tutti i corpi, o almeno il mio, lo sentono davvero quello che nella Bibbia hanno scritto … in principio era la Parola. 

Come e quando ti sei reso conto che la tua vita poteva prendere la svolta diversa dalla direzione che avevi intrapreso?
Forse lo avevano visto gli altri prima di me; uscii di prigione dopo aver rubato dalla Biblioteca del carcere una pagina della Bibbia recante il mio nome senza sapere che cosa potesse davvero avere a che fare con me quel “Re Davide” che Dio amava. Non mi sono messo alla ricerca, ma mi sono fatto trovare, ho lasciato che fluisse quel bisogno di umanità che la religione e i libri mi avevano inculcato e ho fatto sì che non si ricucisse quello strappo che avevano recato dentro di me. Solo dai frammenti si ricostruisce qualcosa di nuovo; iniziai a fare nuovi incontri rispetto a quelli a cui ero abituato per strada, inventai nuove occasioni e mi ritrovai lacerato da immagini e parole nuove, che, anche se mai sentite, avevano già un immenso significato per me e io per loro.

Qualcuna di quelle parole le sento tatuate sul corpo come se non avessero mai finito di incendiarmi e altre le porto dentro perché mi ricordano che anche nelle periferie più disciolte della malavita è sempre possibile recuperare la limpidezza delle sorgenti. Ho sentito forte il silenzio dato dall’assenza di poesia e quindi ho cercato un nuovo viaggio che me ne facesse soffrire meno la mancanza; i libri non hanno dato una svolta alla mia esistenza, probabilmente ne hanno dato un significato che ancora sto scrivendo.

Quanto è stato importante credere in Davide e quanto è stato importante avere persone intorno a te che credevano in Davide?
Per una persona come me che desidera essere fatto di poesia è difficile dichiarare il bisogno degli altri o di me stesso; probabilmente non essere mai stato un bambino mi fa scegliere i bambini come compagni di strada preferiti e quando vedo che loro credono ai sogni che propongo sento che una possibilità per la loro e la mia vita ce la stiamo dando insieme.

Poi ci sono le persone che quando ho deciso di partire mi hanno accolto e reso finalmente figlio; nel senso che mi hanno indicato la strada per diventare un adulto che poteva scegliere di pensare cose diverse. La libertà di alcune persone mi ha aiutato a costruire la mia, l’amore che mi hanno offerto mi ha reso passibile di perdono e mi ha riammesso alla più bella esperienza del mondo che è la vita. Non so se ho davvero mai creduto o se adesso credo in me stesso, sono solo certo che le storie delle persone che ho incontrato mi hanno aperto il lasciapassare più prezioso, quello della bellezza dei volti sfuocati come il mio.

Poi sei tornato a Scampia. perché? Quanto coraggio ci vuole per tornare?
Non so se il vero coraggio sia stato quello di tornare oppure di non farlo; quindi lascio giudicare ad altri se sono uno coraggioso oppure se sono solo un pezzo che non si poteva solo spazzare via con tutto il resto. A Scampia non c’era solo la mia polvere, c’era tutto quello che mancava standone fuori; le persone, le possibilità, i bisogni … se i libri mi avevano insegnato quanto fosse importante stare sempre in ricerca, Scampia mi aveva sempre ricordato che non si cerca solo fuori, ma si trova meglio sotto … tra lo stomaco e la strada, là dove ci sono le gambe che corrono e che tremano, lì comincia il cammino delle vere scommesse. Sono tornato non perché questo posto potesse farmi da cornice perfetta, l’ho fatto perché volevo fosse il soggetto di tutte le mie fotografie, la voce di tutte le mie poesie, la carta di tutte le mie pagine. Sentivo forse chiaro il suo diritto ad essere luogo e non ricordo, proposta e non scommessa persa… un abitare con quelle immagini che avevano bisogno di essere raccontate e che quindi dovevo assolutamente continuare a vivere.

Cosa desideri trasmettere alle ragazze e ai ragazzi con cui lavori?
Spesso sono loro che trasmettono a me… credo che non ci sia un vero donare in un’unica direzione, Gesù lo sapeva bene quando ci coinvolse in quello strano gioco del “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” , stava parlando ai suoi compagni di strada e attraverso di loro al mondo intero, ma ha avuto bisogno di istaurare dei legami per riuscire a proporci la straordinaria esperienza dell’amore.

Anche qui ci si dona a vicenda, l’acqua attraverso un secchio bucato si perde, mentre in un cerchio fatto di mani sporche ma vicine nulla va perduto. Non ho insegnamenti da lasciare, ma solo spazi da abitare in maniera significativa e condivisa; spero solo che chi passa dall’albero delle storie comprenda la meraviglia di prendersi il proprio pezzo di responsabilità e farne edificio, non nel quale rinchiudersi, ma dal quale affacciarsi.

Hai scritto più di un libro oltre a “L’orrore e la bellezza”, come “Fiori d’asfalto” e “Poesia cruda”. Quando hai scoperto di essere uno scrittore?
Lo scopri ogni giorno e ogni giorno lo dimentichi. I libri non si scrivono, ma prima si immaginano, poi quando per più giorni consecutivi ti capita di continuare ad immaginare le stesse storie in maniera costante non c’è più niente che tu possa fare per opporti … sono loro che ti hanno scelto come scrittore di quelle pagine. L’esigenza di raccontare viene dalla gratitudine di chi ha prima raccontato a me e dalla voglia di restituire anche un briciolo delle parole che, con la loro leggerezza, mi hanno cambiato la vita.

Questo presente è molto difficile. Siamo circondati da guerre da tiranni da una crescente ingiustizia sociale. Eppure il mondo è anche pieno di straordinarie esperienze di vita di solidarietà e di vittorie fatte di amore di cui si parla troppo poco. Come possiamo incoraggiare i giovani a credere nel loro potenziale a credere che il futuro non è determinato da altri se non da noi stessi?
Nello stesso modo in cui si raccontano le favole; non facendo credere che non ci sono mostri o situazioni avverse, ma raccontando che, anche nei più difficili scenari apocalittici, il vero eroe è chi fa la sua parte senza danneggiare gli altri. E’ un gioco difficile quello che vorremmo insegnare, perché ha come obiettivo ciò che sembra l’orizzonte più lontano: scommettere sulla vita senza aggredirla e sulla crescita senza scorciatoie. Se il mondo in cui viviamo è denso di vie di fuga che ci fanno difficilmente distinguere ciò che è giusto da ciò che è facile, dobbiamo seguire persone difficili, che ci tolgono sonno e serenità, perché solo ciò che alimenta la nostra irrequietezza può davvero fare la differenza.

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