Care lettrici e cari lettori, continuo i miei incontri con i Direttori e le Direttrici dei teatri milanesi. Perchè…? Si potrebbe chiedere qualcuno! Rispondo (Imitando Marzullo: “si faccia una domanda e…”) , perchè siciliano sono, ma cittadino milanese; e perchè Milano negli ultimi anni è stata la capitale del teatro italiano.
Osservando, però, la nostra storia dell’ultimo anno, azzardo questa previsione: la Lombardia potrebbe essere una delle ultime regioni nelle quali i suoi cittadini e cittadine potranno usufruire di cultura.

In questa intervista (il drammaturgo siciliano che è in me lascia posto all’intervistatore americano, Tindy Bomb, per sapere della situazione italiana) vi presento Fioravante Cozzaglio, Direttore Artistico del Teatro Carcano, uno dei teatri di prosa più grandi di Milano.

Fioravante è una persona molto timida, con gli occhi vispi e veloci. Abbiamo passato diverse ore a chiacchierare di teatro e di montagne, e di case circondate dai fiori e da api. Più volte ha prodotto spettacoli nei quali ero scritturato in qualità di attore e sempre si è premurato di farmi sentire in una casa, al Teatro Carcano Centro d’Arte Contemporanea.

Ecco dunque che inizio subito a chiedergli: per fare il lavoro che hai fatto in questi anni, hai avuto bisogno di più amore o di più coraggio?
Mi sono messo alla prova, volevo vedere se ero capace.
Fioravante, cosa significa per una comunità non poter avere un servizio pubblico come il teatro?
Dipende da cosa significa per tutti noi “comunità”: se è un semplice insieme di individui in competizione tra di loro o se è un corpo collettivo dove l’individuo cerca di entrare in sintonia con i suoi simili. In questo caso lo spirito collettivo è fondamentale e il teatro può contribuire a farlo emergere.

Cosa manca in Italia affinchè la cultura venga considerata un bene primario di ogni cittadino/a?
Con un gioco di parole, forse manca la cultura della cultura: la consapevolezza che la crescita dell’umanità fin dai primordi è avvenuta grazie ai dati culturali faticosamente acquisiti, dove per cultura non si intende l’accumulazione dei libri ma l’organizzazione delle esperienze, scientifiche, filosofiche, letterarie, pratiche. La cultura non è solo uno strumento di elevazione del singolo cittadino, è soprattutto lo strumento di sviluppo dell’intera società.

Come sta reagendo a tutto questo Fioravante lo scalatore di montagne?
Come è noto c’è anche una cultura della montagna, che è nata con Horace Benedict de Saussure ed è arrivata alla “conquista dell’inutile” di Messner. Oggi la montagna è uno strumento di libertà, uno dei pochi rimasti in società che tendono a comprimere, in tutto il mondo, lo spazio di libertà individuale.

Fioravante, il direttore artistico del Carcano, come sta rispondendo a questa chiusura?
Con prudenza, con realismo, con speranza. È inutile combattere contro una cosa più grande di noi, è inutile invocare riaperture che solo il risanamento collettivo della società ci può concedere. Vacciniamoci tutti, vacciniamoci nei teatri, vacciniamoci presto: la ripresa è dietro l’angolo, anche  se il nostro occhio non riesce a vederla.

Quand’è che hai sorriso l’ultima volta?
Veramente sorrido tutti i giorni, non basta questo infortunio collettivo a spegnere la speranza nella vita. Come dice una famosa epigrafe di Baltimora, ” non essere cinico con l’amore, esso è perenne come l’erba”.

Cosa vorresti vedere a teatro quando riapriremo i teatri?
L’entusiasmo dei giovani, perché non basterà l’esperienza dei vecchi.

Per puntare sui giovani artisti, ci vuole più amore o più coraggio? Senso della realtà: non mi risulta che i centenari abbiano una grande capacità di prevedere il futuro. Anche il più innovativo uomo della mia generazione non avrà mai le antenne di chi è nato quando lui aveva già dispiegato tutte le sue capacità. Al mondo nuovo non si arriva solo per intelligenza e ragionamento, serve molto di più saper annusare i profumi della nuova primavera.

da sinistra: Anahì Traversi, Mariano Pirrello, Leonardo Lidi, Mariangela Granelli, Tindaro Granata e Fioravante, durante le prove di “Zoo di vetro”, una delle ultime produzioni di Fioravante Cozzaglio prima del Covid 19.

Cosa significa per te lottare per il bene comune?
Mettere la propria ambizione dentro un progetto collettivo. È una frase di Paolo Grassi, valida oggi più che mai, perché nella confusione e nel frastuono delle nostre società si rischia di perdere di vista i veri punti di riferimento e i valori di base da condividere.

Questo tempo di chiusura ci ha fatto capire che del teatro se ne può fare a meno! Quanto è vera questa affermazione? Certo che se ne può fare a meno, del teatro come di tante altre cose. Il mondo non si ferma se non si aprono i sipari come non si ferma se viene a mancare l’olio d’oliva. Però bisogna fare il conto di cosa si perde e di cosa si guadagna facendone a meno.

Diversi anni fa hai avuto la gestione artistica del Carcano, quali sono state le fatiche che hai dovuto affrontare per dargli un’immagine che ti piacesse e quali sono adesso le cose che ti rendono felice di entrare in teatro?
Quando sono approdato al Carcano ero consapevole che sarebbe stata l’ultima vera opera della mia vita e mi sono dato tre obiettivi: risanare l’azienda e riportare la pace tra i soci che era stata seriamente compromessa, ridare un’immagine forte e attuale al teatro, creare una linea di successione che non compromettesse il lavoro fatto. I primi due credo di averli centrati, al terzo sto ancora lavorando. E comunque è stato un piacere, non una fatica. Ho pensato a lungo al senso di questa nostra esperienza collettiva (parlo per me, per tutti i soci e i collaboratori del teatro) e ho deciso che è il bisogno di socialità che un teatro sa esprimere. L’arte viene di conseguenza.

Chi dovrebbero essere le persone che gestiranno i teatri di domani? Dovremmo smettere di promuovere i settantenni ai posti di comando (parlo naturalmente anche per me): il teatro è un paese per giovani energie.

Cosa vorresti lasciare ai tuoi nipoti per il loro futuro? A questa domanda non vorrei rispondere, perché entra nella sfera del privato, che in genere tendo a non condividere. Ma trattandosi di Tindaro Granata mi lascio andare: l’amore per il lavoro, qualsiasi esso sia.

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