Il lavoro è un diritto: una frase che in ZeroPerCento – La Bottega Etica, progetto sociale nato a Milano da Teresa Scorza con all’attivo due punti vendita e uno shop online, è fondamento concreto.

Impegno, collaborazioni con diversi enti tra cui il Comune di Milano e Regione Lombardia e capacità di vedere oltre gli imprevisti hanno portato ZeroPerCento a ricevere lo scorso 16 settembre il premio Comete Civiche – look up da Fondazione Prioritalia e dall’associazione Il Quinto Ampliamento, presso la sala degli Atti Parlamentari della Biblioteca del Senato, come buona pratica nazionale per l’impegno civile e sociale.

Teresa Scorza, complimenti per questo risultato, che arriva dopo anni di intenso lavoro. Cos’è il progetto ZeroPerCento?
Siamo una cooperativa sociale, partita come negozio di vicinato con finalità di formazione professionale. Nei nostri spazi vendiamo prodotti etici, da filiera controllata e sostenibile, realizzati nel rispetto della persona e dell’ambiente. Quasi tutti i nostri prodotti (alimentari, detersivi e cosmesi personale) sono sfusi, alla spina. Abbiamo aperto il primo punto vendita nel 2016 nella zona nord di Milano, in un locale concesso dal Comune in un contesto di riqualificazione: siamo stati fino all’anno scorso l’unica vetrina aperta su una stecca di quattordici, sfitte da quarant’anni. Un’avventura che ci ha creato attorno una comunità e fornito gli strumenti per replicare il modello in un secondo spazio, più centrale in città. Un locale commerciale, appartenente ad una persona in categoria protetta residente in una comunità alloggio. Ci è sembrato un cerchio che si chiude.

Come funziona l’attività di ZeroPerCento?
Siamo una palestra formativa: insegniamo un metodo, forniamo competenze e aiutiamo a trovare lavoro. Questa è la chiave: non assumiamo a lungo termine. Chi lavora con noi si forma nelle botteghe aperte ai cittadini, ma anche a contatto con realtà imprenditoriali. A loro offriamo prodotti sostenibili consegnati in azienda, come frutta o snack, ed eventi sostenibili come catering, aperitivi… Questo permette un approccio diversificato.

Cosa ti ha spinta a creare un progetto di questo tipo, dedicato a una categoria di lavoratori di solito poco considerata?
Inizialmente il negozio doveva essere una palestra per persone senza lavoro, esigenza nata principalmente da me, quando ho vissuto un periodo di disoccupazione. In quei pochi mesi di incertezza verso il futuro ho avuto l’idea di un progetto concreto. Sono progettista sociale, da sempre attiva nel campo: ho seguito un percorso con alcuni incubatori per aprire il primo spazio. La sensibilità verso la disabilità è arrivata tre mesi dopo l’apertura, con l’ingresso nel progetto di figure appartenenti alle categorie protette. Non tutti sanno che le aziende hanno un obbligo di assunzione verso questi lavoratori ma spesso non lo assolvono, pagando una sanzione. Le ragioni sono diverse, ma una è la difficoltà di intercettare figure idonee. Spesso, chi appartiene alle categorie protette è fuori dai sistemi: non ha dimestichezza nel cercare lavoro, gli strumenti sono insufficienti. Noi siamo un ponte: fornendo un anno di esperienza concreta, creiamo probabilità di trovare un impiego. Inoltre assistiamo le persone in tutte le fasi: nella formazione, nell’invio delle candidature, nella preparazione del colloquio fino all’inserimento in azienda. 

Per me ZeroPerCento vuol dire andare controcorrente, creare una piccola rivoluzione in ogni cliente che entra nelle nostre botteghe.

Teresa Scorza

Oltre a far incontrare domanda e offerta, un’altra sfida di ZeroPerCento sarà reperire i fondi necessari.
È un’esigenza costante, anche se all’inizio è stato più complicato. Lavoriamo con più persone di quelle davvero necessarie, per offrire una reale esperienza formativa. Abbiamo quindi chiesto la collaborazione di alcune fondazioni. La prima a crederci, con un contributo a fondo perduto, è stata Fondazione Cattolica Assicurazioni. Così abbiamo comprato le attrezzature e lavorato in economia per il primo punto vendita. Dopo tre anni avevamo una storia, un impatto sociale evidente: sviluppare il progetto della seconda bottega e coinvolgere altre fondazioni è stato più semplice. La sfida più grande però è essere sostenibili: i dipendenti sono regolarmente assunti, i prodotti di fascia alta. Con i fornitori adottiamo una politica di rispetto, che inizia nel non contrattare il prezzo. Dopo sei anni siamo ancora in piedi, e ne sono orgogliosa, ma siamo stati messi anche a dura prova.

Capita quindi di pensare di lasciar perdere tutto?
Quando le difficoltà sono fuori dal tuo controllo, come nel biennio 2020-21, puoi pensarlo. Siamo un negozio di vicinato lontano dalla grande distribuzione e, per quanto aperti secondo le normative, durante la pandemia la circolazione delle persone era limitata. Nel nostro punto vendita in via Signorelli, inaugurato in quel biennio, lo spazio è grande, pensato anche per la convivialità, e comincia adesso ad essere davvero utilizzato. Anche negli ultimi mesi, di fronte ai costi fissi quadruplicati, ci sono stati momenti di sconforto. Vince però la grande passione: noi soci siamo talmente legati a questo progetto da non immaginare un altro lavoro.

Un altro tema sentito è l’accessibilità: ad esempio il lunedì prevedete un’ora di spegnimento di ogni fonte di rumore (frigo e luci comprese) per diventare bottega silenziosa
La bottega vuole essere accogliente per chiunque. Soprattutto in zona Sarpi ci siamo resi conto che l’ambiente è grande e rumoroso, qualcuno a volte fa fatica. Questo, unito a un’aumentata sensibilità verso le disabilità fisiche, mi ha portata a riflettere sugli spazi e ci siamo rivolti a delle realtà che ci aiutino a renderli più accessibili. Una delle prime iniziative a costo zero è stata la bottega silenziosa, per essere esposti a meno stimoli: i clienti sono invitati a parlare piano, abbassare i toni del telefono e muoversi con attenzione, perché potrebbe esserci qualcuno che viene apposta a fare la spesa in tranquillità. È un momento di formazione, per noi e per chi non vive questi bisogni nella quotidianità. Dall’esterno sembriamo chiusi, ma non ci interessa: corriamo il rischio di perdere qualche curioso, se significa garantire uno spazio sicuro.

Alla luce dell’esperienza che state costruendo, cosa pensi sia necessario per migliorare la qualità del lavoro?
Forse la parte più difficile è provare a pensare che il lavoro sia solo una parte della vita. Noi puntiamo molto sul rispetto dell’orario, ad esempio. Se un contratto prevede 38 ore a settimana, farne sistematicamente di più è un problema. C’è l’eccezione, ma non può essere la prassi. Per anni ho vissuto il lavoro come totalizzante e mi sono resa conto di perdere tanto di altrettanto importante. Come datrice di lavoro cerco di non dimenticarlo, anche perché non è detto che una persona che accumula un monte ore maggiore sia anche più performante. 

Quali sono i piani per il futuro di ZeroPerCento?
Di sicuro portare la disabilità in azienda in modo più strutturato: far capire che una persona in categoria protetta può essere una risorsa nel giusto contesto, non solo un obbligo da assolvere. Un lavoro difficilissimo. Se non conosci la disabilità, puoi averne anche paura. Presentando alle aziende le persone, dando prova del modo di lavorare, diamo loro un nome, un cognome, una possibilità.

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