Dopo due anni di emergenza covid siamo passati ad un’altra emergenza: la guerra, con tutti i pericoli legati ad incidenti nucleari o all’uso di armi tattiche che utilizzino il nucleare. In caso di un incidente nucleare tipo le sostanze più importanti rilasciate nell’atmosfera, quindi nell’aria e nel terreno sono:

·      Lo iodio 131, assorbibile dalla tiroide con conseguenti tumori dell’organo nel lungo periodo o malattia autoimmuni nel medio periodo;

·      lo stronzio 90, assorbito dall’osso, che può causare tumori ossei e leucemia; 

·      il cesio 137 che si accumula prevalentemente nei muscoli; 

·      il plutonio che può causare tumori del polmone. 

Per la popolazione che vive nelle zone circostanti al fall-out (nell’ordine di km) il pericolo è nell’aria attraverso l’inalazione di sostante tossiche e nel cibo a causa della contaminazione per esempio del terreno e dell’erba. In seguito all’incidente di Chernobyl, come conseguenza dell’erba contaminata mangiata dalle mucche la produzione di latte divenne radioattiva.

Concentriamo la nostra attenzione sullo iodio radioattivo, perché è il primo radionuclide che arriverebbe alle persone distanti ed in qualche modo lo possiamo gestire, mentre gli accumuli degli altri isotopi radioattivi come cesio, stronzio e plutonio, che hanno un’emivita particolarmente lunga, non sappiamo come trattarli.

Gli ormoni tiroidei sono prodotti dalla tiroide utilizzando lo iodio, quindi questa ghiandola sarà l’organo più colpito dagli effetti immediati e tardivi di una esplosione nucleare. 

I tumori della tiroide indotti
dalle radiazioni

Dovrebbe farci riflettere il fatto che nel 2019 la Germania ha speso molto denaro pubblico per acquistare circa 190 milioni di compresse di ioduro di potassio da distribuire alla popolazione nel caso ci fosse in futuro una emergenza per disastro nucleare. 

Basse dosi di Iodio 131 possono essere contrastate dai sistemi di difesa dell’organismo, per dosi maggiori però le possibilità di sviluppare un tumore della tiroide nei decenni successivi si fa più concreta. L’esperienza di Chernobyl ha mostrato che i tumori della tiroide indotti dalle radiazioni compaiono dopo una latenza di dieci/vent’anni e più.

I radioisotopi di iodio, inquinano l’ambiente (aria, acqua, terra e di conseguenza anche il cibo) e noi li ingeriamo con l’alimentazione e con la respirazione. Essi, dopo essere giunti nel sangue, vengono accumulati nella tiroide dove si concentrano in dosi elevatissime, esercitando il maggior danno biologico con ipotiroidismo, dovuto ad alterazioni infiammatorie (tiroiditi), malattie autoimmuni (morbo di Hashimoto) e anche cancerogene (cancro tiroideo).

I bambini rischiano di più

Il rischio maggiore è per i bambini data la marcata sensibilità della tiroide infantile, altrettanto le radiazioni possono avere effetti devastanti sui feti con malformazioni degli organi che si possono verificare soprattutto nel primo trimestre di gravidanza. 

Dopo il disastro nucleare di Chernobyl (1986), i bambini sotto i 6 anni i neonati e i feti in utero hanno registrato un maggior numero di carcinomi tiroidei rispetto gli adulti.

Questo perché la tiroide accumula una quantità di iodio radioattivo inversamente proporzionale alla sua massa e quindi le tiroidi più piccole (come quelle dei bambini, che hanno cellule che si dividono più velocemente) accumulano più radioiodio delle tiroidi grandi (dell’adulto). Ne consegue che il rischio di cancro tiroideo aumenta tanto più è piccolo il soggetto nel momento in cui è stato esposto alla radiazione.

I più frequenti tumori tiroidei infantili causati da un disastro nucleare sono i carcinomi tiroidei papillari, mentre lo stato pre-tumorale è rappresentato dall’iperplasia tiroidea micropapillare.

Altro fattore non trascurabile che deve indurci a prepararci alla male augurata evenienza di un fall-out nucleare è l’alta aggressività dei tumori tiroidei dovuti a iodio radioattivo rispetto a quelli a insorgenza spontanea.

I tumori della tiroide indotti dall’esplosione del reattore di Chernobyl hanno mostrato infatti una invasione metastatizzante doppia rispetto a quelli spontanei.

Una possibile esplosione nucleare in Ucraina, distante in linea d’aria meno di 2000 km, porterebbe la nube tossica in 2 o 3 giorni in Italia.

Accumulando la tiroide lo iodio, è evidente che lo iodio radioattivo verrebbe rapidamente assorbito e concentrato nell’organo, e la soluzione è bloccare la tiroide saturandola di uno iodio non radioattivo: iodoprofilassi.

Non assumete lo iodio
in modo preventivo

Assolutamente inutile e dannoso è l’assumere iodio in via preventiva, scarso dopo 6 ore dalla contaminazione reale (cioè della ricaduta della nube tossica), va invece assunto solo quando l’episodio nucleare è avvenuto ed oggi con la rapidità dell’informazione ne veniamo a conoscenza in tempo reale.

Nella maggior parte degli articoli si legge che questo tipo di terapia ha senso da 0 a 40 anni e poi diviene superflua, per 2 ragioni, quella sovraesposta del maggior accumulo del radioiodio nei bambini e nei giovani, ma anche perché se si ha 50 anni non si avrebbe il tempo di sviluppare un cancro della tiroide. C’è però il risvolto della medaglia, cancro della tiroide no, ma malattie autoimmuni sì. Quindi la terapia con lo iodo si deve fare a tutte le età con dosaggi diversi.

Nell’età adulta, invece, l’efficacia della iodoprofilassi è sempre utile, ma meno necessaria e quindi non saprei dire se in questa classe di età è più importante questo trattamento specifico con iodio stabile, che comunque è sempre parziale perché non evita i danni causati dalle altre sostanze radioattive, oppure se è più importante quello aspecifico che agisce sul tutto della persona. Probabilmente, l’effetto migliore si ottiene con l’assunzione di entrambi i trattamenti.

La preparazione magistrale consigliata dal dottor Attilio Speciani è: Soluzione satura di Ioduro di Potassio in acqua al 50%, 1 flacone da 30 mL (con 1 flaconcino contagocce da 30 mL si copre il bisogno di 30 adulti).

Da far prescrivere dal proprio medico come preparazione magistrale e da far preparare in farmacia.

Con i seguenti dosaggi:

  • bambini da 0 a 2 anni, 1 (ripeto solo una) goccia al giorno
  • bambini da 2 a 6 anni, 2 (ripeto solo due) gocce al giorno
  • bambini da 6 a 12 anni, 2 gocce al mattino e 2 gocce a sera
  • maggiori di 12 anni, 3 gocce al mattino e 3 gocce a sera

il trattamento deve protrarsi per solo due (tre) giorni e deve essere comunque sottoposto alla valutazione del proprio medico.

I trattamenti a questi bassi dosaggi, se rispettati sono innocui come testimonia un lavoro del professor Pinchera in cui si documenta la totale assenza di effetti collaterali sia per la funzione tiroidea che per altri aspetti medici generali, sia per le mamme sia per i bambini per un dosaggio quotidiano di 200 mcg prolungato nel tempo dei nove mesi di gravidanza. 

Altrettanto dicasi per un altro lavoro spagnolo in gravidanza che ha utilizzato un dosaggio ancora maggiore, ma solo nel primo trimestre di gravidanza.

Per la difesa dalla radioattività in situazione di contaminazione si richiede un dosaggio più elevato rispetto a questi lavori, ma per soli due giorni.

L’unica vera controindicazione è per le persone con accertata allergia allo iodio, per esempio per precedenti allergie ai mezzi di contrasto iodati.

Coloro che assumono levotiroxina per ipotiroidismo possono usare gli stessi dosaggi, mentre gli ipertiroidei sotto Tapazole devono dimezzare i dosaggi.

Esistono anche trattamenti alternativi con altre forme di iodio.

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