Ogni mese continuiamo a contare vittime, in un triste bollettino di guerra che sembra non conoscere fine. Eppure la violenza sulle donne e la sua estrema conseguenza, il femminicidio, non sembrano essere un argomenti degni di essere seriamente dibattuti e affrontati nella campagna elettorale a cui stiamo assistendo.

Una campagna elettorale che nelle scorse settimane solo incidentalmente è finita sui temi dei diritti delle donne, e non certo grazie alla volontà dei politici di farli entrare nel dibattito pubblico: in un primo caso è stato l’intervento di una influencer, Chiara Ferragni, che con un post su Instagram ha riacceso per pochi giorni l’attenzione sulla piaga dell’applicazione del diritto all’aborto in Italia.

In un secondo caso, il più inquietante, invece, un terribile fatto di violenza su una donna è stato usato nel modo peggiore, non per parlare del problema e delle proposte per risolverlo, ma per strumentalizzare il fatto in chiave propagandistica, per colpire gli avversari e usando per questo fine un video in cui la povera vittima è risultata riconoscibile, contro ogni norma etica, umana e di buon senso. Tutto qui.

Mentre le donne in Italia continuano ogni giorno ad essere abusate, violentate, uccise, e in attesa di vedere i politici di tutti gli schieramenti ben presenti nelle manifestazioni del 25 novembre dove ribadiranno la loro più ferma condanna della violenza di genere, ora che è il momento di chiarire ai cittadini cosa si pensa di fare contro questa piaga, ora che è il momento di mettere nero su bianco nei programmi elettorali che la violenza sulle donne è un problema del paese e che richiede una risposta di sistema, vige il silenzio più assoluto.

Un silenzio assordante, a paragone delle continue richieste di aiuto che Save the Woman registra tramite il chatbot Non posso parlare, assordante a fronte delle tante donne che ogni giorno bussano alla porta dei centri antiviolenza o si recano a sporgere denuncia, spesso poco e male ascoltate da operatori non sempre preparati a valutare il reale rischio che chi si rivolge a loro sta correndo.

Visionando i programmi elettorali di tutti gli schieramenti si direbbe che la violenza sulle donne non sia un’urgenza per questo paese in cui, nell’anno scarso trascorso tra l’agosto del 2021 e il luglio del 2022, secondo i dati del Ministero dell’Interno, si sono registrati 125 femminicidi che rappresentano quasi il 40% di tutti gli omicidi commessi in quel periodo in Italia.

Questi numeri non hanno convinto i politici che la violenza sulle donne sia un argomento da affrontare in modo serio parlandone come tema caldo in una campagna elettorale in cui è entrato di tutto, tranne questo.

Solo gli elettori che si prenderanno la briga di spulciare i programmi elettorali troveranno qualche dettaglio in più che, in quasi tutti i casi, si trova relegato comunque alla fine dei documenti.

I fatti, partito per partito

In concreto, nel programma del Pd il capitolo Violenza di genere è nell’ultima parte e si propone il  “potenziamento delle reti e dei centri anti-violenza per rafforzare i percorsi di fuoriuscita dalla violenza. E misure per una più compiuta attuazione della Convenzione di Istanbul”. Inoltre, per il contrasto alla violenza di genere si propone di evitare “l’affidamento dei figli ai genitori violenti e superando definitivamente ogni riferimento all’a-scientifica sindrome di alienazione parentale (PAS)”, oltre a un piano per rilanciare l’occupazione femminile e la tutela della salute e dei diritti riproduttivi, ovvero l’aborto.

Nel programma del centro destra il contrasto alla violenza di genere non ha un capitolo a sé, ma rientra nel capitolo Sicurezza e contrasto all’immigrazione illegale in cui si propongono generiche “azioni incisive e urgenti per il contrasto al crescente fenomeno della violenza sulle donne”.

Nel programma dei 5 Stelle si parla di formazione degli operatori, implementazione dei braccialetti elettronici, percorsi di recupero per i maltrattanti.

Il programma della coalizione Calenda- Renzi prevede rafforzamento dei Cav e braccialetto elettronico e un generico riferimento alle misure di empowerment femminile per contrastare la violenza economica.

Più o meno tutto qui.

Come si può notare sono riferimenti veloci e generici, ma soprattutto sono argomenti che non stiamo ascoltando nei vari talk show e programmi tv, radio, web che ospitano i politici.

E questo aumenta la percezione che questo tema sia considerato marginale. Un errore gravissimo. Noi che lavoriamo a stretto contatto con gli operatori e le donne maltrattate che ogni giorno subiscono abusi e violenze, sappiamo quanto questo silenzio sia non solo inaccettabile, ma pericoloso. E’ necessario che il contrasto alla violenza di genere entri con più forza anche in questa campagna elettorale e le venga data la dignità di piaga sociale, perché di questo si tratta.

Una malattia della società che progredisce sempre più velocemente e va fermata con misure concrete, mettendola nel giusto posto tra le priorità della politica, un posto che non può certo essere l’ultima pagina del programma elettorale.

In questo ci viene in aiuto un libro prezioso. Si intitola Stai zitta e va’ in cucina. Breve storia del maschilismo in politica da Togliatti a Grillo, di Filippo Maria Battaglia. E’ la storia degli insulti, delle discriminazioni e dei pregiudizi politici nei confronti delle donne. Dalla Costituzione, per proseguire fino ai giorni nostri, tra appelli, citazioni sofisticate e insulti da bettola; dalla battaglia sul divorzio alle norme contro la violenza sessuale, dall’accesso alla magistratura al dibattito sulle quote rosa, questo libro è un succinto racconto storico – incredibilmente attuale – per capire come si è diffusa e perpetrata la misoginia in politica in uno dei Paesi più maschilisti d’Europa.

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