In un recente articolo sul The New York Times dello scorso fine settimana il giornalista David French metteva in relazione il concetto di libertà di espressione negli Stati Uniti rispetto alla concezione sottostante alla, cosiddetta, cancel culture

Il giornalista riportava come alcuni fatti, raccontati in vari contesti, rappresentassero un’alterazione della realtà sulla base della invenzione pura di eventi mai esistiti o altri, invece, costruiti su convinzioni razziste e discriminatorie. In entrambi i casi chi scriveva mirava a generare un pensiero unico destinato ad un pubblico indefinito.

L’obiettivo, per nulla velato, di quella modalità di narrazione non è quello di costruire il consenso, ma di imporre una visione univoca che appartiene a chi scrive e che mira all’annientamento del dissenso.

Una sentenza di Cassazione insomma, senza passare per i gradi precedenti, esattamente l’opposto di ciò che la libertà di manifestazione di pensiero e di opinione intendono perseguire e proteggere.

Oggi più che mai il tentativo di cancellare le differenze e di leggere tutto ciò che era collocato nel passato alla luce dell’attualità affascina molti ambienti culturali che interpretano questa ondata come espressione della modernità.

E’ la supremazia dell’odierno senza tempo e senza spazio e che esprime al massimo la sua potenza nel luogo non-luogo per eccellenza che è il web, il quale rende possibile l’impossibile, che fa accadere l’improbabile, che afferma e nega lo stesso principio con identica forza e argomentazione.

La cancel culture associa due termini che già di loro non accettano di essere associati perché la parola cultura, quale essa sia, deriva dal verbo còlere che significa “coltivazione della terra” e non c’è niente di più imperituro che il suolo e la terra, soggetti alle trasformazioni del tempo e testimoni del suo inesorabile scorrimento.

La modernità è intesa come amalgama informe, letta con un monocolo del tutto incapace di ammettere dinamiche interpretative di ciò che è stato e che, con una intransigenza ossessiva, si impossessa del tempo e lo piega ai principi dell’oggi: insidioso inganno.  

E’ proprio in questo equivoco logico che si annida la fascinazione per la cancel culture, che associa il tempo attuale come necessariamente moderno dimenticandosi che proprio nell’oggi ci sono innumerevoli casi di avanzi preistorici, altro che modernità. C’è dell’altro nella convinzione di chi abbatte statue, di chi riscrive i classici e via dicendo ed è la presunzione di essere custodi e divulgatori della verità unica e indiscutibile.

L’articolo citato riscontrava quanto il First Amendment sia stretto da una duplice morsa: da un lato la libertà di manifestazione del pensiero è divenuta nel corso degli anni più robusta, dice l’autore. Dall’altro gli americani, pur avendo un solido e consapevole diritto di manifestare liberamente le proprie opinioni nei confronti delle istituzioni governative, sentono e avvertono, tuttavia forti limitazioni e dunque si auto-censurano per il timore di esercitare questo fondamentale diritto.

Le maggiori paure sono avvertite non verso il potere costituito e censorio, ma verso la comunità degli altri cittadini e colleghi di lavoro perché l’opinione manifestata espone al giudizio inclemente degli altri e.  se in dissonanza con il pensiero dominante, può portare fino alla perdita del posto di lavoro perché non allineati, perché politically uncorrect e perché pericolosi per aver osato dissentire.

Ci si autocensura allora per il timore di divenire oggetto di denigrazione e isolamento sociale, di essere catalogati e relegati in un angolo della comunità, reale o virtuale che sia. Il paradosso di cui si parla è stato registrato da uno studio realizzato da Cato Institute, un think thank liberale e dunque non vincolato a nessuna delle maggiori rappresentanze politiche.

Serve dunque un allenamento alla differenza come presidio all’esercizio di ogni libertà e come modalità di costruzione dialettica di visioni del mondo, senza  per questo cadere nel relativismo puro. Si potrebbe addirittura giocare, ciascuno per sé, alla costruzione di argomentazioni alla bastian contrario  e veder come più articolata e ricca diviene una conversazione e un confronto tra pari e tra idee che nulla hanno a che fare con la sterile costruzione a tavolino di una piatta rappresentazione dei fatti della vita, anche di quella passata, che spengono il pensiero critico e ci omologano come manichini all’assenza di diversità.

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