Un rito familiare tutto al femminile, quello delle conserve di pomodoro; un lungo sonno post-prandiale che attraversa la calura di un’interminabile estate siciliana. Inizia così Sciara, libro di esordio della nostra blogger Marina Mongiovì pubblicato dalle edizioni Kalós. Un vorticoso intreccio di storie e personaggi, sospesi tra il sogno e la realtà.

Dalle prime pagine del tuo libro, si pensa a una narrazione nostalgica, per la famiglia matriarcale e una realtà genuina perduta. Ma già dal secondo racconto la prospettiva cambia ed emerge un mondo chiuso fatto di superstizione, di stereotipi ed emarginazione. Un sogno che diventa incubo. Qual è il mondo di Sciara?

In Sciara sono tante le tematiche e forti i contrasti; un continuo alternarsi di luci e ombre. Dove le luci sono rappresentate da una terra rigogliosa, deserti che fioriscono, le lunghe estati e il mare baluginante. Le ombre sono le costruzioni umane: i sentimenti neri di madri ossessive; il parroco e il cartomante che si prendono gioco dell’ignoranza dei compaesani; gli orrori che si nascondono in mezzo alle sciare del vulcano o nei fondali del nostro mare. Ho cercato di raccontare di una realtà lontana, ma non troppo, in cui la fede si trasfigurava in superstizione; dove il ruolo della donna diventava un marchio e uscire dagli schemi era una disgrazia o una maledizione.

E di donne in Sciara ce ne sono tante, tutte diverse tra loro ma accomunate da una condizione dolorosa.

Si, sono le donne che si portano addosso la iattura di non aver trovato marito o generato prole. Donne che portano i segni della malattia, dei maltrattamenti o del tradimento. La cornuta e l’amante che cucinano per lo stesso uomo. La moglie amorevole che attende il ritorno del marito e, in quell’attesa, c’è tutto il peso della prigionia. La bambina che, con l’arrivo delle mestruazioni, si trasforma in una strega capace di far appassire i fiori. Ma ci sono anche la protagonista e la sua compagna di viaggio che rigettano quel mondo a cui appartengono e rappresentano un’inevitabile rottura.

Sciara è ambientato in un piccolo paese tra il vulcano e la pianura che trasuda una forte sicilianità, eppure la Sicilia non viene mai nominata, è solo un’isola. Che rapporto ha Marina Mongiovì con la sua terra?

Come molti siciliani è un rapporto di profondo amore; di radici che si aggrappano alla terra. E del mio paese d’origine ho scelto proprio le sciare che sono le colate che scendono dall’Etna e che per me hanno un ruolo simbolico molto profondo. Sono un fuoco che pietrifica e si fa deserto ma su cui riesce a fiorire la ginestra. Perché, accanto all’amore, non manca mai una sorta di rigetto e di rabbia per una terra che spesso sembra rifiutarti, che mostra delle storture difficili da eliminare. Nel mio libro non nomino mai i luoghi perché ho voluto creare un piccolo diorama e anche perché quando si sogna i luoghi, pur essendo a noi familiari, diventano sospesi.

Marina Mongiovì e la fotografia

Dalle vivide descrizioni emerge una narrazione ricca di immagini. E non possiamo non pensare alla tua passione per la fotografia e all’esperienza con Rewriters; quando la straordinaria Letizia Battaglia ha scelto una tua fotografia per la mostra Rompi le scatole, al primo RewritersFest del 2021. Qual è il tuo rapporto tra immagine e scrittura?

Non sarò mai abbastanza grata a Rewriters per l’esperienza incredibile vissuta due anni fa. È stato un sogno. Sono autodidatta e ho la passione per la fotografia fin da bambina. Immagine e racconto sono due forme di scrittura diverse ma, per me, complementari. Da una foto può nascere una pagina e da una storia si può scattare una fotografia. Ed è quello che sto facendo con i racconti di Sciara, un progetto da cui spero verrà fuori una mostra fotografica.

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