La stella è caduta stanotte, 10 agosto, folgorando il creato. La scrittrice, drammaturga e attivista Michela Murgia ha curato per tutta la vita il nostro Paese malato.

Ha vissuto il periodo della sua malattia non attaccandola come un nemico esterno da distruggere, ma dialogando con essa, stimolando una risposta dall’interno. Perché la malattia ci riguarda, l’abbiamo creata noi e di noi fa parte.

Un po’ come il lavoro instancabile sul linguaggio, sull’immaginario: stanare i pregiudizi inconsapevoli, denunciare i bias, smontare gli stereotipi, minare un’organizzazione tossica del potere. Una demolizione di un sistema (il cancro del patriarcato) che avviene senza bombe ma per sostituzione: la giustizia vince sull’ingiustizia, grazie all’emergere del desiderio.

Per questo Michela Murgia non è stata mai una perdente, anche di fronte a una morte prematura: non c’è vittoria più profonda e duratura della generazione di un nuovo sistema capace di disinnescare il vecchio, quello sì, portatore di morte.

E ha avuto ragione, perché da lei in poi, dal Sistema-Murgia, dal Sistema Immunitario Murgia (io l’ho sempre chiamato il murgianesimo), il patriarcato non potrà mai più avere la stessa forza, non potrà mai più continuare a funzionare indisturbato, perché è stato visto, nominato, diagnosticato, studiato in ogni suo meccanismo, denunciato alla Storia.

E’ questo il biofarmaco con cui Michela Murgia ha curato l’Italia, facendoci reagire all’oppressione, stimolando il desiderio di giustizia, uguaglianza e libertà.

Michela Murgia ha curato un Paese in metastasi, alle ossa, ai polmoni, al cervello, un’Italia che non poteva più respirare, muoversi, pensare, mangiata da un male gentile, cresciuto dentro per secoli e per secoli nutrito, il cancro del privilegio e della cultura maschilista, violenta, prevaricante.

Ha scoperto il biofarmaco (il desiderio) capace di creare una nuova organizzazione sociale libera dal male, ampia, dove le unicità sono valorizzate e le donne non possono più, mai più, essere oppresse. E. non lo ha fatto attraverso un esorcismo ma, appunto, attraverso la cura, il prendersi cura.

Se la letteratura serve, come dice, a ribaltare lo sguardo, ecco, lei, Michela Murgia, ci ha riempiti e riempite di letteratura, ci ha rese per sempre consapevoli che un punto di vista è solo la vista da un punto (Manifesto ReWriters) e che quindi non potranno mai più esistere totalitarismi senza che contestualmente fioriscano sistemi immunitari capaci di farli recedere.

Per questo Michela Murgia si augurava (e io con lei) di non morire prima che andasse via Giorgia Meloni: l’attuale Premier è una recidiva pericolosa che sta mettendo a dura prova il sistema immunitario che Murgia stessa ci ha regalato in questi oltre 20 anni di produzione (ricordo quando la invitai al mio corso in Sapienza Università di Roma, agli inizi della sua carriera, per presentare il suo libro d’esordio, Il mondo deve sapere).

Una delle più grandi intellettuali della contemporaneità, dopo averci allattate con testi, parole, azioni e pensieri e aiutate a sviluppare un sistema immunitario resistente per prenderci cura del cancro di un patriarcato che noi stesse abbiamo contribuito a organizzarsi e mettere radici, con la sua recente intervista ci ricorda che oggi abbiamo consapevolezza di questo male e dunque anche la responsabilità di curarlo.

Ricordo quando eravamo a casa mia e immaginavamo la tua direzione di questo giornale: mi dicesti che avremmo dovuto disturbare, non condividevi la mia posizione. Sono quattro anni che le tue parole mi lavorano nella mente, come un seme che, piano piano, fa fiorire un giardino inaspettato.

Le esequie si terranno domani, 12 agosto alle ore 15.30, presso la chiesa degli Artisti, la Basilica di Santa Maria in Montesanto, in piazza del Popolo a Roma. 

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