Il pontificato di Papa Francesco esprime, sotto molti punti di vista, un giro di boa inedito e clamoroso nella storia della Chiesa Cattolica la più longeva, ricordiamo, organizzazione dell’umanità ancora esistente.

Una piccola premessa per introdurre il discorso: probabilmente la longevità della Chiesa prima cristiana, poi cattolica, è anche dovuta al fatto di non essere permeabile alle richieste di cambiamento provenienti dall’esterno ma di aver storicamemente concesso a se stessa di evolvere solo ed esclusivamente a seguito di metabolizzazioni interne, quasi sempre asincrone rispetto ai cambiamenti che avvenivano nella società.

Dico questo perché senza la consapevolezza di questo fenomeno non si riesce a comprendere perché la Chiesa agisca a volte in maniera incomprensibile per i più.

Papa Francesco e il cambiamento su versanti “soft”

E’ dal suo insediamento, avvenuto nel 2013, che papa Francesco sta mostrando di voler cambiare senza però strappi. Il suo percorso di cambiamento avviene sui versanti soft, quelli dove gli scudi interni dei suoi oppositori non si alzano. Mi spiego meglio: la Chiesa Cattolica, nonostante forse potrebbe non esserlo, è un’organizzazione normativa, derivata nell’essenza dal diritto romano, a partire dal nome di chi la governa Pontefice (dalla carica Pontifex). Quindi, ogni modifica nelle norme, nei documenti ufficiali, genera grandi reazioni, molto più delle parole.

Ma papa Francesco sa bene che le parole, in una società basata sempre più sulla comunicazione hanno un peso importante. Ed infatti sulle parole ha costruito il suo processo di rinnovamento. Badate bene, non intendo dire che si sta soffermando su aspetti volatili per non impegnarsi, all’insegna di Verba volant, scripta manent. Piuttosto ho la sensazione che papa Francesco conosca bene la Chiesa Istituzione e conosca altrettanto bene il mondo. Sa bene che la norma non può essere cambiata e per questo agisce utilizzando altri strumenti.

Da dove deriva la consapevolezza che la norma non possa essere cambiata? Dai piccoli esperimenti fatti in occasione dei Sinodi. Dall’inizio Papa Francesco ha fatto intendere di voler affidare un nuovo ruolo ai Sinodi: quello di ascolto e raccolta delle esigenze e delle speranze delle persone dal basso. Il primo Sinodo, quello sulla Famiglia del 2014, aveva all’inizio fatto intendere importanti passi in avanti sui temi della morale (coppie divorziate, persone LGBT+, …) che poi, dopo la discussione intermedia, sono arrivati a compimento solo in minima parte considerati gli scudi sollevati dalle diocesi africane, nord americane e est europee.

Sinodo è strumento fondamentale

A quello sulla famiglia del 2014 ne è seguito un secondo straordinario, sempre sulla famiglia, nel 2015, uno sui giovani nel 2018, per poi arrivare al grande Sinodo generale Per una Chiesa sinodale in missione che durerà dal 2021 al 2024 e che, sin dall’inizio ha avuto l’obiettivo di coinvolgimento delle parti più silenti, quelle che negli ultimi decenni si erano allontanate, stancate. Ma vediamo come continui ad essere difficoltoso il dialogo tra le varie parti della Chiesa che sembrano veramente appartenere a mondi diversi. La posizione dei vescovi africani da quella dei vescovi nord europei su alcuni temi è di fatto inconciliabile. Se un vescovo ugandese manifestasse in Olanda apertamente alcune sue posizioni su temi morali, probabilmente potrebbe essere arrestato, e viceversa, lo stesso accadrebbe a un vescovo olandese se sostenesse le sue posizioni in Uganda.

Ma allora dove sta il cambiamento di papa Francesco? Ritorno al tema delle parole, prima dette e poi anche scritte. Papa Francesco conosce il mondo e sa come vanno chiamate le cose del mondo e le persone che abitano il mondo. Nel viaggio di ritorno da Rio nel 2013 fu il primo Pontefice, ad esempio, a utilizzare la parola “gay” e successivamente “omosessuale”. Anche in diversi documenti sinodali, forse perché espressione della raccolta delle opinioni delle persone dal basso, in maniera inedita, si è cominciato a parlare di coppie LGBT+, figli di coppie LGBT+. Ma è anche un Papa che parla con disinvoltura di questioni contemporanee con linguaggio non ierarchico ma comune.

Agire sulle parole significa poter avviare un processo di riconoscimento dell’esistenza di alcune condizioni esistenziali, in qualche modo inserirle nel proprio cannocchiale di osservazione, riconoscerle e quindi doversene prendere cura.

Da qui il passo successivo è la pastorale che non è ancora cambiamento della norma. Anche su questo versante, si è fatto molto, dando finalmente il via libera alle diocesi per avviare percorsi di accoglienza per molte categorie che, quindi, hanno ricominciato a riaffacciarsi nell’ambito delle comunità cristiane.

Ma i prossimi anni saranno cruciali per questo percorso e per vari motivi: prima o poi i cambiamenti, sinora fatti solo intravedere e annusare, devono tramutarsi anche in cambiamento della dottrina, della norma e effettivamente si dovrà decidere quale spazio dare all’apparato formale della Chiesa, quello che sembra stare molto stretto soprattutto ai più giovani.

Il 5 aprile scorso, infatti, l’Università Cattolica ha ospitato la presentazione del volume Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità, a cura di Rita Bichi e Paola Bignardi. Nello stesso contesto sono stati presentati anche i risultati di un’indagine qualitativa svolta dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo su 100 giovani tra i 18 e i 29 anni partendo dalla domanda Perché vi siete allontanati dalla Chiesa?.

Dall’indagine emerge un tasso di partecipazione dei giovani alla Chiesa Cattolica mai così basso e in trend di decrescita continua fino al 2050. Se la diagnosi è chiara, anche le ragioni sono altrettanto chiare: i giovani non vedono rispecchiare le loro modalità, il loro sentire nei cammini proposti dalla Chiesa. Però non si dichiarano atei: rivendicano una propria spiritualità, un proprio desiderio di trascendente ancora molto molto forte.

L’evento di presentazione del libro e dell’indagine dell’Istituto Toniolo

Eppure, nonostante papa Francesco e la sua voglia di cambiamento, la Chiesa Cattolica sembra non avere una velocità di trasformazione pari a quella della società. Secondo me in questo risiede il problema della decrescita della partecipazione dei giovani e generale.

E quando fa un passo avanti, poco dopo è costretta a farne uno indietro. La cosa buona è che il saldo complessivo non è negativo: dall’inizio del pontificato di papa Francesco si è comunque piano piano andati in progressione evolutiva.

Ma in cosa consiste il guado che sta attraversando la Chiesa? Lo si può capire molto bene dalla recente pubblicazione di Dignitas Infinita a cura del Dicastero per la Dottrina della Fede.

Il documento sembra emblematico del barcamenarsi della Chiesa tra innovazione e conservatorismo. Da un lato guarda con grande afflato contemporaneo a concetti legati alla giustizia sociale, come il no alle guerre, allo sfruttamento dei poveri e dei lavoratori, la compassione dell’odissea dei migranti, la rivendicazione di una piena partecipazione alla società delle persone con disabilità e anche, può sembrare strano, ad alcuni aspetti della questione LGBT+, come il no alla criminalizzazione dell’orientamento sessuale ancora presente in molti paesi del mondo. Ques’ultimo punto si può capire solo se si ci ricordiamo che solo pochi anni fa, nel 2011 in particolare, l’arcivescovo Silvano Tomasi, dell’Osservatorio Permanente del Vaticano presente alle Nazioni Unite, nel 2011 si oppose a una proposta di depenalizzazione universale dell’omosessualità presentata in ambito ONU, presentando come “perseguitati” i persecutori degli omosessuali.

Altri temi, invece, sembrano inseriti da un lato senza essere approfonditi, dall’altro per accontentare alcune frange conservatrici e fondamentaliste del cristianesimo da cui la Chiesa di papa Francesco sembra aver preso le distanze negli ultimi anni.

Faccio riferimento ai paragrafi sul “gender” in cui si avvalora l’esistenza di una “fantomatica teoria del gender” che starebbe lavorando per “una società senza differenze di sesso”. Per chi segue le tematiche LGBT+ accostate alla Chiesa è noto che la “teoria del gender” non esista e che il nome stesso sia un’invenzione di alcuni movimenti fondamentalisti che utilizzano questo spauracchio per, di fatto, impedire ogni argomento a favore dell’inclusione e della valorizzazione delle diversità. Gli stessi paragrafi, inoltre, liquidano le esistenze delle persone “transgender” come non degne di realizzazione. La transizione di genere sembra limitata alla presenza di “anomalie genitali” (termine peraltro piuttosto singolare), cosa che interpreto significare intersessualità o ermafroditismo. E pensare che la battaglia delle persone intersessuali sta proprio, invece, nel non vedersi imposta una riassegnazione di genere senza il loro consenso (le riassegnazioni vengono di norma fatte nei primi mesi di vita su proposta del chirurgo e assenso dei genitori).

Lo stesso paragrafo, inoltre, parlando di gender, ribadisce una visione della società centrata sulle differenza sessuale tra uomo e donna

«non possiamo separare ciò che è maschile e femminile dall’opera creata da Dio, che è anteriore a tutte le nostre decisioni ed esperienze e dove ci sono elementi biologici che è impossibile ignorare».

Questo approccio è veramente anticontemporaneo e in ostacolo dei principi di Pari Opportunità di Genere, tanto evocati anche dall’Agenda 2030, perché di fatto raffrorza il concetto che maschile e femminile siano due realtà chiamate a ricoprire ruoli sociali, famigliari, professionali diversi e inconciliabili.

Quasi a sostenere il percorso governativo volto a dichiarare la gestazione universale “reato universale”, il paragrafo dedicato non distingue tra visioni etiche e sfruttamento, non sembra curarsi degli effetti sulle tante famiglie arcobaleno presenti in Italia e nel mondo e sui figli di queste famiglie che sarebbero, secondo la Dichiarazione stessa, considerati “oggetti” dai genitori che li hanno desiderati. Il redattore sembra non curarsi del peso di queste parole sulle famiglie e sui figli nati con questa tecnica che già oggi esistono e sono una realtà non uno spauracchio da evocare.

Lo stesso Dicastero per la Dottrina della Fede, su temi simili, pochi mesi fa aveva invece emesso altre dichiarazioni, come quella sulla leicità che le persone transessuali possano essere battezzate o diventare padrini o madrine o sul diritto al Battesimo per i figli delle famiglie arcobaleno o sulla possibilità di concedere benedizioni alle coppie omosessuali. Passi in avanti che hanno generato infinite polemiche, barricate dalle diocesi africane (fino al dover esentare i vescovi africani dall’applicare il documento sulle benedizioni gay) e, quindi, una serie infinita di distinguo come la imbarazzata precisazione sulla durata “di pochi secondi” delle benedizioni stesse.

Leggere i documenti che la Chiesa Cattolica pubblica ufficialmente può far venire un capogiro: da un lato l’Enciclica “Fratelli tutti” dove si sposano i principi dell’Agenda 2023, uno sviluppo socialmente sostenibile, l’avvento di una società inclusiva che integri tutti e la auspicata trasformazione della Chiesa Cattolica in una Casa comune contrapposta all’idea di “un mondo di soci”; dall’altro la “Dignitas Infinita” che ospita passaggi apparentemente schizofrenici, alternando umanità a chiusure definitive.

Dove si sposterà il peso della bilancia nei prossimi anni? Su questa domanda il futuro della Chiesa Cattolica.

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