La rivoluzione di Papa Francesco nelle sue parole pro LGBT+
“Essere omosessuali non è un crimine”: in queste parole di Papa Francesco si cela una rivoluzione che è già in atto nei Paesi che, secondo i dati ILGA, penalizzano l'omosessualità.
“Essere omosessuali non è un crimine”: in queste parole di Papa Francesco si cela una rivoluzione che è già in atto nei Paesi che, secondo i dati ILGA, penalizzano l'omosessualità.
Il 25 gennaio 2023 Papa Francesco, nel corso di un’intervista rilasciata all’Associated Press, è tornato a pronunciarsi sulle persone LGBT+ scatenando una volta ancora, come se questo fosse il tema maggiormente d’inciampo del suo papato, un vespaio di polemiche, sia tra le frange progressiste sia tra quelle conservatrici.
Ma cosa ha detto? Sostanzialmente ha fatto riferimento al fatto che l’omosessualità è criminalizzata ancora oggi in molti Paesi del mondo e addirittura con la pena di morte. A questo proposito ha ribadito che “essere omosessuali non è un crimine” e poi, a simulare un dialogo tra lui e un oppositore che evocasse la dottrina, “sì, ma è peccato!” per finire tornando alle sue parole dirette: “sì, ma prima facciamo distinzione tra peccato e crimine. E’ peccato anche la mancanza di misericordia verso il prossimo!”.
Immediatamente le agenzie di stampa hanno cominciato a rimbalzare la notizia e i giornalisti ad appropriarsene in articoli che hanno letto il pronunciamento alcune volte come una grande apertura, enfatizzando la novità della decriminalizzazione, e in altre come nulla di fatto per la rievocazione della dottrina evocando il concetto di peccato accanto all’orientamento sessuale.
E’ necessario però approfondire il contesto e la storia delle posizioni vaticane su questo tema per apprezzare il portato rivoluzionario delle semplici parole pronunciate da Bergoglio.
Come si evince dall’ultima mappa pubblicata da ILGA (International Lesbian and Gay Association) nel maggio 2020 sulla legislazione relativa all’orientamento sessuale nel mondo, è evidente la differenza tra la maggior parte dei Paesi occidentali in cui sono riconosciuti, a diversi livelli, i diritti delle persone e delle coppie omosessuali, ed altre parti del mondo in cui sono negati alle persone omosessuali i più elementari diritti, per primo quello alla vita: in Mauritania, Sudan, Iran, Yemen ed Arabia Saudita ed in parti di Nigeria e Somalia l’omosessualità è punita con la pena di morte, mentre in Brunei, Iraq, Pakistan e Qatar la pena di morte, per quanto non implementata, è presente nei codici legislativi ispirati alla sharia.
Sempre secondo i dati dell’ILGA, in 78 nazioni gli atti omosessuali sono illegali; in altri Paesi (ad esempio Russia, Kyrgyzstan, Uganda) sono in vigore o in discussione leggi che restringono la libertà di espressione di individui od associazioni di omosessuali.
Nel 2006, su iniziativa dello scrittore e militante francese Louis-Georges Tin, nasce un movimento internazionale che chiede la depenalizzazione universale dell’omosessualità, sostenuto da molti rappresentanti della politica, della cultura e dello spettacolo, tra cui Bernardo Bertolucci, David Bowie, Dario Fo.
Il movimento riesce nel 2008, durante la presidenza francese dell’UE, a far arrivare all’ONU una proposta di depenalizzazione. Il documento, senza precendenti in ambito ONU, ottiene, il 19 dicembre 2008, il sostegno di 66 Paesi delle Nazioni Unite. Tra gli oppositori, che paventavano la legittimizzazione della pedofilia e altri atti deplorevoli, i Paesi islamici, il Vaticano, la Cina, la Russia.
Monsignor Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, argomentò così l’opposizione vaticana:
« Tutto ciò che va in favore del rispetto e della tutela delle persone fa parte del nostro patrimonio umano e spirituale. Il Catechismo della Chiesa cattolica, dice, e non da oggi, che nei confronti delle persone omosessuali si deve evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione. Ma qui la questione è un’altra. Con una dichiarazione di valore politico, sottoscritta da un gruppo di Paesi, si chiede agli Stati ed ai meccanismi internazionali di attuazione e controllo dei diritti umani di aggiungere nuove categorie protette dalla discriminazione, senza tener conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni. Per esempio gli Stati che non riconoscono l’unione tra persone dello stesso sesso come “matrimonio” verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni.»
Nel 2011 più di ottanta Paesi hanno manifestato il loro sostegno per una dichiarazione per la fine della discriminazione e degli atti di violenza nei confronti della comunità LGBT, originariamente adottata dallo Human Rights Council (OHCHR). Anche in questo caso la Santa Sede ha manifestato opposizione alla dichiarazione, interpretandola come lesiva della libertà di opinione.
Grazie anche al lavoro delle persone cristiane LGBT+ a livello mondiale che, ad esempio, in occasione del Sinodo straordinario sulla Famiglia del 2014 pubblicano il dossier “Per una pastorale di accoglienza delle persone omosessuali e transessuali: proposte per il sinodo dei vescovi” che contiene espliciti riferimenti alla posizione vaticana sulla depenalizzazione dell’omosessualità, negli anni successivi si assiste a un timido progresso nei pronunciamenti dei rappresentanti dell’istituzione, in primis il cardinal Peter Turkson, presidente del Consiglio Vaticano per la Giustizia e la Pace, che a proposito delle leggi in Uganda, dichiarò nel 2014 “gli omosessuali non sono criminali”.
Fattore determinante per il cambiamento di posizione è stato l’arrivo di papa Francesco al soglio pontificio. Da quel momento, sino ad oggi, si è assistito a un progressivo cambiamento dei pronunciamenti dei vescovi locali, in primis quelli africani anche se non seguendo un orientamento univoco e preciso e spesso in un difficile equilibrio tra la necessità di richiamare la dottrina e quella di difendere l’istituto della famiglia.
Per esempio, in occasione della depenalizzazione dell’omosessualità in Gabon avvenuta nel 2020, monsignor Jean-Patrick Iba Ba, arcivescovo metropolita di Libreville emanò una nota che si barcamenava a fatica tra la premessa “maschio e femmina Dio li creò” e la “responsabilità pastorale della Chiesa nell’impegno a rispettare tutte le persone, qualunque sia l’orientamento delle loro vite” per arrivare a condannare “certe organizzazioni internazionali che tendono a condizionare i loro aiuti all’accettazione di modelli di comportamento estranei ai valori millenari ed ai costumi del Gabon” e a paventare il rischio di ulteriori discriminazioni in cui sarebbero potute incorrere le persone LGBT+ a causa della promulgazione della legge di depenalizzazione a cui sarebbe stata contraria la maggioranza dei cittadini. Insomma un grande fritto misto di tesi e contro tesi non necessariamente coerenti l’una con l’altra.
A diradare ogni nebbia e a fugare ogni tentativo di dubbio sulla posizione della Chiesa arriva la semplicità delle parole di papa Francesco che orientano, direi ora in maniera definitiva, quello che sarà la posizione futura della Chiesa nei territori dove l’orientamento sessuale è un crimine.
Alla giornalista di Associated Press che gli chiede se i vescovi locali possano aiutare ad abrogare le leggi, risponde “Sì, sì, devono farlo” anche se, continua “i vescovi di quei luoghi, se sono buoni vescovi, sono dentro la cultura locale e hanno bisogno di fare un processo di conversione“. Ma sopra tutto, conclude papa Francesco, deve vincere “la tenerezza, quella che Dio che ha verso ciascuno di noi”.