Che cos’è la cosiddetta rivoluzione verde? In Italia, dato il ritardo nel dare alla tematica ambientale l’importanza fondamentale che irrimediabilmente ha oggigiorno, le idee che circolano fra le persone non addentro alla militanza ecologista sono piuttosto confuse.

Alcuni hanno l’incubo di una regressione all’idiotismo rurale dei nostri nonni; prendo in prestito l’espressione da Marx e Engels perché la trovo emblematica per descrivere come la società post-industriale guardi alla civiltà contadina. In effetti, non solo nessuno vuole questo ma non è neanche, dopo tanti anni e tanti cambiamenti, possibile né desiderabile ricreare quelle condizioni –  neanche da parte di chi torna alla terra in contesti di co-housing o eco-villaggi. Altri irridono l’idea della necessità di una riconversione ecologica pensandola come una specie di utopistico incantesimo omnicomprensivo e non un insieme di passaggi graduali (alcuni dei quali sono ancora grande fonte di dibattito fra gli attivisti stessi, uno per tutti, il ritorno o meno del nucleare). Altri ancora faticano a capire ad esempio che certi mutamenti nelle abitudini del singolo sono essenziali perché molti singoli formano una collettività che può incidere sul sistema e forzarlo al cambiamento. Le nuove buone abitudini dovrebbero includere l’economia circolare, la riduzione o eliminazione dell’uso della plastica, un ridotto o azzerato consumo di carne, un calo sensibile dei viaggi in aereo, una riformulazione al minimo possibile del consumo di energia non proveniente da fonti rinnovabili, almeno nel privato.

A tal proposito, tre notizie mi hanno rallegrata in questa prima settimana di gennaio. La prima: i numeri snocciolati da Pat Brown che, in difesa della sua azienda, cita le percentuali di convenienza in termini ambientalistici della sua carne creata in laboratorio – 87% in meno di acqua e 89% in meno di anidride carbonica non è una percentuale da sottovalutare. Del resto, quando l’imprenditore e genetista dice che se una catastrofe mondiale non riesce a far cambiare alimentazione in massa bisogna muoversi in altra maniera non posso dargli torto.
La seconda: il nuovo Airbus A380 di Fly Emirates che funziona anche a olio esausto.
La terza, a livello di microeconomia, il cashback locale organizzato dai paesi dell’Appennino bolognese per accentuare gli acquisti in zona. In Italia il lockdown e l’aumento della povertà purtroppo non hanno contribuito a far apparire meno pericolosa una proposta come quella della moneta locale, nonostante non abbia causato danni all’economia nazionale in altri contesti dove è istituita da tempo come la città di Bristol. Fa piacere che per altre strade si arrivi a concetti simili, che probabilmente in futuro avranno il loro peso.

Tutto ciò però ovviamente non basta. A ogni rivoluzione deve precedere un cambio di mentalità, prima di tutto nei confronti dell’ambiente: la ricchezza degli ecosistemi dev’essere rispettata e l’essere umano deve riconoscere che la sua parte biologica non può prescindere dal non-umano. Corollario: i megainterventi rischiosi per la salute del pianeta andrebbero evitati. Un’idea come lo stoccaggio di anidride carbonica sotto Ravenna è l’esempio emblematico di come si affrontano i problemi senza un cambio di mentalità, e non è tanto il greewashing delle compagnie petrolifere che sorprende ma il supporto di forze politiche che si erano spese per una svolta sostenibile.
Ecco, il graffiante romanzo Solar di Ian McEwan, uno dei libri che ha portato alla ribalta nel 2010 in ambito anglosassone il rapporto fra letteratura e clima, pur non essendo propriamente una cli-fi, è una satira divertente e cattiva che parte dal seguente presupposto: che succede se un mediocre megalomane consumista inguaribile diventa per una serie di equivoci il premio Nobel su cui cala l’aspettativa di una rivoluzione nelle risorse rinnovabili?  

Leggendo Solar di McEwan ho riso come si ride davanti ai film di Alberto Sordi: risate di imbarazzo davanti a un pomposo mediocre che fa brutte figure ma se la cava sempre.
Il protagonista, il professor Michael Beard, campa di rendita sul Nobel ricevuto in gioventù e non ha niente della mentalità sostenibile che dovrebbe impersonare. Consuma cibo – e junk food – compulsivamente, consuma altrettanto compulsivamente matrimoni stancandosi dopo un po’ della monogamia. Quando però si ritrova sposato a una moglie che accetta di buon grado la coppia aperta, soffre ritrovandosi improvvisamente nella posizione del geloso che desidera perché ha paura che gli portino via ciò che ha. Non è certo amore, è senso del possesso vagamente maschilista figlio di quella modalità dell’avere di cui parla Fromm, tanto diffusa nel nostro presente materialista. Quanto al cambiamento climatico, cito testualmente: “[Beard] Ovviamente era consapevole che una molecola di diossido di carbonio assorbe energia nel campo dell’infrarosso, e che gli esseri umani stavano immettendo queste molecole nell’atmosfera in quantità significative. Ma quanto a lui, aveva altro a cui pensare”.
Il cialtrone del domani ha sempre altro a cui pensare.
Beard accetta infatti il posto come capo dipartimento in un centro di ricerca sulle energie rinnovabili più per evadere dalla vita coniugale che per devozione alla causa ecologica. Inutile dirlo, sul lavoro la sua è tutta fuffa: inizialmente dona il suo nome alle università per accrescere il loro prestigio ma di fatto non insegna, nel corso del libro fa di peggio rubando e firmando, per una serie di circostanze, l’idea di un giovane scienziato che non gli sta neanche troppo simpatico. In questa circostanza si dimostra anche discretamente codardo. Ma non voglio fare spoilers, questo libro va goduto.

In effetti, Solar rappresenta il primo romanzo in cui McEwan si confronta con il comico. Ha vinto perfino il premio Bollinger Everyman Wodehouse per la letteratura di fiction comica. Utilizzare questo tipo di registro invece che il post-apocalittico è un colpo di genio quasi da commedia all’italiana in stile Risi: l’urgenza, parlare dei nuovi mostri divertenti e pericolosi, è simile. Certo si tratta di comicità piuttosto dark, cioè che contiene un risvolto ben poco edificante: nel leggere delle avventure di un cialtrone (macchiettistico ma con sprazzi inquietanti di verosimiglianza) come Beard, McEwan sottilmente ci suggerisce che con questo tipo di mentalità la Terra è spacciata. Proprio così, spacciata.

L’intento di McEwan non è tanto dipingere il cambiamento climatico per farlo immaginare al lettore, quanto fare l’identikit (caricaturale ma efficace) della tipologia media di cialtrone titolato su quale non si potrà fare affidamento un domani e di un modo di affrontare la vita – quello consumistico / materialistico – la cui trasformazione in altro sarà la vera rivoluzione. Dato che oggi il problema del cambiamento climatico è più pressante che nel 2010, ma i grandi uomini che hanno altro a cui pensare sono ancora troppi, è bene tenere di conto del profilo segnaletico tracciato da McEwan per riconoscere i vari Beard del mondo.

Ancora, McEwan non ce l’ha solo con scienziati o uomini politici: nella meravigliosa sezione del viaggio nell’Artico ispirata a un viaggio simile fatto dall’autore, che mi ha fatto sghignazzare sul treno ad alta voce quando il protagonista fa pipì al gelo e ha la paranoia che il membro gelato gli si stacchi dal corpo, ce n’è anche per gli artisti.
Beard scappa nell’Artico per lasciarsi alle spalle sia la moglie che il giovane collega pedante di cui ruberà il progetto, ma il fine del viaggio sarebbe far incontrare scienziati e artisti e fargli toccare con mano gli effetti del cambiamento climatico. Ebbene, l’unico scienziato è lui – ed è anche l’unico non preoccupato dal cambiamento climatico. Gli artisti sono molto preoccupati, ma le loro azioni creative sono fini a se stesse: si fatica anche a fidarsi della loro poca coerenza e del loro eccessivo astrarre. Sono sicuramente più simpatici dello scienziato, poco ma sicuro. Sono talmente idealisti che Beard ne è a tratti intrigato a tratti imbarazzato e un personaggio a un certo punto durante una serata afferma che lo scienziato è l’unico a star facendo qualcosa di reale per il cambiamento climatico. Se non ci fosse da ridere ci sarebbe da disperarsi.

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