Dall’11 al 30 Marzo presso il Teatro Sette di Roma una commedia che affronta argomenti di attualità e profondità: Believe it! Ne parliamo con il suo protagonista maschile, Alessandro Salvatori.

Che significa per lei credere e quali ritiene siano le forme migliori per comunicare oggi questa dimensione?
Oggi siamo circondati da un meccanismo che produce notizie disorte e persone che cercano di convincerti della loro verità. Basta un profilo social per torcere la realtà a tuo beneficio. Qualsiasi tipo di realtà: dal presidente degli Stati Uniti, come accade in questi giorni, al nuovo influencer di moda…chiunque ha la possibilità di influire e influenzare il resto del mondo e convincerlo di una sua credenza. Nell’accezione un po’ più profonda, credere per me è qualcosa di radicato nella mia anima, nella mia personalità, nel mio retaggio e nel mio passato. Per spiegarmi meglio, è tutta una serie di esperienze e di vissuti che hanno creato la mia storia e tutto ciò in cui credo ed il teatro ne fa ovviamente parte. Credo profondamente che il teatro sia un incredibile modo di influenzare in maniera positiva gli altri. Il teatro ha una connessione diretta con il trascendentale: è nato per far capire alla gente, attraverso un altro linguaggio, ciò che non riusciva ad afferrare. Spesso si confonde il credere con la fede in qualcosa di sovrannaturale, un interruttore esterno da cercare e che deciderà per noi. Io credo, invece, che l’interruttore ce l’abbiamo in mano noi e questa è la lettura che io attribuisco anche a questo spettacolo: tutto quello che fai dipende solo da te! Può accadere di tutto attorno, ma la reazione è qualcosa di personale, una decisione che spetta al singolo.

 In quali ambientazioni vi muovete? 
L’ambientazione fisica è l’interno della casa dove vive la famiglia di Elia e Sara, con i loro due figli Mirko e Serena ed Elvira la mamma di Elia. Ad inciampare in questa famiglia è Tullio, un amico di Mirko, ma soprattutto un personaggio surreale, un dottore, che è il conduttore della trasmissione tv Believe It! È una specie di guru che vorrebbe insegnarti i metodi per vivere più a lungo, che ti aiuta a dimagrire, a smettere di fumare. È la parte comica dello spettacolo affidata a Pietro Becattini. Believe It! attraversa più atmosfere, dove ci sono tanti silenzi, tanti sguardi. Tra noi attori c’è un lavoro di connessione, uno spazio comunitario, in cui ognuno è un’isola che fa parte di un arcipelago ed ogni isola è connessa l’una all’altra, quindi da un punto di vista emotivo ci troviamo in un arcipelago di stati d’animo.

Chi è Elia e che dinamiche ha con gli altri personaggi?
Elia è un capofamiglia che a un certo punto della sua esistenza subisce una serie di traumi. Ora ha una malattia invalidante, che non gli permette di essere quel capofamiglia che vorrebbe. È un uomo estremamente fragile che vive un grossissimo senso di colpa perché ha fatto delle promesse e non le ha potute mantenere e non riesce a rimettersi in piedi. Elia è rimasto lì, ancorato allo scoglio del senso di colpa e da lì guarda i figli, la moglie, la madre. Ad un certo punto si accorgerà che c’è un interruttore da poter accendere.

Su che binari viaggia questo testo per coinvolgere lo spettatore? 
Lo spettatore si può rivedere a livello emotivo in ognuno dei personaggi, perché chi è che non sia mai sentito come Elia per esempio? Believe It! non è una commedia usuale: è uno spettacolo in cui ci si appassiona proprio al percorso personale di ognuno dei personaggi, tutti, si esce da teatro con la sensazione che davvero le cose possono cambiare. Ecco, questo è il punto forte dello spettacolo di Roberta Skerl. Con la regista Vanessa Gasbarri ricordo che la prima volta che abbiamo letto Believe It, io ero veramente molto emozionato, ero in lacrime: ha descritto rapporti veri, una famiglia reale, in cui ci sono dinamiche di fragilità, di complicità, di divertimento, di sofferenza, stati emotivi che riguardano tutti. Chi verrà a vedere lo spettacolo entrerà a fare parte di questa famiglia, sarà l’ennesima isola che entra in questo arcipelago ipotetico di cui parlavamo prima.

Una collaborazione consolidata quella con la regista Vanessa Gasbarri, che tipo di lavoro ha svolto?
Con Vanessa ci sono proprio delle affinità elettive, spesso abbiamo una prospettiva molto simile e quando ci accorgiamo in fase di montaggio di alcune diversità, capiamo che sono un valore, perché è un continuo segnalarsi qualcosa che potrebbe essere osservato con diverse lenti. Spesso sono due prospettive che guardano nella stessa direzione. La maggior parte delle volte ci piacciono gli stessi copioni e per questo sono quasi 13 anni che collaboriamo. Il processo lavorativo è consolidato: lei conosce benissimo le mie capacità, le mie possibilità, e riesce a plasmarmi rispetto a quello che vuole rendere in scena. Con Vanessa basta uno sguardo, una parola per intuire dove vuole portare la temperatura di una scena.

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