La mia professoressa al liceo diceva “solo se sapete definire una cosa, potete dire di conoscerla” e, memore di queste parole, mi accorgo così di non sapere più molto.

Qualche giorno fa una persona ipovedente mi ha chiesto di definire una carriola e io mi sono trovata a pensare di non sapere cosa fosse una carriola poiché dare una definizione corretta e soprattutto esaustiva mi sembrava difficile, e perché “attrezzo per trasportare cose” era chiaramente insufficiente. 

Ecco, questo stesso stato di confusione mi ha colta di nuovo davanti al titolo dell’ultimo romanzo di Chiara Marchelli, Redenzione (NN editore).

Direte voi, se non sai definire carriola è verosimile che tu non sappia trovare le parole per un concetto di questa portata. Nel concetto di redenzione, infatti, faticavo a trovare il soggetto agente: la redenzione me la prendo? me la danno? Ѐ assoluzione data o ricevuta? Ѐ liberazione ottenuta o concessa? Mi sono chiesta se redenzione avesse valore attivo, quello di redimere, o passivo, quello di redento, o anche riflessivo, quello di redimersi.

Ovviamente mi sono messa a fare un po’ di ricerca, che lascio fare anche a voi se avete il mio stesso dubbio, ma intanto vi dico che la redenzione di Chiara Marchelli è doppia, perché l’autrice parla di liberazione data e ricevuta e di un perdono assoluto, nel senso di sciolto, libero dall’egoismo.

Sono abituata a pensare che concetti come la redenzione, il perdono, la fede siano spirituali e che quindi appartengano alla sfera opposta a quella del corpo, ma ho scoperto che non è così, che la redenzione è (anche) legata al corpo. 

Questo giallo parla di oscuri sentimenti e di terribili confessioni, e racconta soprattutto di tanti corpi e della complessità e dei conflitti che emergono attraverso le contraddizioni del corpo. Come il corpo della vittima, che una volta spogliata dei vestiti, perde parte della propria storia; come il corpo di un genitore che invecchia in un istante di fronte alla scomparsa di un figlio.

C’è soprattutto il corpo di Giorgia, la protagonista, che il suo corpo lo ha controllato, studiato e analizzato, lo ha ridotto alla fame, un corpo che più si assottigliava e più diventava potente. Il corpo di Giorgia ha desiderato eternamente e ha cercato una perfezione che non può avvenire se non con la sua stessa eliminazione: non può essere imperfetto ciò che non esiste più

Il romanzo ci racconta che il corpo di Giorgia è stato come quello di Santa Caterina, che mostrò la dedizione a Dio attraverso la rinuncia al cibo e quindi alla sua corporeità: come per la Santa, anche per Giorgia annullare le forme e i bisogni del corpo significa abbandonare le debolezze e togliere, e solo così elevarsi, purificarsi e infine redimersi

Nel romanzo la violenza è efferata, ma non gratuita, e il male inflitto è la forma degenerata e malata della liberazione dal male e di una redenzione crudele. Una ferocia incomprensibile a tutti tranne, forse, a chi quella violenza sul proprio corpo la conosce.

Il romanzo, edito da NN editore (qui vi avevo già espresso il mio amore per il loro catalogo), racconta la prima indagine di Maurizio Nardi e speriamo sia solo la prima.

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