C’è voluto forse un po’ più tempo di quanto si era preventivato, ma le leggi contro le libertà delle donne afghane tornano in auge grazie al nuovo regime talebano, determinato più che mai a tornare alla situazione pre-2001.

C’è voluta la squalifica di Manizha Talash, atleta appartenente alla squadra olimpica dei rifugiati, rea di aver mostrato la scritta Liberate le donne afghane al termine della sua prova di breaking per ricordare al mondo le precarie condizioni della popolazione del suo paese nativo. Qualche giorno prima è stata la volta di Kimia Yousofi, in gara nei 100 metri (una dei soli sei atleti partecipanti sotto la bandiera dell’Afghanistan) a mostrare un messaggio scritto a pennarello sul retro del suo pettorale: educazione, sport, i nostri diritti. Kimia è arrivata due secondi dopo la vincitrice della sua batteria, ma ha sfruttato il tempo in pista per richiamare l’attenzione mondiale. 

Piccoli grandi gesti di coraggio, che però sono stati ignorati sia da chi li doveva ricevere che da chi detiene il potere a Kabul negli ultimi tre anni. 

Afghanistan, cosa è successo dal 2021

L’incredibile presa della capitale afghana in pochissimi giorni da parte dei talebani, complice l’incapacità politica e militare del governo ufficiale a far fronte all’avanzata, ha gettato il paese nel caos. Tutti ancora ci ricordiamo le immagini disperate degli afghani – in particolare chi aveva collaborato con le forze straniere – mentre tentavano di raggiungere l’aeroporto e di issarsi drammaticamente sugli ultimi aerei in partenza. Ricordiamo le persone aggrappate alle ali e al carrello, precipitate a terra pochi secondi dopo il decollo, in un macabro parallelo con i cittadini statunitensi che preferirono lanciarsi dalle finestre delle Twin Towers piuttosto che attendere una morte lenta e dolorosa.

Già nelle prime settimane dopo la presa di Kabul i talebani hanno iniziato a limitare la vita di donne, bambini e delle minoranze etniche afghane. Per le donne quasi subito è scattato il divieto di lavorare fuori dall’ambito domestico – cosa che ha messo in crisi anche molte organizzazioni umanitarie che dipendevano dal personale locale, sia maschile che femminile – poi si è parlato di sposare forzatamente tutte le donne e le ragazze nubili con guerriglieri che avevano partecipato alla ripresa del paese, cosa che ha spinto molte forze internazionali a far scappare quante più persone possibili prima che fosse troppo tardi. Limitazioni anche alle possibilità di studiare per le ragazze, vietando prima di tutto le scuole a frequenza mista e in seguito la frequenza in totale dopo la formazione primaria.

Tra le misure adottate che hanno destato più attenzione, o curiosità, sono stati chiusi i saloni di bellezza e militanti talebani sono andati a cancellare con le bombolette spray le immagini dimostrative dei tagli o dei trucchi, perché neanche la fotografia di una donna era più tollerabile, in quest’ottica incomprensibile.

La nuova legge promulgata dai talebani

Con questa legge promulgata negli ultimi giorni, la sharia torna ufficialmente a essere il sistema normativo dell’Afghanistan a tutti gli effetti. La nuova legge sulla moralità è composta da 35 articoli che vanno a colpire gli uomini ma soprattutto le donne.

«Secondo questa legge, il Ministero [per la prevenzione del vizio e la propagazione della virtù, ndR] è obbligato a promuovere il bene e a proibire il male in conformità con la sharia islamica», ha spiegato il portavoce del ministero della Giustizia, Barakatullah Rasoli.

Le donne devono ufficialmente tornare a coprirsi completamente, viso compreso, per uscire di casa; devono evitare di guardare uomini con cui non sono imparentate e non possono più parlare in pubblico. Anche la voce di una donna infatti diventa awrah nell’ottica dei talebani, una parte intima, e non deve essere udita in pubblico, se non in caso di estrema necessità. Vietata dunque anche la musica con voci femminili. Ulteriori limitazioni alla libertà di movimento femminile derivano dal divieto ai conducenti di mezzi pubblici e taxi di far salire donne a bordo se non accompagnate da un guardiano maschile.

Qualsiasi forma di gioco o di intrattenimento è haram, proibita, così come la pubblicazione di foto o illustrazioni di esseri umani. Per gli uomini, i divieti comprendono l’obbligo di non alzare gli occhi su donne che non fanno parte della propria famiglia (un divieto assurdo bipartisan, che però non lo rende meno grave), di farsi crescere la barba di almeno un pugno di lunghezza e di evitare sia stili di acconciature che di abbigliamento che richiamino i costumi occidentali, ritenuti immorali. Tra questi, il divieto di indossare la cravatta, che secondo il regime talebano sarebbe un riferimento alla croce cristiana. 

La legge inoltre autorizza la polizia morale del regime (la Muhtaseeb) a eseguire controlli a discrezione per verificare l’aderenza dei cittadini a queste norme. Non esiste una sfera privata, perché sono autorizzate le ispezioni di abitazioni, computer e telefoni. I cittadini afghani ritenuti sospetti di aver tenuto comportamenti immorali possono essere tratti in arresto e tenuti in carcere da un’ora fino anche a tre giorni. Questo è un inasprimento dei controlli già attivi, visto che nell’ultimo anno almeno 13mila persone sono state fermate dalla polizia morale, di cui almeno la metà trattenute per 24 ore. 

Le sanzioni però possono andare da consigli, avvertimenti di punizione divina alle minacce verbali e la confisca dei beni, ma la legge giustifica qualsiasi altra punizione ritenuta appropriata. Ma chi decide cosa è appropriato, specie in termini di punizioni? Cosa succede in particolare alle donne sole?

L’Afghanistan è ancora più pericoloso dell’Iran per le donne

Il parallelo con l’Iran, paese per certi versi più civile, è abbastanza scontato. Da quasi due anni vanno avanti le proteste delle donne e di gran parte della società civile scaturite dopo la morte di Mahsa Amini, una ventenne rimasta uccisa dopo un fermo della polizia morale per non aver indossato il velo correttamente. Dopo di lei sono state diverse le donne vittime di percosse e violenze sessuali durante i fermi. Altre, come manifestanti uomini, sono state condannate a morte.

L’attenzione occidentale su quanto sta succedendo in Iran è andata a diminuire. La narrazione sul Medio Oriente si concentra sulla crisi di Gaza, in cui Teheran sta giocando un ruolo cruciale, minacciando di estendere il conflitto contro Israele. L’opinione pubblica non sa che posizione prendere, in una rappresentazione dove tutto è bianco o nero: l’Iran è l’alleato buono di Hamas o è il regime cattivo che opprime le donne e la società civile? Eppure non si dovrebbero usare questi aggettivi né aderire a una polarizzazione del genere, che rende impossibile capire la complessità geopolitica della zona né l’uso strumentale della religione per dominare e soggiogare la popolazione all’egemonia.

Se questo è vero per l’Iran, l’Afghanistan, in confronto, è caduto nel dimenticatoio, forse anche a dimenticare le colpe di quell’Occidente che ha ratificato gli accordi di Doha nel 2020 per il ritorno dei talebani, per quanto non comprendessero alcun tipo di garanzia o tutela di donne e minoranze. 

Il regime di Kabul ufficialmente non può essere riconosciuto a tutti gli effetti fino a quando non saranno tutelati i diritti delle donne, ad esempio riaprendo le scuole superiori per le ragazze. I talebani tuttavia rispondono sostenendo che il rispetto delle donne debba essere declinato secondo le tradizioni e usanze locali e secondo l’interpretazione della legge islamica, invitando gli osservatori e gli operatori internazionali a starne fuori. In questo braccio di ferro ideologico, a farne le spese sono le donne, che negli ultimi vent’anni hanno assaporato un po’ di libertà e che ora si ritrovano riportate indietro prima dello scoppio della guerra.

Cosa è possibile fare, per queste donne?

Ci sono tanti progetti umanitari per cercare di mantenere accesa la luce sull’Afghanistan e aiutare le donne che, come raccontano Lucia Capuzzi, Viviana Daloiso e Antonella Mariani, cercano di resistere (Noi, afghane: Voci di donne che resistono ai talebani): dalla sanità al sostegno per la microimprenditoria, molte sono le donne che cercano di non abbandonare le loro sorelle afghane. L’Unione Donne in Italia dal 2021 chiede attenzione e impegno diplomatico per impedire che la questione venga dimenticata, lasciando sulle spalle di poche donne coraggiose, come Kimia Yousofi e Manizha Talash, il difficile compito di rappresentare tutte le loro connazionali. Teniamo la luce accesa.

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