Tramite l’Associazione Italia Cuba e l’ambasciata cubana una delegazione ufficiale di medici italiani da me condotta ha visitato nel 2014 i quattro luoghi dell’eccellenza sanitaria cubana all’Habana: la Scuola Latino Americana di Medicina, l’Istituto di Biotecnologia e Genetica, il Centro di Ingegneria Molecolare e l’azienda farmaceutica statale Bio Lab. 

In questo primo articolo voglio soffermarmi sull’alto livello della sanità a Cuba per metterlo in relazione alla situazione attuale di pandemia. 

L’identità cubana post rivoluzionaria è stata sempre legata al tema della salute fuori da tutte le logiche economiche e di potere che hanno portato big pharma a pesare sulle politiche mondiali.

L’idea della medicina preventiva propriamente detta che dovrebbe essere la priorità di ogni stato avanzato ha in Cuba una delle massime espressioni.

Tutto nasce nel 1999 con l’istituzione della Escuela Latino Americana de Medicina (ELAM) e lo studio di un programma di prevenzione, cura e riabilitazione elaborato dopo i due uragani del 1998 che causarono un numero impressionante di vittime.

Alcuni giorni dopo il passaggio degli uragani partirono da Cuba le brigate della salute, medici volontari specializzati in diversi settori che raggiunsero le località più remote del Centro America ed iniziarono a provvedere ai bisogni sanitari immediati dei campesinos.

Da questa cooperazione sanitaria nasce il programma di formazione universitaria per medici provenienti dai paesi caraibici e sudamericani. L’obiettivo era, ed è, di formare a Cuba futuri medici per il mondo sotto-sviluppato.

La Scuola sorge in un’ex accademia navale a Santa Fe a 3 km e mezzo dal centro dell’Habana su un’estensione di ben 1.200.000 mq.

È stata progettata per accogliere 3500 studenti per anno: giovani che sognano di studiare medicina nei loro paesi, ma non ne hanno la possibilità. Quindi il 75% degli alunni proviene da quelle comunità che hanno bisogno di medici, in particolare, da una grande varietà di minoranze etniche e popolazioni indigene.

Attualmente la scuola diploma circa 1500 alunni all’anno e nei programmi scolastici è inclusa l’attività fisica sportiva (secondo l’idea che il medico per primo debba attuare quelle pratiche di prevenzione di cui è tenuto a farsi promotore) e i corsi di lingua inglese con un esame per anno. La pratica si effettua sia nei reparti ospedalieri, sia nei centri di assistenza primaria.

Un altro fiore all’occhiello della sanità cubana è l’Istituto di Biotecnologia e Genetica (CIGB) nato nel 1986. Tutto iniziò nel 1978 quando si riunirono un gruppo di ricercatori a costituire il gruppo di Ingegneria genetica nel CENIC. Il progetto promosso da Fidel Castro si avvalse di un accordo con l’oncologo nord americano Randolph Lee Clark che permise a due medici cubani di frequentare l’Ardenson Hospital di Houstom in Texas. Così che nel 1982 si inaugurò il Centro di “Investigaciones Biológicas” (CIB) e successivamente nell’’86 il CIGB. Cuba è riuscita a istituire un’industria biotecnologica in grado di competere senza complessi con i più elevati standard scientifici in tutto il mondo, nonostante i problemi economici e di sottosviluppo del paese. 

La sanità a Cuba è di livello molto alto in contraddizione con un PIL da terzo mondo. Dobbiamo entrare nella storia di questo paese per comprendere questo paradosso positivo: dopo la rivoluzione a Cuba rimasero solo 16 professori di medicina e 3000 dei 6.000 medici precedentemente presenti. Il governo fu allora costretto a regionalizzare i servizi sanitari con un programma nazionale.

Fu istituito un servicio médico rural per garantire soprattutto a chi era lontano dai centri urbani la prevenzione delle malattie e per dare un servizio sanitario ai più bisognosi o in precarie condizioni di salute. Furono realizzati 50 nuovi ospedali rurali e 160 policlinici in aree urbane, fu iniziato un programma di vaccinazione dei bambini e fu istruito nuovo personale.

Il Governo post rivoluzionario stabilì che la salute e l’educazione dovevano considerarsi una responsabilità sociale e un diritto individuale dei cittadini ed era quindi necessario creare un unico servizio nazionale di assistenza sanitaria, e fornire prestazioni sanitarie gratuite e accessibili a tutta la popolazione cubana. 

Nel 1986 venne introdotto il Programma del Medico di Famiglia, che mise a disposizione dei pazienti un team costituito da medico e infermiera e garantì, a partire dai primi anni ‘90, l’assistenza primaria al 95% delle famiglie cubane direttamente nel proprio quartiere di residenza.

Medici e infermieri sono integrati nelle comunità locali, come lo erano i medici condotti italiani di antica memoria. “Tutti i cittadini cubani hanno un controllo di routine annuale, e se non vai, il dottore verrà a trovarti ha affermato Clare Wenham, assistente professore di politica sanitaria globale presso la London School of Economics and Political Science – c’è una vera enfasi sulla prevenzione”. Cuba è riuscita a realizzare alcune cose che pochi paesi occidentali sono stati in grado di ottenere: parità di accesso al servizio sanitario per l’intera popolazione ed equità nello stato di salute. 

Cuba ha istituito il suo modello di clinica di vicinato/domicilio nel 1984, un approccio olistico, familiare e di vicinato all’assistenza sanitaria completa della comunità. Il medico di famiglia e l’infermiera vivono nel quartiere. I focolai di malattia possono essere rilevati più o meno immediatamente.

Secondo un modello noto come CARE, i pazienti sono stratificati in quattro categorie: apparentemente sani, a rischio di malattia, malessere e in riabilitazione o guarigione. Le persone a rischio di malattia includono persone in sovrappeso, diabete o ipertensione.

Quando Cuba ha registrato il suo primo caso di COVID-19 l’11 marzo 2020, sapeva già dove si trovavano i suoi cittadini più vulnerabili. 

Il programma sanitario internazionale riguarda la solidarietà; Cuba crede che le popolazioni sane siano il fondamento della società globale e vogliono sostenerlo in ogni modo possibile e lo dimostrano i suoi interventi nel mondo: nel 1960 ha partecipato ai soccorsi dopo il terremoto cileno, nel 1963 ha inviato operatori sanitari per assistere il nuovo stato indipendente dell’Algeria. Nel 2005 ha fondato la Brigata Henry Reeve  un Contingente Sanitario Internazionale 

 ed ha inviato quadri di professionisti sanitari in tutto il mondo per combattere i disastri e le epidemie.

Medici cubani erano sulla scena ad Haiti durante l’epidemia di colera seguita al terremoto del 2010; sono arrivati ​​in Africa occidentale durante la crisi di Ebola del 2013-2016. E quando COVID-19 si è diffuso in Europa, due squadre altamente specializzata nel trattamento di pazienti colpiti da virus sono sbarcate in Italia. 

Nei giorni più bui della pandemia, a Crema e poi a Torino, sono arrivati 91 tra medici e personale sanitario cubano.

L’impegno complessivo di questa Brigata durante il picco della pandemia da corona virus, ha significato l’invio di oltre 1.000 operatori sanitari in 18 paesi di tre continenti. Oltre all’Italia, il personale sanitario cubano è stato inviato in Angola, Togo, Nicaragua, Venezuela, Suriname e Belize. I gruppi di operatori sanitari cubani sono stati inviati anche in molti paesi caraibici: tra gli altri Giamaica, Haiti, Santa Lucia, Barbados, Saint Vincent e Grenadine, Antigua e Barbuda, Dominica, Saint Kitts e Nevis, Granada. Tutti questi paesi hanno ricevuto una combinazione di medici, infermieri e tecnici. 

Cuba dopo aver tenuto a bada SARS-CoV-2 per la maggior parte del 2020, nel 2021 ha subito un’ondata di infezioni. All’8 marzo, il paese aveva segnalato 55.693 casi di COVID-19 e 348 decessi. Nel solo febbraio si sono verificati 23.093 nuovi casi, quasi il doppio rispetto a tutto il 2020. Cuba sta ancora facendo molto meglio della maggior parte degli altri paesi della regione, ma è urgentemente necessario un vaccino, e ne ha in sperimentazione cinque.

Ma di questo parleremo in un prossimo articolo.

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