Ecco, si, vi vedo, siete tornati. Maria, Armando, Attilio, Giovanni, Antonio , Guido, Roberta, Claudia, Giacomo, Giulia, Livio, Alessandra, Anna, Francesca… Una trentina di apprendisti scrittori e scrittrici che, nel corso del tempo, si selezionano per scoraggiamento. Diventano diciannove, diciassette. Hanno in comune un confuso desiderio di diversità, la certezza non dimostrata che la vita non si esaurisce nel guadagnare e spendere, desiderarsi e accoppiarsi, scegliersi una squadra e tifarla, avere successo e farsi invidiare. Non sono torvi nè presuntuosi, non sono superficiali nè ingenui.

Le femmine non prestano troppa attenzione al loro aspetto, carine naturali, nessuna ha le tette rifatte. Hanno tutti meno di 30 anni. Mi guardano col rispetto che si deve all’artigiano anziano, quello dove ti hanno messo a bottega. Per imparare come si fa.

 Dico subito: “Verso le scuole di scrittura tutti ostentano un atteggiamento fideistico: ci credo, non ci credo. Come se si trattasse di aderire a una setta. In realtà insegnare a scrivere , fuori dal dominio dei fondamentali – alfabeto, grammatica, sintassi – ha a che vedere con la capacità di instaurare una relazione, fra chi scrive per passione e professione e chi a quella dimensione vorrebbe accedere”.

Dico poche altre cose: che cos’è lo stile. Come ci si pone davanti al progetto di scrivere: psicologicmente, moralmente, tecnicamente. Sulla tecnica occorre essere cauti, troppo facile, per l’artigiano anziano, sfornare cloni, imporre le proprie soluzioni, la respirazione dell propria pagina. E poi intreccio, trucchi, ritmi, mondo poetico, sottotesti. Io ho evitato il rischio cercando di scoprire la voce di ciascuno. Antonio va pazzo per Don De Lillo, e si vede da come scrive spericolato. Claudia ama John Irving. A Giacomo piace Nick Hornby, infatti Giacomo e Claudia si amano fra loro e così via.

Poi ho dettato, come in classe, sei temi. Titolo e sottotitolo, da sviluppare come meglio si crede: racconto poemetto, saggio, elzeviro, perorazione, inchiesta giornalistica, monologo teatrale, canzone… perfino romanzo, purchè liofilizzato… ridotto a brevità, tipo: il primo capitolo più riassunto del seguito.

Li propongo anche a voi, evanescenti followers di questo blog di ri-scrittori. Uno per volta. Non so perchè, ma incomincio dal secondo.

Tema. Svolgimento. Cari saluti. Li riceverò, li leggerò. Ne farò buon uso. Cioè: visto che ci incontriamo nel tempio sacro della riscrittura, vi regalerò un perfetto editing, come quelli per cui si paga.

TITOLO: FAMIGLIE VI AMO! FAMIGLIE VI ODIO! FAMIGLIE CHE PALLE!

(Sottotitolo: genitori carini, genitori cretini, genitori amabili, genitori mascherati da amici, genitori assenti, genitori invadenti… chiunque sia sopravvissuto alla sua infanzia, diceva Flannery O’Connor, è in grado di scrivere un romanzo). E siccome Flannery O’Connor (1925-1964), scrittrice nordamericana, vissuta e morta troppo presto, ha ragionato e predicato sulla scrittura con una profondità mai raggiunta da alcuna scuola Holden o non Holden, vi consiglio: Il volto incompiuto. Saggi e lettere sul mestiere di scrivere. Illuminante.

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