Dunque vi vedo tutti, qui davanti a me, seduti educati e attenti come soltanto i fantasmi sanno stare. Discepoli miei virtuali. Miei fratelli, sorelle mie, miei simili, figli, studenti. Avete un’anima un’inquietudine che conosco bene: la vita scorre veloce, sempre più veloce, sul piano inclinato del tempo. Il presente evapora. Il futuro diventa passato prossimo e poi remoto in un baleno. E’ sempre venerdì. E’ sempre la fine del mese. E’ sempre capodanno. E poi c’è la pandemia, che ci trasforma, tutti quanti, in donnine del principio del secolo scorso, incolpevoli cariatidi costrette in casa a  porte chiuse, amici contingentati, viaggi zero. E come ci si distrae dalla morte, se ogni telegiornale è un bollettino dal fronte delle sepolture? Anche se hai appena 30 anni o 19 o 50, anche se per tutta la vita hai usato le parole come le stringhe delle scarpe (lega stretto, doppio nodo e via, camminare!) ti viene voglia, una voglia perversa e libidinosa, di scrivere romanzi, perchè anche tu, ubicato in zona rosso o arancione fonsè, ti ritrovi improvvisamente fermo o ferma in una stanza, solo o sola, al chiuso, dentro, e questa è la condizione migliore per scrivere.

Non si può scrivere soltanto perchè l’hai deciso ? Certo che si può. E’ una questione di bisogno, se non di desiderio. Scrivere ti mette in salvo dalle giornate fotocopia, da tutti gli oggi e gli ieri che si accatastano uno sull’altro, matasse di ore aggrovigliate nelle ripetizioni, ti cura dall’ipocondria che colpisce chi è costretto a pensarsi senza sosta malato o guarito, contagiato, cronico, ricoverato o dimesso, come se vivere fosse una scommessa da vincere ogni mattina, restando in salute. Scrivere scava il tempo e lo rallenta, moltiplica la vita e la assolve, la copia, la modifica, la rende attenta e utile, generosa e forte, curiosa di tutto, pronta all’ascolto, distratta da sé e concentrata a riconoscersi nel sé degli altri, insomma, basta, avete capito.

Si può,anzi, si deve, scrivere romanzi. Ma anche: diari, racconti, frasi da offrire in giro come dolci in una guantiera d’altri tempi, poemetti e commedie, preghiere e proposte di legge, canzoni e imprecazioni, elzeviri e arringhe e proponimenti da inventare.

Io so come si fa. So come si scrive. E so perchè. So che si scrive sempre per se stessi e attraverso se stessi si arriva agli altri. E’ come un corteggiamento amoroso. Più dura, più immagini e godi. Dunque, siccome so come si fa, ve lo insegno. Vi insegnerò a scrivere e riscrivere. Come in una bottega rinascimentale mi metto al servizio, in qualità di artigiano anziano, di tutte le domande, le fregole, i chiarimenti, le disperazioni, le illusioni, le speranze e le delusioni e le rabbie e gli smarrimenti di senso.

Chiedete e vi sarà detto. E ricordate: scrivere ha a che vedere con la ricerca dell’autenticità. Ri-scrivere, con la scoperta dell’essenziale. Scrivere è farsi travolgere da un torrente di acqua pulita, scaturito chissà da dove. Riscrivere è raccoglierne il flusso in una bottiglia. Scrivere è attivare la meraviglia per il consueto, scovare i cliché e nominarli. Ri-scrivere è organizzare la meraviglia,  ridicolizzare i cliché e liberarsene per sempre.

Resto in attesa e, in tema, vi regalo un libro fondamentale: Martin Amis La guerra contro i cliché, Einaudi/saggi letterari. Una citazione: “E’ facile interagire con la letteratura. E’ alla portata di tutti, perchè le parole (al contrario di altri strumenti quali la tavolozza o il pianoforte) hanno una doppia vita: chiunque, bene o male, è in grado di maneggiarle”.

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