Quando parliamo di empatia facciamo generalmente riferimento alla capacità di metterci nei panni di un’altra persona, per comprendere, diciamo, dall’interno il suo vissuto. Pensiamo all’etimologia del termine, che deriva dal greco en-pathos, sentire dentro. In effetti le recenti scoperte di neurobiologia ci confermano che si tratta proprio di un sentire dentro grazie all’attivazione dei neuroni specchio che coinvolgono la nostra corteccia motoria ossia quella parte del cervello deputata al controllo dei nostri movimenti.

Non si tratta dunque di una comprensione razionale dello stato d’animo altrui ma di un meccanismo che viene definito simulazione incarnata, grazie al quale condividiamo lo stato corporeo di chi ci trasmette l’emozione. 

Comprendere da dentro l’altro significa, dunque, sperimentare il medesimo stato emotivo, si tratta, in questo caso, di sentire non di valutare razionalmente. Ovviamente il pensiero razionale e gli stati mentali accompagnano questo sentire e ci guidano nel comportamento e nella valutazioni critiche rispetto a ciò che sentiamo, ma è importante sapere che questo meccanismo di empatia avviene al di là della nostra piena consapevolezza

L’empatia si trasmette
da un corpo all’altro

Per noi esseri umani, abituati a dare un grande valore alle nostre abilità cognitive e razionali, può risultare non così ovvio pensare che la parte più rilevante della comunicazione interpersonale è affidata al linguaggio del corpo e che possiamo decodificarla proprio grazie all’ascolto empatico. Ci ricorda Frans de Waal nel suo libro L’ultimo abbraccio che l’empatia si trasmette da un corpo all’altro e questo canale è così antico che lo condividiamo con le altre specie. Così come il nostro repertorio emozionale si è evoluto a partire dalle forme più semplici che condividiamo con gli altri animali, anche l’empatia, parte del nostro corredo genetico, ci lega alle altre specie, ovviamente tenendo conto delle differenze rispetto alla complessità della vita sociale e delle abilità cognitive.

Ma l’empatia ha sempre
un valore positivo?

Si può imparare? Si può insegnare? Questi sono alcuni degli interrogativi che ruotano attorno a questo tema e rappresentano delle questioni ampiamente dibattute nelle varie discipline che si occupano di empatia.

L’empatia non è sempre positiva, non coincide sempre con comportamenti buoni e rispettosi, c’è anche l’empatia così detta black, riscontrata, per esempio, in chi ha commesso degli atti violenti e criminali: c’è sempre un dopo rispetto all’aver capito l’altro. Se la comprensione empatica è il primo tassello su cui si basa la costruzione della nostra relazione con gli altri, sono altrettanto fondamentali i tasselli successivi ossia i nostri comportamenti e le nostre azioni, guidati dai nostri sistemi di valore, dalle nostre credenze, dalla nostra educazione, in sintesi, dalla nostra storia personale.

I fattori culturali ed educativi incidono molto, non tanto sul processo arcaico di riconoscimento delle emozioni ma sul passo successivo, su ciò che accade dopo aver esperito l’emozione. 

Sulla questione della possibilità di apprendere ed incrementare l’empatia possiamo fare alcune considerazioni, proprio a partire dal filo rosso che ci lega come specie alle altre specie. Il ruolo che gioca l’interazione con un animale da parte dei bambini nello sviluppo di capacità cognitive, emotive ed affettive è di grande rilevanza.

Numerosi studi confermano quello che è immediatamente riscontrabile quando osserviamo i bambini in relazione con un cane, così come con qualsiasi altro animale, ossia che la modalità di interazione che si stabilisce tra i bambini e gli animali – immediata, spontanea, scevra da forme di giudizio – crea un’atmosfera naturalmente accogliente che consente di sperimentare un senso di fiducia e di accettazione, base importantissima per ogni forma di apprendimento. Fiducia e accettazione che consentono, inoltre, di sperimentare aspetti di sé senza temere di compromettere la relazione che si è instaurata con l’animale. Questa cornice relazionale offre un luogo di incontro in grado di garantire uno scambio emozionale al di là del linguaggio verbale ma utilizzando prevalentemente il linguaggio del corpo, elemento cardine, come abbiamo visto, dell’empatia. I bambini imparano facilmente a riconoscere la valenza emotiva dei comportamenti degli animali a vantaggio del processo di regolazione delle emozioni che tanto sarà loro utile in qualsiasi altra forma di relazione e nella scelta di azioni adattative e benefiche nel loro futuro. 

Somiglianze, corrispondenze, vicinanza, possono essere le lenti migliori per leggere la nostra relazione con le altre specie. Anche per quelle caratteristiche che ci qualificano nella nostra umanità, il vantaggio di una relazione rispettosa con gli altri esseri viventi, con cui condividiamo il nostro stesso pianeta, supera di gran lunga quello che discende dall’atteggiamento predatorio con cui, purtroppo, molto spesso ci rapportiamo nei loro confronti. 

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