Dal 20 settembre al 13 ottobre 2025 l’artista Mario Carlo Iusi ha ridato vita al muraglione di Piazza Tevere. Luminis è un’istallazione luminosa che percorre i 550 metri che separano Ponte Sisto da Ponte Mazzini, già soggetti nel 2016 all’intervento di William Kentridge con la sua opera Triumphs and Laments.

Luminis fa parte di un progetto più grande che inizia nel paese natale dell’artista, Alatri e ed è già stata installata ad Albano Laziale, Terracina e nel Barrio Gótico di Barcellona. L’installazione sul muraglione è stata curata da Tevereterno, in collaborazione con Cittàdellarte – Fondazione Pistoletto, Artivazione e Acqua Foundation.

L’opera è costituita da 62 cornici di misure diverse, al cui interno si trovano dei led che permetto l’illuminazione della superficie del muraglione. È un’opera che gioca con la profondità delle superfici esistenti, alle quali non badiamo nella nostra quotidianità, ma che una volta illuminate diventano storie da raccontare.

L’artista mi ha parlato del suo percorso artistico e intellettuale, dell’evoluzione del suo lavoro e di come è arrivato a concepire il progetto Luminis. Una conversazione amichevole e informale, che ci ha consentito di riflettere su vari temi, artistici, filosofici e umanistici.

Foto di Furio Gallo

Per cominciare mi interessa comprendere come hai iniziato la tua attività artistica, quando hai iniziato e soprattutto se il tuo percorso scolastico e universitario ha impattato nel tuo lavoro. So che hai fatto filosofia all’università. 
Allora Furio, immagina che io vengo da un piccolo paese che si chiama Alatri, in provincia di Frascati. Quando avevo 15/16 anni facevo graffiti con una crew di amici. Una sera ho preso dei fogli per stampante, dell’inchiostro per stilografica, della carta igienica, degli stuzzicadenti, delle cose raccapezzate per casa e con quella roba ho realizzato tre cose su carta. Ho portato queste tre cose a una pittrice di Alatri, la quale mi ha dato una tela con dei colori primari e ho iniziato a dipingere su tela.

Da lì a un mese ho realizzato 12 opere su tela. L’oggetto di queste opere non era nulla di strutturato, ma era qualcosa di spontaneo. In quel periodo è accaduto questo dentro di me, vedere delle mie cose, che erano diverse rispetto a quelle che avevo realizzato sui muri. Non sapevo cosa fossero ontologicamente, cioè dal punto di vista dell’esistenza, non sapevo cosa fossero. Sin dall’inizio mi sono interrogato su  cosa stavo facendo. Non mi sono appassionato e interessato al saper dipingere bene qualcosa, ma alla traslazione formale di una concettualità. Stiamo parlando del 2014. 

Ad esempio buttavo con le mani del colore sulla tela e allora delle persone mi chiesero se mi fossi ispirato a Jackson Pollock, artista che io a 18 anni ovviamente non sapevo nemmeno chi fosse. Prendevo del colore, lo mettevo sul lato della tela e poi tiravo con una spatola grande, allora delle persone mi chiesero se mi fossi ispirato a Gerhard Richter, ma figurati, se io sapevo chi fosse Gerhard Richter, oppure ancora più semplice, prendevo del colore, piegavo e uscivano fuori queste macchie del signor Rorschach, ma figurati se un ragazzo di 18 anni, di Alatri, lo conosceva. Da lì piano piano ho iniziato a costruire. In quel periodo era cambiato il modo con il quale vedevo me stesso e con il quale iniziavo a vedere il mondo. La scelta dell’università è derivata da domande che facevo sulle cose che realizzavo. Quando ero al liceo scientifico iniziai a studiare filosofia e ho notato che le domande filosofiche mi appassionavano più di situazioni tecniche e artistiche sul chiaroscuro. 

Foto di Furio Gallo

La luce è stata una componente fondamentale fin dall’inizio del tuo lavoro? Arrivando a Luminis, ho avuto la percezione che tu abbia lavorato a sottrarre materia creata da te, per concentrarti sulla materia già esistente. 
Ti faccio un piccolo riassunto di come è nata la cornice luminosa. Tu immagina che io oggi, quasi dieci anni dopo, sto continuando a lavorare a delle intuizioni che ho avuto nel 2016. Quindi, piccolo appunto macro, secondo me un fatto molto importante nella produzione artistica, ma così anche nella vita di qualsiasi persona che vuole fare cose nel mondo in modo sparso, è fondamentalmente dedicare del tempo a delle intuizioni che si hanno, cercando di dargli dei risvolti pratici.

Le intuizioni che ho avuto nel 2016 sono state due, entrambe esposte in una mostra in cui c’era una serie di opere dal titolo Interconnessioni e una installazione dal titolo Acrosomi, te ne parlo in breve. La serie Interconnessioni è la prima serie in cui utilizzo la cornice luminosa su opere pittoriche realizzate da me. Sono nate da un’intuizione casuale alla quale ho voluto dare importanza, così come nel caso di Acrosomi.  Dipingevo con delle spatole di colori acrilici sul tavolo della cucina di casa di mia madre al buio con una bajour accesa sulla sinistra. 

Dipingendo mi sono accorto che questa luce illuminava una parte di opera e l’altra la lasciava al buio e quindi ho avuto l’intuizione di creare una cornice luminosa. Ho messo dei led sui quattro lati dell’opera e quattro interruttori per dare la possibilità all’osservatore di organizzarsi dal punto di vista luminoso l’opera.

Condizione di base è il mondo è spento, quindi l’unico modo per poter vedere l’opera è che tu interagisca con essa, per questo Interconnessioni. Dall’altro canto invece c’è Acrosomi che è un’installazione. L’intuizione e l’ispirazione di base è stata mia madre che mangia semi di zucca mentre guarda la televisione. Era un gesto rituale che lei faceva ogni volta che guardava la televisione. Ho raccolto tutte le bucce di semi di zucca che lei ha mangiato per un anno, le ho messe davanti un televisore che riproduceva l’immagine di un seme di zucca pieno seduto su una poltrona da re. Nel 2016 avevo appena iniziato l’università, quindi la filosofia è entrata veramente in modo dirompente nella mia opera.

Nel 2021 ho elaborato la teoria Semeion,  una teoria all’interno della quale ci sono degli oggetti semplici, che sono delle forme di oggetti che ho utilizzato nel mio percorso e che poi ho reso simboli. In questa teoria Semeion c’è sia un seme pieno che un seme vuoto e alla base c’è un punto che è un oggetto che ho usato all’interno di una serie che si chiama Dei vortici e Dei Punti, esposta alla Nuvola nel 2018. Tornando al Luminis, cosa è accaduto? Mi sono accorto di avere oltre alla parte formale, che è la pratica pittorica del mio percorso, un oggetto che rendeva formale e artistico qualcosa che in genere non lo è, come ad esempio un muro. Quindi ancora una volta la casualità ha influito molto in questo percorso. Per quale motivo? Perché io abito ad Alatri e ho visto da sempre, da quando ero piccolo, le mura megalitiche di Alatri, che è una struttura meravigliosa di più di 2000 anni fa, con massi incastrati tra di loro.

L’intuizione di traslare la cornice su una superficie che fosse un muro e non una mia opera l’ho avuta nel 2016/2017. Il cervello quando immagina una cosa, la immagina come se fosse vera, non cambia nulla se è una cosa immaginata o una cosa reale, nel tuo cervello è praticamente la stessa cosa. Dicevo le mura di Alatri sono 450 metri di lunghezza, quindi è un posto molto grande. Dovevo trovare l’occasione giusta per poter fare questo progetto. Nel 2021 espongo delle opere d’arte all’Arte in Nuvola e in quell’occasione conosco Francesco Saverio Teruzzi che è un ambasciatore del terzo paradiso di Michelangelo Pistoletto.

Lui si appassiona al mio lavoro perché gli attacco un siluro filosofico sulla mia teoria e da lì mi dice “guarda domani hai la possibilità di conoscere Michelangelo”. Il giorno dopo conosco Michelangelo Pistoletto al quale attacco un altro siluro. Lui mi invita in residenza d’artista a Biella. Insieme a Fondazione Pistoletto ed Artivazione, che è l’associazione di Saverio, partecipiamo al bando della regione Lazio, che si chiama Lazio Contemporaneo. Vinciamo il bando e realizziamo tre progetti Luminis ad Alatri, Albano e Barcellona. Poi Luminis si è iniziato a muovere in modo molto caotico, ma definito. Dovevamo internazionalizzare il progetto, quindi contattiamo l’Istituto di Cultura Italiano a Barcellona. Così realizziamo l’installazione nel Barrio Gótico. E  poi come hai visto a Roma sui Muraglioni.  

Foto di Furio Gallo

Ho visto il dialogo che hai avuto con Michelangelo Pistoletto e volevo che mi raccontassi meglio che tipo di relazione senti di avere con il concetto di muro che già Pistoletto sviluppò 60 anni fa. 
Quando sono stato in residenza d’artista ho fatto un giro della fondazione. Alla città dell’arte ci sono molte opere di Michelangelo e mi sono imbattuto in quest’opera di 60 anni fa che si chiama Il Muro. È un’opera davvero molto semplice perché è una lastra di plexiglass appoggiata su un muro. Vicino quest’opera c’era scritta una frase di Pistoletto, in cui parlava del fatto che il muro in genere è solo un muro, ma l’idea che posso avere di questo muro nel momento in cui applico ad esempio una lastra di plexiglass può rendere quella sezione di muro un’opera d’arte.

Qui, come accade in Luminis, oltre ad esserci un fatto percettivo rispetto alla relazione che io intesso con il muro quando gli applico una lastra di plexiglass, è che quell’oggetto dal punto di vista dell’esistenza diventa qualcos’altro e non è solo un fatto percettivo secondo me. Che cosa succede? C’è una forte relazione tra quell’opera e quello che faccio io, perché Michelangelo Pistoletto posizionava una lastra di plexiglass, così come io utilizzo una cornice luminosa. La relazione è che entrambi andiamo ad agire su qualcosa che è comune, che sta lì non per essere guardato, ma per dividere pareti o argini. Agiamo su qualcosa che esiste, che qualcuno ha costruito.

Questa relazione riguarda principalmente la volontà di distorcere ontologicamente una sezione di realtà che è totalmente contingente, nel senso che scegliere quel tratto di muro o sceglierne uno a 10 cm più a sinistra, dal punto di vista dell’esperienza dell’installazione non sarebbe cambiato nulla. Anche nell’opera di Michelangelo, in cui la lastra di Plexiglas è stata esposta su quella sezione di muro e non un’altra, è come se non esistesse l’altra porzione di muro, o esiste come un muro comune. La relazione tra la mia opera e quella di Pistoletto è che c’è un oggetto, una lastra di Plexiglas o una cornice luminosa, che va a modificare una sezione di realtà dal punto di vista sia ontologico che percettivo. 

Da studente di cinema sono stato colpito da come le cornici Luminis creino profondità. Quando la superficie è illuminata diventa tridimensionale. Gli spettatori hanno la possibilità di vedere uno schermo che proietta la realtà a cui non fanno caso quotidianamente e così possono notare i particolari della materia che diventano i soggetti della tua immagine. È come se la tua opera fosse una fotografia o una ripresa cinematografica che ha il potere di illustrare il mondo in modo continuo. La cornice diventa un mezzo con cui raccontare la storia della parete attraverso la luce.  
Penso che oltre che la cornice e la luce come medium, un’altra condizione di base è  quella di cui ti parlavo prima, il fatto che non ci sia altra luce se non quella delle cornici.  Servono queste quattro condizioni affinché Luminis esista, che ci sia una superficie di riferimento, che ci sia una cornice, che ci sia la luce della cornice e che non ci sia altra luce al di fuori di questa.

Quello che fa Luminis è rivelare qualcosa che già esiste e se non ci sono quelle condizioni, non puoi usufruire e fruire della sezione di realtà nella modalità proposta da Luminis. Quando c’è un’installazione come quella del Tevere, accade che le persone guardano la parete come se fossero in un museo. Si fanno domande sul mondo e sulla realtà guardando un muro! È evidente che qualsiasi superficie che abbia una texture e organizzata con il metodo Luminis dia la possibilità di farsi delle domande sulla realtà, sull’esistenza delle cose. 

Quindi condivido completamente la tua considerazione, anche perché alla base del cinema e della fotografia lo strumento che va utilizzato bene è la luce. Riportando la domanda da un punto di vista totalmente esistenziale, la luce è ciò che ci permette di vivere. Senza luce non ci sarebbe linguaggio, non ci sarebbe pensiero e non ci sarebbe quindi modo di poter interagire, non saremmo quello che siamo. Lavorare con una condizione così importante dell’esistenza umana dà la possibilità di far interrogare lo spettatore su questioni esistenziali. 

Foto di Furio Gallo

La tua opera si può vedere in due modi, da vicino per osservare il particolare, oppure da lontano poiché crea uno schema grafico nella città. Sono due opere diverse. 
Ciò è accaduto in tutte le opere che avevano una quantità elevata di cornici. Vedere queste grandi cornici su una superficie, porta la persone che non conoscono il progetto a interrogarsi su cosa ci sia lì dentro, pochi penserebbero che c’è solo la parete. Quindi si crea una scenografia, che a Roma è stata accompagnata anche dal riflesso delle cornici sul fiume. C’è questa possibilità duplice di osservare l’installazione, nella sua grande totalità scenografica e nel dettaglio, vedere il poro di travertino che si riduce a opera.

Poi l’altra cosa sulla quale volevo farti ragionare è che la struttura dei diversi Luminis somiglia ad alcune opere. Ad esempio nel Luminis di Albano Laziale alcune sezioni di Cisternone sono molto simili a delle texture ricreate in studio da Anselm Kiefer e le opere dei muraglioni di Piazza Tevere in alcuni casi hanno la stessa struttura geometrica di opere di Mondrian. Quindi c’è questa possibilità di ricondurre forme rituali della storia dell’arte contemporanea con qualcosa che sta già esiste, sulla quale si è posizionata una corteccia luminosa. Vi è una riconoscibilità evidente se si ha presente quel tipo di opere.

Nel tuo lavoro la casualità incide molto da come ho visto. La posizione delle cornici del Luminis sul Tevere l’hai decisa facendo cadere dei pezzetti di carta sul piano di lavoro.
La casualità per me è una cosa davvero importante che utilizzo sia come strumento nella produzione delle mie opere, ma anche per fare esperienze nella mia vita. Martin Heidegger ha parlato molto di casualità, in particolare del concetto della gettatezza, per cui l’essere umano che lui chiama esserci, Dasein (concetto umano per descrive l’esistenza nel mondo), si ritrova a vivere in un periodo storico senza che lui abbia deciso di vivere quel periodo storico. È come se venisse gettato nel mondo. Un essere che si ritrova a vivere nel tempo nel mondo.

Questa concettualità è legata alla mia produzione, perché come io sono un essere nel mondo, anche le opere d’arte che produco sono nel mondo, esse hanno delle condizioni di similitudine rispetto ai rapporti che intesso con l’altro. Come io interagisco con delle persone e con il mondo, anche le opere d’arte fanno altrettanto con il mondo e con le persone che le guardano. Questo è il punto di incontro che c’è tra la mia produzione artistica in senso stretto e la mia produzione artistica inerente al Luminis. Per produzione artistica in senso stretto (pittorica) intendo i ritratti che faccio ai semi.

Ciò che lega queste due produzioni è la volontà di dare importanza ontologica, artistica, estetica a qualcosa che non l’avrebbe mai avuto. Quindi un’innalzamento ad opera d’arte di una sezione di realtà. Nei ritratti io scelgo un seme, che non è più un semplice seme, ma è un simbolo perché l’ho irrobustito di significato grazie al sistema linguistico e grazie alla produzione di opere. Quel seme lo innalzo ad opera d’arte con un ritratto. E’ la stessa cosa che accade in Luminis quando incornici una sezione di realtà, quella sezione di realtà non è più una sezione di realtà, ma è qualcosa d’altro. Innalzare la semplicità a opera d’arte tramite uno strumento che è la casualità.

Nell’opera di Michelangelo Pistoletto la casualità è un’altra condizione di base. Nelle opere in cui il soggetto sono gli specchi esiste la casualità di un individuo che si ritrova lì a guardare e a guardarsi. Per esempio prendere proprio quel pacco di semi, aprirlo quel giorno, è una casualità che per quanto possa essere tale, è una casualità condizionata. 

Hai spiegato che il progetto Luminis è anche un invito a guardare il mondo con lentezza e con una velocità moderata, sembra un richiamo alla materialità, a una realtà analogica.    Come interpreti e affronti in questo momento la velocità della tecnologia che ha cambiato il modo in cui noi ci poniamo e interpretiamo la realtà?
Noi siamo degli esseri che si evolvono per necessità, per spirito e per una forte spinta esistenziale. Ogni volta che nella storia abbiamo avuto degli strumenti come ad esempio una ruota o il fuoco, abbiamo avuto la necessità di non accontentarci e abbiamo fatto evolvere quegli strumenti. Oggi continuiamo a far evolvere gli strumenti di base che abbiamo e quindi continuiamo noi ad evolvere. Quando creiamo nuove tecnologie, non stiamo facendo altro che creare nuove forme di umanità. Con l’evoluzione dell’intelligenza artificiale, stiamo trovando nuovi modi per intendere noi stessi e per comprendere le attività che possiamo compiere all’interno di questo mondo.

L’invito alla lentezza di Luminis potrebbe esistere a priori se si ha presente qual’è lo strumento di Luminis. Le cornici danno vita a una sezione di realtà. Ciò si può attuare anche se non si ha davanti una cornice di Luminis. Questo ti dà la possibilità di rallentare l’esperienza che hai del mondo e quindi di guardare brandelli di realtà. Nella pratica ho utilizzato ad esempio programmi di generazione d’immagine per immaginare come sarebbe potuta essere Luminis sul Tevere. È uno strumento che rende più reale quell’immaginazione che hai di un aspetto di realtà. 

Vi consiglio di visitare il sito dell’artista per avere uno sguardo ravvicinato su tutto il suo percorso artistico. Nel caso foste interessati e in accordo con l’artista potreste andare personalmente allo studio di Mario Carlo Iusi. Infine, vi propongo la lettura del testo Inside the White Cube, l’ideologia dello spazio espositivo, il quale vi permette di comprendere che ruolo hanno avuto il muro e la parete nei secoli passati fino ad oggi nell’ambito dell’arte.

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