E’ stata la mano di Dio, il nuovo film di Sorrentino ha confermato all’Italia che le icone del calcio hanno la stessa aura della religione. La palla gravita attorno ai re Magi che seguono la sua scia nella notte santa della partita e, non mi stupisco se, vicino al bambinello, Sorrentino metterà Maradona con le ali da angelo.

Allora iniziano i preparativi come per un presepe: i posti sono fissi e assegnati, secondo la formazione scaramantica stabilita implicitamente dalla vittoria precedente, da seguire con lo stesso rigore della formazione dei calciatori e dei pastori sulla carta roccia come da tradizione. Seduti al parco davanti al maxischermo, sul pagliericcio di questo presepe ci sono da una parte i buoi che ricoprono di insulti gratuiti gli avversari mentre fanno le corna, anche se ce le hanno già, perchè quelli vicini stanno gufando, ma gli asini, i vicini per l’appunto, rispondono che hanno sbagliato animale perchè loro non gufano e solennemente muti, devoti e concentrati emettono solo versi come shh o oooh o iiiih-oooh a seconda della vicinanza della palla all’area di rigore.

Precisamente si giocavano gli europei e tutti, tifosi e non, uniti li abbiamo guardati con lo stesso spirito emozionato. Curva Sud in nord Europa, Monaco può essere sia il luogo che un tifoso che guarda, non c’è nessuna distinzione di categorie, solo di serie, il calcio è religione, il calcio unisce il clero e lo sclero.

Rettangoli a squadre tagliano il cerchio del campo, segna “O Tiraggiro”, un calciatore famoso per la sua gamba precisa come un compasso, il cui soprannome è entrato come neologismo nella Treccani evento che ha scatenato una lotta con gli juventini che rivendicavano la paternità di questo tipo di tiro di Del Piero da tempo, ma insomma penso che a nessuno interessi un granchè. Ma la cosa assurda è pensare come faccia una parola, di così scarso peso sociale ad entrare così facilmente nel vocabolario? Facile, con un gol agli europei e una commissione di linguisti che tifa Napoli, questo è Fantacalcio e, in un certo senso, riflette il potere del vulgus.

Cori campati in aria mentre l’inno di Mameli è sulla bocca di ignoranti che non sanno il significato di l’Italia s’è desta, dell’elmo di Scipio si è cinta la testa. Chi è Scipio? E’ Scipione l’Africano, generale romano che sconfisse Annibale con elmo e scudetto, non della squadra. I Fratelli d’Italia (partito politico) cantano orgogliosi il suo nome, nonostante fosse nero, ma solo perché non lo sanno…

Telecronisti maschi telecomandano una nazione perchè l’unica telecronista femmina degli europei si è scoperto ci fosse solo perché aveva sostituito il collega colpito dal covid, ma nessuno ci aveva fatto caso mentre consumava birra e pizza, dentro un cartone olioso come i volti sudati in quarti di fetta in finale, quella è un’altra lotta, ora la «partita è combattuta» dicono, ma io non ho mai capito quando non lo è, scusate?

E’ bello guardare le partite come fosse un esperimento antropologico. E’ divertente vedere i polpacci che si incrociano per prendere la palla come gambe avvinghiate dopo un rapporto sessuale mentre la speranza di metterlo dentro la porta cresce trattenuta nei crocifissi soffocati dentro le mani. 

Gemiti e cori sono sincronizzati con le ole che si muovono come stormi di uccelli a mo’ di coreografie, ma Gesù è sempre dentro il palmo stretto tra un emisfero e l’altro dei mondiali, da un canale terrestre all’altro riceve dal segnale divino e illumina le maglie fosforescenti bicolori che sfrecciano senza semafori. De Rossi è dei rossi o dei gialli? Cartellino rosso, calcio di punizione per i daltonici, il perdono non si nega a nessuno, ma chi sbaglia va ammonito con l’ammoniaca per curare quello che si è sbucciato il ginocchio, ora ripulito. Il destino dell’altro che l’ha spinto, invece, è sospeso dall’arbitro, guardiano del Purgatorio che chiama i falli nei pantaloncini aderenti con Vodafone finanziatore scritto sopra.

Le anime che si dannano sono separate nei settori dello stadio: in tribuna ci sono i ricchi che si sono comprati l’indulgenza plenaria e stanno tranquilli e larghi a banchettare, nelle curve ci sono ammassati i più peccaminosi, che è un attimo che appicciano la rissa con tutto quel fuoco. Infine ci sono i distinti, che immagino come degli ignavi che non si schierano, dipende come va la partita. In realtà si giustificano dicendo che quando hanno provato a simpatizzare per una squadra si sono ritrovati accanto uno dell’altra e hanno fatto una brutta fine. Possibile che si deve avere paura di tifare perchè ci puoi rimettere la pelle? Questo è il mistero della fede per me.

Ma agli europei l’unione fa la forza, tutti sono fedeli e pregano Chiesa, di nome Federico, un giocatore benedetto, un enfant prodige.

Si versa il sangue di Cristo in coppe d’Italia colme di vino rosso ingoiate con il goal mangiati come un’ Ostia dove non c’è mafia, anche se i mafiosi alla fine sono i più credenti. Mentre ti mordi la lingua per aver osato predire i risultati finali, altro motivo che potrebbe costarti la vita o nel migliore dei casi solo amicizie finite, ti va di traverso un calcio di rigore: palo, un palo che fa piú male di quello che ti ha dato la ragazza accanto con cui hai attaccato bottone, saltato mentre strappavi i vestiti per la rabbia, hai sfiorato di poco un seno intravisto intrappolato nella rete di pizzo.

I calciatori, invece, neanche sfiorati, fanno capriole sul verde senza caprioli, il prato è finto e sintetico, non ha nulla da dire di fronte a queste performance attoriali da oscar: lui si esprime solo con azioni. Entra Barella, cognome sfortunato di un altro giocatore infortunato. Entra una barella con una notizia: un uomo Insigne si è fatto male, fatti il segno del crociato e “che Dio t’assista” anche perchè i tassisti che ti aspettano fuori sono i peggiori.

Mi sono accorta che i cognomi dei calciatori sono davvero ironici quando lo stadio ha invocato Ciro Immobile e non si è capito se per un esulto o un insulto.

Dopo gli europei nessuno parla più, le orecchie ti fischiano al fischio di fine partita come quando senti troppo rumore e poi totale silenzio. Le corde vocali sono spremute come le trombette e i clacson… Viva e indistruttibile, sei parte della squadra e vuoi bene a chi non conosci tranne all’avversario a cui fai il culo a strisce come la bandiera che rivendica il tuo nazionalismo o regionalismo o campanilismo, perché così funziona l’adrenalina e mi sono un po’ spaventata quando ha funzionato anche su di me, pur non essendo tifosa e lì ho capito che era in atto il principio attivo di una strana chimica fisiologica, e il calcio non era più solo l’elemento di cui sono fatte le ossa.

Il dolore dello strappo muscolare di Spinazzola è una spina sul fianco della patria, e non è vero che un dolore condiviso è meno forte. 

Alla fine, paghi la birra al bar dove ti sei seduta tra rutti e occhiatacce e il resto lo metti dentro al portafoglio accanto alla figurina del tuo calciatore custode, al posto di padre Pio, nuovo santino panini. Il Dio Maradona è sempre più sbiadito a furia di accarezzarlo con i polpastrelli, si sta rovinando. Nell’altra tasca San Francesco Totti parla con fratello Sole che lo bacia mentre diventa una stella custodita con l’autografo del suo firmamento. Lo tieni sempre con te come porta fortuna.

Poi, il giorno dopo gli europei tutti dissolti insieme ai fumogeni della sera prima. Dove è andata a finire quella voglia di abbracciare uno sconosciuto e sentirlo come un fratello d’Italia? Forse è finita quando hai capito che hai solo sorelle.

Quell’adrenalina di chi non aveva mai seguito il calcio in vita sua, ma era come se la sua vita avesse da sempre seguito il calcio? Forse perché, inevitabilmente, è sempre stato tra le principali notizie del telegiornale, al pari delle lezioni presidenziali o della guerra in Libia. Beh, mi sembra coerente in un paese dove “tiraggiro” è un vocabolo.

Seguire il calcio agli europei per chi non tifa è un po’ come chi è ateo e fa il presepe per tradizione perché non riesce a sottrarsi al fascino che sprigionano i pastori napoletani e deve per forza comprarli nella via di San Gregorio Armeno a Napoli, dove all’improvviso, tra un San Giuseppe e un suonatore, spunta Maradona con la maglietta del Napoli. Qual è la fede se non quella che ha avuto il potere di unire anche solo per un giorno, per un’occasione, per un’intera comunità o per una famiglia, come quella di Fabietto in E’ stata la mano di Dio ? 

Si perché il calcio come divide unisce. Ci sono eventi superiori come una notizia scesa “dall’alto” come l’annunciazione dell’angelo Gabriele che si incastra nel microcosmo di una famiglia. Non importa se Maria non voleva la gravidanza o se Maria Schisa, la mamma di Fabietto si disperava per il tradimento del marito. La notizia divina va aldilà di tutto, delle cose del mondo: Maradona è nel Napoli e non puoi che gioire.

Come dice Paolo Sorrentino “è una mescolanza tra sacro e profano” ma non si capisce quasi più quale sia l’uno e quale l’altro, soprattutto nella nostra epoca sempre più laica e scientifica in cui le icone sono diverse per ognuno, a parte quelle dei social che sono uguali per tutti.

Dopo gli europei ci siamo tutti sciolti come le riserve nel gioco, ma, il tema del credo e del calcio che unisce e che ci aveva unito, sebbene nel film di Sorrentino sia solo uno dei tanti fili, viene risollevato con la mano di Dio di Maradona che accarezza Napoli. Lui è dentro la fede, nei muri delle vie, dentro le famiglie, i comuni e le comunità e ne scombina le sorti.

Questo lo ha reso un essere divino, ancor di più in questo film perchè ha fatto il suo miracolo. Sebbene il film non parli di Maradona, come non parla di Napoli, entrambi sono naturalmente dentro il film solo perché fanno parte di una storia che li strizza fuori come il latte dalla mozzarella di bufala. “E’ un genio, è inimitabile”, dice Sorrentino riferendosi a Maradona. Forse è questo il motivo per cui le figure del calcio sono paragonabili e vicine ai santi, anzi addirittura li surclassano diventando Dei. Non sono delle fonti di ispirazione, perché sono inimitabili, intoccabili, sono figure solo da ammirare da lontano, dagli spalti. Mi chiedo cosa li renda così onnipotenti.

Forse un sentimento che unisce come una religione che annulla la condotta della persona mortale con i suoi peccati. Quelli rimangono solo ai tifosi nei gironi dello stadio e nonostante Maradona ne avesse tanti, l’idolatria è uniformemente accettata anche quando dovrebbe essere totalmente immorale. Ma è come se la persona, il giocatore e l’icona si scindessero in tre entità come lo spirito santo, e il tuo giudizio universale deve mantenere separati i ruoli.

E’ stata la mano di Dio è una mano sporca che però salva dalla morte, ma una mano che scambia un segno di pace come a messa, ma solo per chi condivide uno stesso credo che a Napoli va a braccetto con il “munaciello”, e se gli fai un dispetto ti ruba il tuo posto fisso alla partita e la sorte si scombina. Non voler sfidare il destino non è superstizione, è voler seguire uno spirito guida che ti salva dallo strappo crudele della vita che ti porta via i genitori. Devi assolutamente personificare la colpa o la ragione della tua salvezza per liberarti dal dolore. Lo si faceva con i Santi e ora con i calciatori. Allo stesso modo in cui San Gennaro salva Patrizia dalla sterilità, ritenuta pazza dai mortali, Maradona evidentemente ha salvato Fabietto dalla morte e ora guarda dallo stadio Olimpico, con gli altri dei, il suo film.

La morale, quindi, è che le porte del signore sono sempre aperte, come quelle da calcio e non è un caso che la domenica sia sacra sia per i tifosi che per i cattolici.

Per chi non è né l’uno né l’altro, allora buon lunedì.

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