Se il Covid fosse solo un brutto sogno, a quest’ora molti di noi sarebbero alle prese con i preparativi delle festività, e magari qualcuno prenoterebbe una serata di burlesque. Il tempo che passa tra Natale e Capodanno, è quel momento dell’anno in cui i party e le serate s’illuminano ovunque e la musica è profusa incessantemente e per interminabili giorni su tutte le piste d’Italia. Ma, ahinoi, il virus che ci tiene ostaggio e lascia spente le luci della ribalta, è un incubo che continua ad occhi aperti e i palcoscenici, così come i dancefloor del Paese, restano bloccati in un limbo in cui i lavoratori del settore vivono una costante agonia.

Sophie d’Ishtar, foto di repertorio

La stessa che vive anche Sophie d’Ishtar, performer di burlesque e creatura della notte che, da sempre, svolge la sua professione tra i palchi dedicati all’intrattenimento retrò e quelli votati all’entertainment di ultima generazione. Divisa tra performance dal sapore vintage, esperienze attoriali ed esibizioni protagoniste della nightlife capitolina, oggi Sophie è ferma tra i suoi tanti costumi di scena, vere e proprie opere d’arte costruite con ingegno, affinché i suoi act risultino sempre più ammalianti e appaghino gli occhi del pubblico, d’innanzi a cui l’artista si esibisce da anni. L’abbiamo raggiunta via web, durante una pausa dagli allenamenti a cui si sottopone per mantenere il suo fisico sempre in forma e pronto per la ripartenza artistica che tutti attendiamo.

Ciao Sophie, spiegaci in breve con chi abbiamo il piacere di parlare.
Ciao, sono Sophie d’Ishtar, l’alter ego artistico della più dolce Paola. Ho un’anima creativa, sono stata un’artista dal primo momento di concepimento. In me coesistono persona e personaggio che lottano tra loro ma che in realtà tra loro si amano. Sono entrambe alla ricerca di stimoli e con un spiccato senso della bellezza e dell’arte. Può bastare? (sorride, ndr.)

Da quanti anni lavori nell’entertainment e nel mondo della notte?
Ho iniziato negli 2000, nella Milano dell’Old Fashion e dell’Hollywood, quando trasgredire era uno status symbol. Il primo ingaggio – tra l’altro strapagato – fu come lottatrice nel fango. Da lì sono passata alla discoteca, perché per me era surreale pagare per andare a divertirmi e quindi, preferivo esser pagata. Inoltre ho sempre rifuggito dai “rimorchi” in pista, quindi il palco mi teneva a debita distanza, anche grazie ad un buttafuori personale che mi seguiva ovunque ed era pronto a proteggermi. Mi sentivo come Whitney Houston in “Guardia del Corpo” e lo adoravo. Poi sono arrivata a Roma e questo trasferimento ha sancito il mio debutto televisivo in alcune trasmissioni che non ricordo con molto piacere. Ero sempre in veste di ballerina s’intende, ma era una cosa momentanea, perché di lì a poco ho incontrato il burlesque, un’arte per cui il mio cuore si è letteralmente infiammato.

Qual è palco della notte più divertente che hai calcato e quello che ricordi di più, in ambito di spettacoli dal vivo?
Le serate in disco che più porto nel cuore sono quelle trascorse all’Alcatraz di Milano – ballavo dentro una gabbia sospesa e avevo un bodyguard che appena alzavo una mano per accarezzarmi i capelli, si fiondava verso di me per salvarmi, ovviamente lanciando in aria chiunque fosse sul suo percorso. (sorride di nuovo, ndr.). A Roma non posso non citare Muccassassina e il circo dei backstage, oppure il palco del GIAM, con i miei colleghi Dancers, Drag Queen e GoGo Boys, tutti sempre molto sobri. (ride, ndr.). Per quanto riguarda i palcoscenici dal vivo, non posso non citare i tanti palchi italiani dedicati all’intrattenimento retrò, su cui negli anni ho affinato il mio burlesque.

Che differenza c’è tra serate disco e serate vintage?
Sicuramente il pubblico. Quello della disco è un pubblico completamente diverso dagli spettacoli dal vivo, spesso distratto dall’alcol e con una smodata voglia di ballare. Lo spettacolo in disco dura poco, giusto la sigla iniziale in cui noi sul palco siamo protagonisti, poi la medaglia si capovolge e la folla diventa regina indiscussa, mentre noi siamo solo dei traghettatori della notte che sostano (danzando) sul palco. Le serate vintage invece, hanno ritmi molto diversi. Il pubblico è molto attento ed esigente nei confronti del burlesque, e vuole godersi uno show completo, vuole applaudire ciò che fai e questo per noi artisti, è un vero e proprio balsamo per l’anima.

Qual è la tua particolarità? Perché assistere ad una tua serata?
Io sono una figura pirandelliana. Una, nessuna e centomila. La mia è una personalità estremamente sfaccettata e credo che questo concetto passi attraverso le mie performance. Mi reputo molto un’incognita – chi assiste ai miei spettacoli non sa mai chi interpreterò nei miei act. Il motivo per cui parteciparvi è semplice, perché non ci si annoierebbe.

Cosa fai nel tempo libero? Come nasce la tua professione?
Nel tempo libero faccio cose, tante. Sono una maniaca dell’ordine e quindi mi creo il mio habitat pulito e salubre, con incensi e candele. Scrivo molto. Scrivo memorie, guardo tutorial, sogno ad occhi aperti il mio futuro. Immagino i prossimi viaggi e, intanto, penso al mio prossimo show e insieme, cosa cucinerò per cena. In realtà la mia professione non nasce, la mia professione sono io che faccio quello che so fare e per cui esisto in questo mondo. Essere un’artista che allieta gli umani.

Qual è il genere musicale su cui ti esibisci?
Il Blues. Sempre e comunque. Ha quelle note che portano con sé la giusta quantità di dolore ed erotismo.

Cosa ti manca di più del tuo lavoro nel mondo della notte?
Mi manca la notte. Tornare a casa alle 4 e farmi un tè caldo con i biscotti. Mi manca spogliarmi dai panni di Femme Fatale e mettere il tutone da battaglia con l’unicorno. Mi manca vedere il pubblico felice, che sorride per merito mio.

Il dj con cui hai avuto più piacere a lavorare? 
Nessuno dei dj con cui ho lavorato ha lasciato un particolare segno su di me, a parte Gaia Logan, che per me è stata un’amica.

Credi ci sia un futuro per il clubbing, sia disco che vintage?
Si. Credo, spero e sogno che sia così. La notte non può essere cancellata. Il brio e l’emozione di uno show, non possono scomparire nel nulla. In alcune parti del mondo, delle colleghe sono tornare ad esibirsi, e questo fa sperare che potremo farcela anche noi. Arriviamo sempre un po’ più tardi, ma poi alla fine ci riusciamo sempre.

Quale scenario si profila per il settore degli artisti legati a questo mondo? Sono figure riutilizzabili in altri ambiti?
Alcuni di noi si stanno riversando online, ma posso dire con fermezza che la cosa non mi emoziona affatto. Gli artisti sono artisti, poi se dobbiamo fare le cassiere e le parrucchiere, o qualsivoglia altro lavoro, lo faremo. Ma il desiderio di tornare su un palco non potrà mai abbandonarci. Essere artisti è una reale vocazione, come quella religiosa o medica.

Come immagini il primo party post-covid?
Più forte, più rumoroso, più social e molto lungo, per recuperare il tempo perduto. E per “social” intendo pochi telefoni e tanto (ma tanto) spirito sociale. Baci fugaci e abbracci sparsi qua e là.

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#InClubWeTrust, il blog che suona forte. Per segnalare eventi e proporre interviste: robertasavonascrive@gmail.com

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