Il panorama musicale dell’Italia post pandemia è un labirinto di voci alla ricerca di un tono che sappia essere empatico e provocatorio al tempo stesso.

Vasco Brondi, e specificamente Paesaggio dopo la battaglia (auto prodotto da Cara Catastrofe, maggio 2021), è ciò di cui abbiamo bisogno per recuperare il contatto con la realtà

Partiamo dal titolo, che cita un lungometraggio del polacco Andrzej Wajda, anche se, per il dichiarato interesse verso le macerie di un impeto sbiadito, mi rimanda ai dipinti di Giovanni Fattori.

Nell’opera di Brondi, nessun dettaglio risulta scontato: via libera alla sperimentazione di tutti i campi artistici. Per questo, nonostante la saggezza popolare ci imponga di non giudicare un libro dalla copertina, è impossibile rimanere indifferenti al cospetto dell’inedito di Ghirri che ci accoglie nella fantasmagoria di Paesaggio dopo la battaglia.

Nella foto, la coltre fosca delle nubi si accartoccia sulla sinistra, come un sipario, scoprendo l’incantevole biancore di un cielo lattiginoso. Sullo sfondo, una macchina sgangherata, è la rinascita offerta a chi sa cogliere l’attimo.

Per ripartire non servono grosse cilindrate, bisogna avere l’ardore dei folli e buttarsi quando tutto è ancora incerto.

Vasco Brondi, cantautore e poeta

Vasco Brondi, tra l’altro, è autore di poesie (all’attivo quattro libri e la graphic novel Come le strisce che lasciano gli aerei) e scrive superbamente. Nei testi, le parole si intrecciano a formare microcosmi perfettamente autosufficienti, benché orbitanti attorno a un medesimo fulcro di significato. Colpisce come l’attenzione al dettaglio non depotenzi affatto la nitidezza del focus generale e come l’universalità dei temi non decada in mera generalizzazione. 

Tuttavia, è la musica che incanta. L’artista sdogana il concetto di accompagnamento e, con l’aiuto di musicisti a me ignoti e grandi nomi a cui affiderei la composizione della colonna sonora della mia vita, esaudisce un mondo altro popolato solo da note e cori e richiami silvestri.

Il disco ha la capacità sorprendente di poter essere ascoltato su due livelli, con un semplice gioco di messe a fuoco acustiche. Si può lasciare che la musica faccia da sfondo al racconto oppure la si può intendere come un mondo a sé, ma serve estraniarsi dalla trama delle parole per immergersi nell’abisso sonoro

Paesaggio dopo la battaglia fotografa una realtà spinosa: il nostro universo alla deriva. Ma soprattutto manda un messaggio tanto scomodo quanto consolante.

Come prima, così ora, siamo frammenti di eternità in balia di un destino che è al dì là di ogni nostra immaginazione. Non ha senso affannarci per ripartire, soprattutto perché non rientra nelle nostre facoltà capire dove direzionare il timone.

Paesaggio dopo la battaglia è un disco proiettato verso il futuro ma non quello che ci aspettiamo. È un invito ad accettare l’invincibile limitatezza umana.

La voce e la penna sono quelle di chi ha compreso che la vera trasgressione è l’equilibrio: il mondo si ricostruisce con calma e nella consapevolezza che “non diventeremo perfetti mai, non illumineremo nessuno” (da Chitarra Nera, il brano più eclettico, nonché il mio preferito).

Vi invito a fare come gli animali che, prima del letargo, si assicurano di aver radunato le provviste necessarie. Ecco, musicalmente parlando, Paesaggio dopo la battaglia è tutto quello di cui avrete bisogno per sopravvivere all’inverno.

O almeno fino al 6 marzo, data del concerto/spettacolo che si terrà a Roma presso il Parco della Musica: siateci!

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