Nel mese di giugno si celebra la giornata mondiale di quell’invenzione che, più di tutte (secondo alcuni), ha contribuito all’emancipazione femminile nella storia: la bicicletta.
Quella ideata nel 1817 dal tedesco Karl Drais era un mezzo molto diverso dall’idea di bicicletta che abbiamo oggi. Passeranno alcuni decenni prima che, nella seconda metà dell’800, qualcuno proponga un’invenzione in grado di avvicinarsi maggiormente al mezzo odierno.
“Una volta pensavo che la cosa peggiore che potesse fare una donna era fumare, ma ora ho cambiato idea. La cosa peggiore che ho visto in vita mia è una donna in sella ad una bicicletta”.
Era il lontano 1891 quando il Chicago Tribune scriveva queste parole. Ma non sembra troppo lontano se pensiamo che in Iran, ancora oggi, le donne rischiano l’arresto a girare in bicicletta, nonostante non esistano leggi scritte che lo impediscano, se non un divieto morale (come riporta The Guardian in questo articolo).
Forse nella Repubblica Islamica dell’Iran dovrebbero adottare lo schermo pieghevole da attaccare ai lati della bicicletta, per nascondere le gambe delle donne. Peccato solo che sia un’invenzione del 1896 e, ci auguriamo, di non dover pedalare così indietro.
La storia della bicicletta e dell’emancipazione femminile, dunque, non è ancora finita. Ad ostacolare questa emancipazione non è stato solo il pregiudizio sociale. Addirittura i medici del tempo affermavano che il ciclismo era un’attività dannosa per l’organismo femminile, considerato più debole di quello maschile. Andare in bicicletta, si diceva, poteva causare sterilità e disturbi nervosi. E, come se non bastasse, c’era anche un altro grande ostacolo per le donne: gli immensi abiti femminili e la biancheria intima (che poteva pesare fino a sei chili), fatta di striminziti corpetti apnèustici.
Se la nascita della bicicletta viene associata ad un inventore uomo, è ad una donna invece che dobbiamo l’invenzione dei pantaloni femminili, ebbene sì. I cosiddetti bloomers, che prendono il nome da Amelia Bloomer, attivista statunitense nota per il suo impegno in favore dei diritti delle donne. Anche se non fu propriamente la donna che inventò i pantaloni, fu la prima a favorirne l’utilizzo da parte delle donne. La prima donna ad indossarli fu Elizabeth Smith Miller, ma fu Alice Nash a depositarne il brevetto.
Ma un abbigliamento maschile può bastare? No. Un’invenzione pensata da un uomo e misurata sulle proprie geometrie, di certo non può andare bene per una donna. Donne e uomini hanno misure antropometriche ben diverse e questo ovviamente si riflette sulla costruzione del telaio, sul posizionamento in sella e addirittura sull’allenamento. Finora molte cicliste, professioniste e dilettanti, si sono adattate a biciclette disegnate per il pubblico maschile, non trovando componenti e telai sviluppati appositamente in base alle caratteristiche femminili. Questo è un approccio errato, derivato dal malinteso per cui una bicicletta da femmina sia la semplice e mera riproposizione in taglia piccola o colorata di rosa, dei prodotti e dei materiali dedicati e progettati per i maschi. Per fortuna, però, esistono realtà come Liv, un marchio ciclistico dedicato esclusivamente alle donne in cui, non solo i componenti, ma prima di tutto i telai, sono progettati in base a specifiche caratteristiche antropometriche.
Abbiamo voluto la bicicletta? Bene, ora pedaliamo.