Una sera, non ricordò perché, non sono andata al locale. A volte succede senza che questo crei disagi: la squadra è pronta a tutto! Il pomeriggio, il mio amico Giampaolo Lupi, nonché proprietario della cantina Lupi Barano a Vitolini, a circa 6 chilometri da Vinci, mi aveva chiesto con insistenza a che ora sarei arrivata. Niente di nuovo, perché spesso passa la sera per bere un bicchiere o per assaggiare qualche vino che non conosce.

Da toscano DOC è comunque innamorato del Lambrusco. Merito mio ovviamente! Però il fatto che avesse chiesto con insistenza la mia presenza, doveva dirmi qualcosa. Invece no, tant’è che appunto non passai. La nostra amicizia è cominciata un pomeriggio di non ricordo quale anno, parlando lui da produttore e io da appassionata solo di vino, durante un incontro più o meno casuale con altre persone.

Così quel benedetto giorno in cui ho firmato la mia condanna per l’apertura del locale, i suoi vini sono stati i primi ad entrare e a fare bella mostra di se sugli scaffali. Sì, perché la mia idea era, ed è, di far conoscere le espressioni del territorio, cosa che con un po’ di ricerca siamo riuscite a fare abbinando alle bottiglie le distanze in chilometri dal locale stesso. Come a dire che ci si può arrivare anche a piedi.

A parte questa piccola precisazione, con Giampaolo abbiamo cominciato, nel tempo, a confrontarci ad ogni assaggio su evoluzioni, profumi, corpo, insomma su tutto quello di cui si parla davanti ad un bicchiere. Praticamente due ossessi-rompiballe-maicontenti.

Dalla sua cantina escono bianchi e rossi, alcuni dei quali molto particolari, come la Barsaglina, ma l’etichetta per me più rappresentativa e indiscutibile, si chiama Mattacena. A parte il nome divertente che riporta alle storie contadine, di massaie che durante l’estate portavano uno spuntino nei campi ai lavoratori, è un rosè fatto con Sangiovese, Merlot e Canaiolo. Si finisce la bottiglia anche solo con l’aperitivo.

Premessa necessaria. Nel tempo, ma quasi direi per conseguenza alla passione che ho per le bollicine, ho sviluppato un grande amore per rifermentati, metodi ancestrali o pet-nat e, conoscendo la materia prima di cui dispone, quindi varietà di uve e senza dubbio una grandissima esperienza in cantina, ho cominciato a battere come un martello sull’incudine  con questa tiritera: “ma un rifermentato di Mattacena?.

Tutte le volte mi ha rimbalzato la domanda con “non ho tempo”, “non l’ho mai fatto” e qualche volta anche con un prosaico “non rompere”. Siamo amici e ci sta tutto. Adesso mi viene voglia di scrivere che le parole non volano, ma sono casi rarissimi. La sera in questione, quella in cui non sono andata al locale, il suono inconfondibile di whatsapp avrebbe potuto destare la mia curiosità, ma ormai come da retaggi anziani, ho deciso di silenziare il telefono dopo una certa ora.

Un po’ come dire: tutto può attendere domani. E così arrivato il giorno dopo, non ho guardato le notifiche fino a che non è arrivata una nuova notifica. Guardo, e a quel punto noto quello della sera precedente. Lo apro e mi appare un po’ sfocata l’immagine di un’etichetta.

Bollicine a sorpresa

In un’altra era si sarebbe preso la lente d’ingrandimento (io ce l’ho) per ingrandire la foto, adesso bastano due dita e voilà, si vedono anche i microbi! Non sono ancora convinta di aver visto bene. Rimango un attimo perplessa e sorpresa. C’è un tappo a corona, una bottiglia dal vetro scuro e un’etichetta stilosa, unica: Per Gise.

Emozione pura. All’improvviso gli occhi si fanno sorridenti, lucidi, insieme a una vampata di energia che scuote l’anima. Avete un’idea di che cosa vuol dire per me avere un vino con il diminutivo con cui mi chiamano sempre? No, non credo. Per giunta rifermentato. Vorrei fare un paragone con i collezionisti, ma non è così. È una questione d’amore, di passione per il vino, per le sue storie, per i suoi creatori. Un incontro che si rinnova ogni volta come due amanti ai quali basta uno sguardo per perdersi nuovamente.

Passo dal locale e la vedo lì sul tavolo che sbuca da un cartone da 6. Non ci credo, allora non è un semplice esperimento? Telefono a Giampaolo e credo che abbia sentito il tono della mia voce diversa, tradita dalla sorpresa. Così senza neanche aspettare, mi racconta che lo ha pensato e realizzato utilizzando le uve di Chardonnay, quelle che sono nella parte più alta dei suoi terreni. Credo sicuramente di aver abbondato in ringraziamenti e simili, ma non riuscivo a smettere.

Chiusa la telefonata, non ho neanche guardato che ora era. Diciamo le 11,30 per non allertare i servizi sociali. Ho aperto il Per Gise, ho guardato attraverso il bicchiere il colore e le sue bollicine. Poi l’ho annusato e devo dire senza troppe cerimonie, l’ho fatto mio. Un regalo bellissimo! Magari un’altra volta descrivo la degustazione, quando tutte le volte che lo berrò non sarà il rinnovarsi di una sorpresa.

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