I fatti: Alessia Pifferi, la donna che ha lasciato morire sua figlia Diana di stenti due estati fa, è stata giudicata capace di intendere e volere da Elvezio Pirfo, lo psichiatra che si è occupato della sua perizia. Perizia che arriva dopo che alla donna, attraverso la somministrazione di test psicodiagnostici, era stato riscontrato un deficit cognitivo di grossa entità. Le due psicologhe responsabili della valutazione sono attualmente indagate insieme all’avvocata che difende Pifferi per aver tentato di manipolare le risposte della donna in un’ottica difensiva.

Seguo questo caso con apprensione da quando se n’è avuta notizia, combattuta tra il mio vissuto emotivo di madre – che mi porta a considerare impensabile che una donna sana di mente possa mettere in atto un comportamento tanto crudele e negligente nei confronti della propria figlia – e il senso di giustizia che mi anima e che riconosce le categorie dell’egoismo estremo e della mancanza di empatia come ben distinte dal vizio di mente.

Psicopatici, comportamenti antisociali

Che Alessia Pifferi non sia un pozzo di cultura e intelligenza è evidente ma questo non significa che non sia imputabile. Che ragioni come una bambina che vuole tutto e subito e che non sa resistere alla necessità di soddisfare un bisogno è altrettanto evidente ma anche questo non può costituire un’indicazione per attribuirle il vizio di mente. Che esistano in lei quegli elementi che nell’ottocento avevano portato alla definizione di psicopatico sembra chiaro ma, di nuovo, le carceri sono popolate di psicopatici, persone che tendono a reiterare comportamenti antisociali perché non provano alcun timore per le conseguenze dei loro gesti – né empatia per le loro vittime – nel momento in cui li compiono.

La verità è che se dovessimo seguire un pattern emotivo nella valutazione di un criminale, sarebbero pochissimi quelli a poter essere ritenuti imputabili. La maggior parte dei reati contro la persona segue l’impulso, uno stato emotivo alterato, forme di negazione. Decidere se una persona sia o meno imputabile deve necessariamente seguire criteri oggettivi e questi criteri devono anche essere piuttosto stringenti, favorendo la tesi dell’imputabilità fino a prova contraria.

La tendenza attuale nel richiedere perizie psichiatriche per qualsivoglia atto violento con conseguenze drammatiche è sintomatico di questa lettura emotiva ed psicologicizzata della realtà, una lettura che rifiuta la dicotomia buono/cattivo e mette in evidenza solo l’esasperazione dell’uno o dell’altro tratto di personalità.

In sostanza, non ci capacitiamo di come una persona sana di mente possa compiere atti tanto abietti e finiamo per preferire la teoria del gesto folle, senza renderci conto che la follia, da sola, non basta quasi mai a determinare tragedie.  

Con ogni probabilità, anche le due psicologhe che si sono occupate della valutazione di Alessia Pifferi hanno scelto questa lettura, vedendo davanti a sé una donna con atteggiamenti e comportamenti infantili e poco consapevoli, usando come metro di valutazione quello alto di persone istruite ed empatiche e dimenticando che crescere in un ambiente povero culturalmente ed emotivamente non costituisce ad oggi un’indicazione per la non imputabilità e nemmeno un’attenuante.

Il fatto che Pifferi sia stata in grado di rispondere alle domande postele dallo psichiatra forense capendone il senso difficilmente può essere coerente con il quoziente intellettivo di 40 riscontrato dai test che le hanno somministrato le due psicologhe.

Il fatto che sia consapevole del gesto che ha compiuto, pur non attribuendogli la gravità che in effetti ha, depone a favore della capacità di prendere parte al processo che la vede come imputata.

Il fatto che abbia trattato con superficialità il suo essere madre, che abbia gestito la figlia come un oggetto di proprietà e non come un essere umano di cui era necessario occuparsi, che abbia preferito abbandonarla a casa invece di affidarla alle cure dei famigliari per evitare critiche da parte loro suggerisce sicuramente una scarsa profondità emotiva ma non necessariamente un vizio di mente così come inteso dalla psichiatria forense.

Un’ultima riflessione sul fatto che le due psicologhe e l’avvocata di Pifferi siano ora indagate per favoreggiamento e falso ideologico sulla base del loro tentativo di rappresentare l’imputata come una bambina di 7 anni a seguito di test e colloqui. Esiste da sempre un dibattito acceso tra psicologia e psichiatria in merito ai confini della patologia e non ci sarebbe da stupirsi se le due psicologhe avessero, in assoluta buona fede, usato criteri diversi da quelli applicati poi dal medico psichiatra nella valutazione della personalità della donna. Può capitare che l’operatore, soprattutto se poco esperto, possa essere spinto dal proprio vissuto emotivo ad essere d’aiuto all’imputata, finendo per indirizzarla più di quanto non sia lecito in modo del tutto inconsapevole.

Quel che è certo è che Alessia Pifferi ora rischia l’ergastolo e noi continuiamo a dividerci tra chi lo ritiene giusto e chi vorrebbe solo dimenticarsi dell’esistenza stessa di questa storia.

La psicopatia, scala di follia

Per approfondire il tema della psicopatia, vi consiglio The Wisdom of the Psychopaths di Kevin Dutton, edito da Arrow, 2013.  Nel libro si spiega che non tutti gli psicopatici sono violenti o addirittura criminali. Gli psicopatici sono impavidi, sicuri di sé, carismatici, spietati e concentrati: qualità pensate su misura per il successo nella società del ventunesimo secolo. In questa innovativa avventura nel mondo degli psicopatici, il famoso psicologo Kevin Dutton rivela che esiste una scala di follia lungo la quale tutti noi siamo seduti. Incorporando gli ultimi progressi nella scansione del cervello e nelle neuroscienze, mostra che esiste una linea sottile che separa un brillante chirurgo e un serial killer. Provocatorio, coinvolgente e sorprendente ad ogni angolo, The Wisdom of Psychopaths rivela una verità scioccante: dietro l’hype e la caratterizzazione popolare, gli psicopatici hanno qualcosa da insegnarci.


Questo articolo è stato scritto con la preziosa consulenza del Prof. Enrico Rosini, psichiatra.

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