La neurodivergenza è molto più comune di quello che pensiamo: si stima che circa il 20% della popolazione abbia caratteristiche in qualche modo atipiche, collegabili per lo più allo spettro autistico o al disturbo da iperattività (ADHD), magari non diagnosticato. 

La nostra blogger Maruska Albertazzi è appunto una di quelle persone che solo in età adulta ha potuto ottenere una diagnosi che le ha permesso finalmente di capire molto di sé, soprattutto di capire che non c’era niente di sbagliato in lei. Prima, per molto tempo, si era costretta ad adottare comportamenti normali. Come fanno tante persone, soprattutto donne, e tanti adolescenti spaventati dall’idea di essere scherniti ed emarginati: meglio far finta di niente, anche se fingere continuamente è uno sforzo enorme, che prima o poi diventa impossibile da sopportare.

Neurodivergenza, c’è ancora
molto da fare

Nonostante i passi avanti, la comprensione delle neurodivergenze deve ancora maturare molto. Nella società, nel mondo del lavoro, ma anche da parte del sistema sanitario. Siamo fermi alle tipizzazioni, comprese quelle offerte dai media, che descrivono la persona autistica con un disagio cognitivo grave oppure il genio con tratti maniacali; quando invece, spiega Albertazzi, pensare di individuare un unico fenotipo neurodivergente è un approccio sbagliato perché ogni persona si colloca in un punto diverso dello spettro.

Sarebbe importante, anzitutto, che come società riuscissimo a smettere di considerare la neurodivergenza come un problema. Ci sono cervelli che funzionano in modo diverso, ma diverso non vuol dire sbagliato.

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