A quanto sembra fa più la vergona della preoccupazione di ammalarsi. Nonostante il tumore alla prostata sia la neoplasia più frequente tra gli uomini e rappresenti oltre il 20% di tutti i tumori diagnosticati a partire dai 50 anni, molti uomini continuano a non farsi carico di questa patologia ed evitano di sottoporsi a controlli dell’apparato uro-genitale.

Alla base di questo comportamento spesso c’è un radicato tabù che riguarda per lo più la messa in discussione della propria virilità. Eppure si dovrebbe provvedere a visite mediche e relativi esami diagnostici, perché stando ai dati dell’Aiom (Associazione italiana oncologia medica) relativi al 2022, sono più di 40.000 gli uomini italiani colpiti ogni anno da questa patologia, quindi 1 su 5, numero peraltro in forte crescita considerando che nel 2017 erano 34.800.

Senza contare che, quando le cure per il tumore della prostata incidono sulla sessualità, soltanto il 22% dei pazienti cerca soluzioni e appena il 4% ricorre a farmaci o a dispositivi medici.

La restante parte di pazienti colpita da questo tumore si divide tra chi semplicemente accetta la nuova condizione (33%), chi preferisce non affrontare l’argomento (11%) e un altro 22% che si divide tra coloro che si rassegnano o la considerano come una grande criticità.

Prevenzione e diagnosi precoce
sono l’unica via

Un quadro che mette in evidenza invece quanto ci sia bisogno di prevenzione e di una diagnosi precoce. Per ogni patologia dobbiamo considerare che l’errore numero uno rimane quello di aspettare.

Purtroppo però, secondo i dati, molti uomini tendono ad affrontare il problema solo dopo che diventa ingestibile e con un impatto spesso importante in termini personali e sociali. Eppure le patologie della prostata, anche le più semplici senza arrivare al tumore, vanno a incidere fortemente sulla quotidianità.

Come ad esempio, sottolineano gli urologi, i problemi di minzione di cui la prostata ingrossata è causa, oppure la tanto temuta disfunzione erettile. Tra l’altro un recente studio pubblicato sulla rivista Cancers, il Pros-IT2, promosso dall’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-In) di Padova e diretto da Stefania Maggi, dirigente di ricerca della sezione di Padova-Invecchiamento del Cnr-In, ha permesso di definire per la prima volta con grande precisione il rapporto tra infiammazione e tumore prostatico.

L’individuazione di questo potenziale fattore di rischio può avere significative ricadute cliniche, questa scoperta suggerisce ad esempio quanto sia importante uno screening mirato per avere una diagnosi precoce nei soggetti con infiammazione prostatica.

L’infiammazione cronica della prostata è stata considerata per molti anni come una patologia di minore importanza rispetto all’ipertrofia benigna (ingrossamento e conseguenti disturbi urinari) o al carcinoma, e per questo spesso trascurata. Alla luce di questi nuovi dati dovremmo porre più attenzione a questa condizione che colpisce numerosi uomini e che può essere trattata correggendo stili di vita sbagliati o utilizzando terapie mirate”, afferma la dottoressa Stefania Maggi.

Inoltre, dopo l’asportazione chirurgica della prostata, circa il 15% dei pazienti sottoposti all’operazione sono classificati come ad alto rischio di recidiva e richiedono quindi un attento monitoraggio per individuare la risorgenza della malattia e prendere le decisioni terapeutiche opportune.

L’intelligenza artificiale contro
le recidive del tumore alla prostata

Tuttavia, la velocità con cui il tumore si ripresenta varia notevolmente da paziente a paziente.  Ma l’intelligenza artificiale può essere d’aiuto come dimostra un’altra ricerca, anche questa effettuata dal Cnr (autore Marco Pellegrini), da parte dell’Istituto di informatica e telematica (Cnr-Iit) di Pisa che ha utilizzato una lista di geni marcatori sviluppando un metodo computazionale di apprendimento automatico per analizzarli, capace di predire con alta precisione l’anno di insorgenza della recidiva dopo l’asportazione del tessuto tumorale.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports, del gruppo Nature. Le misurazioni e le analisi sono state effettuate su un database di sequenze genetiche di esami di biopsie di un gruppo di 1.240 pazienti e, proprio grazie all’applicazione dell’intelligenza artificiale, sono in grado di indicare una capacità predittiva superiore a quella dei metodi attualmente in uso. 

La metodologia adottata è un miglioramento e un raffinamento rispetto ai risultati ottenuti nel 2021 nella predizione della sopravvivenza a cinque anni delle pazienti di tumore al seno dopo l’asportazione chirurgica e l’applicazione di terapie post-operatorie”, spiega Marco Pellegrini, dirigente di ricerca del Cnr-Iit. “In particolare, le predizioni di recidiva del tumore alla prostata utilizzano un più ampio spettro di marcatori genetici integrandoli con i marcatori clinici già correntemente in uso per migliorare le prestazioni”. 

Questo studio può fornire un importante contributo alle decisioni cliniche sulla terapia per il tumore alla prostata e la possibilità di personalizzare la cura con probabilità più alte di sopravvivenza. 

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