Il 25 e 26 settembre a Scandicci Katia Ippaso ripropone il fortunato testo “Non domandarmi di me, Marta mia”. Protagonista l’ottima Elena Arvigo, presente a questa edizione di Avamposti, Festival del Teatro delle donne anche con un debutto nazionale dal titolo Una storia al contrario. Il festival in questa edizione si intitola “A viva voce” e pone al centro la voce, elemento intangibile ma potentissimo. “La voce è ‘portabile’, largamente modulabile, leggera, veicolo di storie e di narrazioni in grado di creare ‘empatia’ e coinvolgimento, e di sviluppare l’immaginario. La voce in teatro è ‘parola potente’, coinvolgente, veicolo di emozioni. Il titolo fa riferimento ad un uso specifico della voce: a gran voce, a voce piena, con voce alta e robusta e ad una modalità: gridando con energia e insistenza, con tutte le proprie forze. Ed è con tutte le forze che dobbiamo reagire all’aumento della discriminazione e della violenza, registrato dal marzo 2020 ad oggi, ad ogni violazione dei diritti, alla messa in discussione e in pericolo della stessa vita delle donne.  E’ un dato di fatto che la violenza contro le donne sia enormemente aumentata nel periodo della pandemia”.

Incontriamo l’autrice Katia Ippaso, tra le voci piu’ preparate e sensibili del panorama nazionale. Come hai ‘riscritto’ (questo è il tema di Rewriters), il carteggio tra Marta Abba e Pirandello?
Sono partita dall’ultima lettera che Luigi Pirandello ha inviato a Marta Abba, pochi giorni prima della sua morte. Mi ha colpito il fatto che in quelle pagine Pirandello non avesse fatto alcun cenno al suo stato di salute. Stava morendo e non una sola parola dedicata a se stesso. In alcune lettere precedenti, lo scrittore aveva usato quest’espressione: non domandarmi di me, Marta mia. In altre epistole, aveva voluto confessare alla sua Marta che aveva sofferto per il mancato riconoscimento del suo valore in alcuni contesti accademici. Un Pirandello inedito, fragile e vulnerabile, che però mette davanti a tutto il desiderio che Marta, la sua Marta, trionfi nei palcoscenici mondiali. Ho immaginato così che la notte del 10 dicembre del 1936, dopo aver annunciato al pubblico del Plymouth Theatre, a Broadway, dove stava recitando, che Luigi Pirandello era morto a Roma a causa di una polmonite, ecco, che quella notte Marta Abba si fosse ritrovata sola con i suoi fantasmi, con i personaggi che Pirandello aveva scritto per lei dal 1926 e con alcune delle lettere che lui le aveva dedicato.

La regia è di Arturo Armone Caruso, con il quale hai già collaborato: su quali basi si fonda la vostra intesa artistica?
Con Arturo Armone Caruso collaboriamo da alcuni anni. Lui aveva inizialmente tradotto in francese un altro mio testo, Doll is mine, che poi è stato rappresentato, con la sua regia, per un mese intero in un teatro di Parigi. Questo è il quarto mio testo che Arturo mette in scena. Lui ha un amore assoluto per la parola e la composizione drammaturgica. Non gli interessa stupire con effetti speciali, quello che lo anima è lo spirito di conoscenza, il desiderio di far luce e spazio tra le parole. Con “Non domandarmi di me, Marta mia” (interprete Elena Arvigo, musiche originali di Maria Fausta Rizzo), ha creato un magnifico notturno, un’opera delicata e raffinata.

Cosa indicheresti come elemento di attualità nella relazione tra Marta e Luigi?
Marta Abba è stata la prima capocomica italiana. Aveva solo 29 anni. Pirandello ha scoperto la sua genialità quando lei ne aveva 26 anni. Sono convinta che non siano stati amanti, che la loro relazione sia durata dieci anni proprio perché non si è messo di mezzo il corpo (ma solo il desiderio). Pirandello era in grado di capire il talento delle donne, e i suoi personaggi femminili scritti per lei sono portatori di una rivoluzione culturale, di un azzardo immaginifico.

Katia Ippaso drammaturga, conduttrice radiofonica, giornalista, saggista, critica e storica del teatro… in quale specifica ti senti più a tuo agio?
Pratico come posso le forme che la mia “voce di fuori” e la mia “voce di dentro” mi hanno dettato nel tempo, a seconda delle occasioni della vita. Sembro molto produttiva, in realtà sono una donna contemplativa che si sente bene solo nell’ascolto e nella restituzione di ciò che ha percepito, letto, osservato.

Se questi anni che stanno ribaltando il mondo ti hanno cambiata…  in che senso? E, banalmente, che progetti per il futuro hai maturato?
Come buddista, non credo in una visione cronologica del tempo, piuttosto sono convinta che, come dicono i nostri maestri, “ogni singolo istante di vita contenga tremila mondi”. Per il futuro, mi auguro di riuscire a tirar fuori dal mio mondo notturno e inconscio qualche altra operina che possa registrare il non visto e il non detto. Ho una sceneggiatura pronta. Sarebbe il primo film. Mi sembra quasi impossibile pensare di realizzarlo perché so che il cinema è strada impervia, macchinosa e costosa, ma credo che potrebbe diventare, accanto al mio unico romanzo (Nell’ora che è d’oro, editore LABm ambientato a New York), la mia opera più completa, che si pone l’obiettivo di scavare in una Roma notturna, randagia e sonnambula.

All’interno del festival Avamposti, Katia Ippaso terrà un master di scrittura drammaturgica. Come verrà articolato?
Ho intenzione di portare con me l’ultima lettera scritta da Pirandello e di confrontare stile e intenzioni con l’ultima lettera che, molto tempo, prima, gli scrisse Marta Abba. Vorrei mostrare come alcuni dati piccoli possono trasformarsi per via immaginativa. In fondo, ho costruito il mio notturno su una omissione (il fatto che Pirandello morente non parlasse della sua polmonite) e sulla restituzione di umanità a una donna che, se mi fossi attenuta alla letteralità dei suoi scritti, sembrava fredda e distante.

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