Prima di scoprire il contenuto di questo articolo, per rispetto di chi legge, avviso il lettore che sto parlando di persone che conosco e di realtà delle quali faccio parte, quindi preciso che il mio pensiero non vuole essere fazioso, ma scrivo di ciò che conosco per spiegare meglio il mio pensiero. 

Carmelo Rifici, col quale condivido un lungo e importante percorso umano e artistico, dopo la morte di Luca Ronconi, dirige la scuola fondata da Strelher, al Piccolo Teatro di Milano, finanziata dalla regione Lombardia, che a giungno del 2020 avrebbe diplomato 26 giovanissimi professionisti del teatro, dopo tre anni di studio matto e disperatissimo

Tutti sappiamo, ahimè a causa del Covid, le sorti di qualsiasi studente: lezioni on line, promozione più o meno agevolate e poi…via perché bisogna andare avanti.

Senza demonizzare il mondo on-line, che comunque dovremmo vivere con più cura e attenzione, l’insegnamento del teatro on-line dovrebbe limitarsi a lezioni di storia, di teoria o di scrittura, per necessità del caso e non perché ‘nni ncucchiunu (*vogliono inculcarci) che si tratta di una virtù del teatro contemporaneo; e lo so bene che tutto il mondo va nella direzione del digitale a tutti i costi, ma ricordiamoci che Pasolini quando parlava della televisione come di un mezzo evolutivo, ci ha fatto capire, con malinconia, che quel mezzo avrebbe abituato i suoi fruitori a desiderare un benessere basato sul concetto dell’avere, facendo perdere l’innocenza e lo stupore che quegli esseri umani ancora avevano.

Non potrebbe essere lo stesso con noi e con l’insegnamento da remoto?
Cosa dobbiamo perdere in cambio della modernezza

Finché godo mentre mi toccano il petto o le cosce, finché mi emoziona sentire il calore di chi mi abbraccia, e fino a quando respiro quell’odore di un corpo pronto a fare l’amore, e quella bocca umida sul collo, non me ne frega niente dell’on-line e non posso insegnare ad un giovane che il futuro del teatro è nella privazione del nostro corpo, perché è attraverso il corpo che si fa esperienza di vita; ditelo ad una madre che significa avere il neonato al seno, a un bambino chiedete come impara a non bruciarsi e a non cadere dalla bici, e fatemi vedere come ci si ricorda degli occhi di chi ti ha tradito, e come si potrebbe passare tutto questo ad un giovane? 

Noi abbiamo il dovere di insegnare che il teatro è parte della natura umana, non parte della storia dell’uomo, e sta qui l’idea rivoluzionaria e contemporanea: ritrovare un artigianato che forma grandi professionisti, aiutati dai mezzi di questo tempo, certamente, ma considerando che questo mestiere non può avere paura di utilizzare il proprio corpo perché l’ anima e il corpo sono l’equilibrio perfetto dell’universo.

Per restituire il tempo delle lezioni perse, Rifici ha fatto una scelta in totale contro tendenza: ha dato altro tempo ai suoi allievi, non gliel’ha fatto recuperare ma ha cercato di convertire le mancanze in occasioni. Per evitare di diplomarli alla spicciolata, tanto si troverebbero nel mercato del lavoro saturo, fermo e con tournée (quelle poche che ci saranno) già organizzate per il recupero delle date saltate, saranno ancora degli allievi ma da un punto di vista privilegiato: incontreranno i professionisti che stanno scrivendo la storia del teatro futuro e si confronteranno con loro in sezioni di lavoro che prevedono una restituzione scenica di un vero e proprio allestimento.

Dunque questi ragazzi si troveranno a fare pratica con professionisti, e il rapporto che instaureranno sarà di confronto e di creazione, sperimentando sul campo come diventare un artigiano del teatro, e forse questo è un modo ragionevole per dedicarsi realmente ai giovani: sono loro e il loro tempo fatto per essere vissuto qui e ora, corpo a corpo. 

Gli allievi della Scuola del Piccolo faranno, quindi, un quarto anno di approfondimento e di arricchimento professionale pensato per proteggerli da un mondo del lavoro che non avrà bisogno di giovani ma si organizzerà per far sopravvivere il più forte (che non sempre è il migliore). 

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