La cineasta Mia Hansen-Løve si era già messa in evidenza con Tout est pardonné, vincitore del Premio Louis-Delluc al Festival di Cannes e con la pellicola Il padre dei miei figli, vincitrice del premio speciale della giuria della sezione Un Certain Regard a Cannes. Nel 2016 ha vinto l’Orso d’argento per la miglior regia al Festival internazionale del cinema di Berlino per il lungometraggio Le cose che verranno.

Un bel mattino irrompe candidamente nella sala come un fulmine a ciel sereno e porta in campo il corpo, lo sguardo, il viso della bellissima Lea Seydoux.

Con la leggerezza e il rigore di Eric Rhomer, Mia Hansen-Løve muove i suoi personaggi ingenuamente inconsapevoli di ciò che gli aspetterà. La luce, il sole, le passeggiate di una Parigi mai così presente, che diventa quasi la protagonista del film, riempiono lo schermo. La vita è ciò che accade quando siamo impegnati in altro e così la protagonista viene attraversata da flussi continui: l’amore improvviso, la gestione del padre malato.

In fondo la vita si cristallizza in alcuni momenti, in attimi brevi e fuggevoli in cui si condensa, tutto il resto è rumore bianco, di sottofondo. Mia Hansen-Løve ci racconta che la vita non è altro che una continua fuga dal reale che spesso ci opprime, e la soluzione è tracciare una linea di fuga che permetta di sopportare ciò che non funziona, ciò che eccede il nostro corpo, la nostra mente, il nostro spirito. Un inassumibile che ci perseguita che ci accompagna ogni giorno.

La macchina da presa delinea il corpo e l’interiorità della protagonista con una sensibilità superba, le gioie e i dispiaceri sono lì davanti a noi, senza edulcorazioni.

Una pellicola che rilegge la Nouvelle Vague, che ci porta a toccare con mano gli eventi di tutti i giorni, piacevoli o meno, senza offrirci soluzioni di comodo al dolore e alla noia.

La bellezza della cineasta francese si manifesta nella noncuranza nel sottolineare e caricare emotivamente le situazioni, è come se la vita si offrisse fenomenologicamente e immediatamente senza filtri, quindi il tentativo di delinearla con colori aggiuntivi diventa alquanto inutile.

La cinepresa accumula esperienze senza tentare di delineare un percorso, una storia, e alla fine ci ritroviamo ad alzarci al mattino e a godere di un tiepido sole, tutto si riduce alla piacevolezza di quel momento, solo di quel momento, hic et nunc.

Condividi: