Non me voglia il maestro Franco Battiato, ovunque ora sia, ma i suoi versi dedicati alla cura, seppure in una fascinosa iperbole poetica, ho sempre pensato che fossero del tutto inappropriati a descriverla.  La cura non sta nel superare “le correnti gravitazionali” tantomeno “lo spazio e la luce…”. Una visione tuttavia che la dice lunga su come viene percepita e considerata: una difficoltà estrema, delle gesta eroiche. La cura invece è un gesto di quotidiana attenzione: è valore. Anche se a volte può non essere di facile applicazione.  

È un valore se ci prendiamo cura di una o più persone, del corpo e dell’anima. Lo è se lo facciamo nei confronti dell’ambiente, della natura del patrimonio artistico e culturale, della casa e anche delle parole con cui diamo forma e conosciamo il mondo esterno e interiore. Tanto che se andiamo a cercare il significato della parola cura sul dizionario troviamo due interpretazioni in cui si evidenziano una valutazione sociale e filosofica e l’altra strettamente tecnica connessa alla medicina:

  impegno assiduo e diligente nel perseguire un proposito o nel praticare un’attività, nel provvedere a qualcuno o a qualcosa; premura: dedicare ogni cura, alla famiglia, ai propri interessi. E ancora cure materne, cure affettuose; o anche aver cura del bestiame;

complesso dei mezzi terapeutici e delle prescrizioni mediche relative a determinate malattie o a stati morbosi generali. Come terapia: cura della tubercolosi, cura preventiva, profilassi.

La cura contiene in sé la fiducia

Ma in questo tempo, quello di una pandemia che ancora non riusciamo a gestire, non possiamo separarle. E non dobbiamo farlo perché la cura, intesa in quelle due accezioni, ha la capacità di contenere in sé cambiamento e fiducia nel miglioramento. È portatrice di speranza, ci fa sentire amati perché è di per sé amore verso l’altrǝ e attenzione anche alle cose e alle situazioni che non per forza ci riguardano da vicino. Il lungo lockdown che abbiamo vissuto avrebbe dovuto rappresentare un’importante occasione per fermarci a riflettere, rivalutando urgenze e priorità, anche per trovare soluzioni nuove. Ma a quanto pare gli atteggiamenti che si notano in questa strana estate, che ha in sé tutte le contraddizioni del comportamento umano di fronte alla paura e al bisogno di un ritorno alla normalità – se mai ce ne fosse una che possa essere definita tale per antonomasia – non sono certo dei migliori. E in merito un’idea in proposito sto tentando di farmela: quando siamo costretti dagli eventi ad affrontare qualcosa di nuovo, d’istinto siamo portati a usare solo le categorie di conoscenza a noi note ed esse diventano come àncora di salvezza. Mentre la scienza, la medicina fanno esattamente l’opposto: fanno nuove scoperte, ricercano nuovi approcci per trovare nuove soluzioni.  Di questo ha bisogno la cura: di nuovi approcci. Dedicare attenzione e tempo a chi ha bisogno di cura e di supporto non è affatto un atto scontato, ma può essere un atto naturale. Così come dovrebbe essere naturale non restare indifferenti di fronte al grave disagio psico-affettivo con il quale dobbiamo e dovremo continuare a fare i conti anche nel post Covid.

Lo studio di alcuni ricercatori
del Regno Unito

A questo proposito è allarmante lo studio pubblicato sul Journal of American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, nei giovani tra i 10 e i 25 anni, dal titolo l’impatto dell’isolamento sociale e della solitudine sulla salute mentale di bambini e adolescenti nel contesto di COVID-19, secondo il quale i suicidi, che già rappresentano la seconda causa di morte, sono aumentati del 20% durante l’isolamento sociale insieme alle forme di disagio psichico più diffuse, quali: depressione, ansia, disturbi dell’alimentazione, comportamenti autolesionistici, insonnia.

La cura medica in tempi di pandemia

Le difficoltà da affrontare in una pandemia di simili proporzioni sono innumerevoli e ancora non siamo attrezzati, mentre nella riscoperta del valore della cura possiamo trovare delle risposte adeguate. In questo anno e mezzo di malattia pandemica, la cura medica, seppure tra mille difficoltà, disfunzioni e falle di sistema, tutto sommato ha funzionato, soprattutto grazie alla straordinaria dedizione del personale sanitario che ovviamente per motivi professionali conosce il valore della cura. Il Sars- Cov2 ci ha costretto a trattare la socializzazione (anch’essa è una forma di cura) come un lusso, forse anche perché ancora non si ha ben chiaro quale cura medica possa essere davvero efficace, seppure il vaccino stia facendo la sua parte c’è ancora molto da fare e da scoprire. Ma per questo c’è la Scienza.

Mentre ora è tempo di reagire, di guarire le ferite, riappropriandosi della bellezza della cura. Non solo dentro gli ospedali, ma di un’intera comunità quella del nostro prossimo e dell’habitat in cui si inserisce. Per affrontare adeguatamente, vita e pandemia, forse diventa fondamentale apprendere il sapere e le pratiche della cura: curiosità, pazienza, generosità, tolleranza, accuratezza, tenerezza, ottimismo. Parole che hanno valore non solo in termini medici ma anche esistenziali. Prendersi cura, interessarsi, significa partecipare emotivamente alle sorti di qualcuno. Lo hanno dimostrato all’ospedale Le Molinette di Torino dove il personale medico e infermieristico ha osservato come la possibilità di vedere fisicamente i propri cari durante il ricovero avesse aumentato le percentuali di guarigione e ridotto i tempi di degenza.

Perché la cura è la capacità di prendersi a cuore il prossimo e le cose, è l’interesse psico-affettivo, è intelligenza emotiva coinvolta ma lucida. Non sono prassi difficili, anzi è una lezione che impariamo sin dalla nascita al punto che, parafrasando la Genesi, potremmo dire all’inizio era la cura. Se non lo faremo allora non avremo capito che, se non vogliamo ridurla solo a dato biologico, non c’è vita senza cura. Anche quando l’attuale emergenza sanitaria sarà terminata.

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