In questa splendida graphic novel tratta dal libro di Valentina Stecchi Lidia (edita da People, 2023), si entra nella vita di Lidia Menapace facendo avvicinare le nuove generazioni alle sue lotte fatte di resistenza, femminismo, di lotta non violenta e di socialismo.

Lidia Menapace, la sua storia

Lidia Menapace, come raccontò in un libro di memorie e in interviste, ha spesso rischiato la vita come membro della Resistenza clandestina italiana, combattendo le forze fasciste tedesche e italiane nella seconda guerra mondiale. E come quelli di molte partigiane, i suoi contributi furono svalutati dagli uomini.

Da giovane, Lidia Brisca pedalava in bicicletta per recapitare messaggi ai partigiani, stanziati nelle campagne dell’alto Piemonte dove era nata. Il quotidiano La Repubblica ha detto che doveva memorizzare messaggi in codice. Durante la guerra i partigiani combatterono sia i fascisti del regime di Benito Mussolini che le truppe di occupazione tedesche.

Successivamente, al seguito del marito Eugenio Menapace, originario della provincia settentrionale del Trentino, si stabilì nella zona alpina italiana e si impegnò nella politica del dopoguerra. È stata la prima donna ad essere eletta nella legislatura provinciale di Bolzano, altra provincia alpina.

Suo padre fu mandato nei campi di concentramento nel 1943 per aver rifiutato di sottomettersi all’autorità della Repubblica di Salò, il neonato stato fantoccio nazista nel nord Italia. Sopravvisse e fu liberato due anni dopo. In sua assenza, la figlia si era unita alla Resistenza a 19 anni.

Lidia Menapace

Mentre studiava lettere all’Università Cattolica di Milano, Menapace consegnava messaggi ai soldati antifascisti. Ha scortato uomini ebrei in fuga fino al confine svizzero e ha organizzato le evasioni. Conservava bombe e copie di un giornale della Resistenza nel seminterrato della sua famiglia. Ha passato messaggi segreti ai prigionieri politici in prigione.

Non appena i combattimenti finirono, chiarì che non era impegnata in una guerra ma che stava lottando contro l’oppressione – e che da quel momento in poi si sarebbe opposta a ogni tipo di guerra.

“Se non ci fossero state le donne”, disse una volta, “non ci sarebbe stata la Resistenza”.

Nella scuola elementare di Mussolini gli insegnanti le insegnavano ad esaltare il regime, la monarchia e la chiesa. Ma a casa, la madre le disse di stracciare le pagelle scolastiche che la classificavano come membro della razza ariana perché, disse alla figlia,

“non siamo animali”.

La giovane Lidia capì subito l’ingiustizia delle nuove leggi razziali del regime, che vietavano ai suoi due amici ebrei di andare a scuola.

Ha denunciato gli sforzi per cancellare il ruolo svolto dalle donne come partigiane.

“I capi della Resistenza preferivano che il loro potere e la loro leadership non fossero condivisi con le donne”, ha scritto. “Hanno preso tutto”: credito, potere e memoria storica.”

Si laureò nel 1945 e lavorò all’università come docente, ma perse il lavoro dopo aver espresso posizioni marxiste.

“Volevamo vivere, e vivere in pace”, ha scritto nel suo libro di memorie del 2014, “Io, Partigiana: La Mia Resistenza”.

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