In genere quando si pensa a un viaggio in Spagna si è sempre concentrati sulle bellezze delle sue città o delle sue isole, e non ci si sofferma quasi mai a descrivere i meravigliosi paesaggi dell’entroterra.

Grazie ad un mio recente viaggio nella dehesa dell’Andalusia, per un progetto promosso dal World Wildlife Fund (WWF), International Livestock Research Institute (ILRI), Food and Agricolture Organisation (FAO), United Nations Environment Programme (UNEP), International Union fo Conservation of Nature (IUCN), con lo scopo di mappare e documentare, attraverso un atlante tematico dedicato a 14 casi di realtà ambientali esemplari nel mondo, il sistema agro-silvo-pastorale delle dehesa iberica, ho capito l’importanza delle sue estese aree di pascolo per l’ecosistema e la biodiversità.

Percorrere l’Andalusia, infatti, significa soprattutto attraversare il vasto territorio delle dehesa, un paesaggio unico al mondo in cui regna un’armonia ambientale tale da essere considerato un patrimonio culturale e naturale.

La dehesa, che si caratterizza per un paesaggio suggestivo, ricco di grandi panorami scenografici, può essere considerata come un ecosistema artificiale, realizzato grazie all’intervento umano che ha trasformato i terreni boschivi (el bosque humanizado), poco adatti alla coltivazione e all’agricoltura, in terreni adatti per l’agricoltura e l’allevamento sostenibili. La dehesa sfrutta terreni economicamente marginali, in cui vi è scarsa presenza di insediamenti industriali, ma soprattutto limitata qualità del suolo, creando realtà isolate in cui si sviluppano piccole aziende agroalimentari che, nella penisola iberica, rivestono una grande importanza socio-economica in quanto offrono a chi vi risiede un’alternativa all’emigrazione e favoriscono l’integrazione dell’esigenza di salvaguardare territorio con le giuste aspettative di soddisfazione economica dei contadini locali. L’intervento dell’uomo viene realizzato, quindi, con l’obiettivo principale di conservare la natura, combinando pratiche di sviluppo sostenibile con quelle di sviluppo ecologico del paesaggio.

Nella dehesa il disboscamento, attuato in modo selettivo, ha creato ecosistemi unici, in cui la foresta mediterranea si è trasformata in immensi pascoli per animali, primo fra tutti il maiale iberico. È per questo motivo che l’Andalusia è una delle regione iberiche nelle quali riveste uno spazio essenziale la produzione del Jamón Ibérico de Bellota.

La dehesa riproduce un ambiente boschivo mediterraneo: oltre che per i prati erbosi, ricavati mediante il diradamento degli alberi e la contemporanea pulizia del sottobosco, dove il bestiame può pascolare liberamente allo stato brado, si contraddistingue per la presenza di specie arboree della famiglia delle querce, come il leccio e il sughero, che producono il tipico frutto saporito, ricco di nutrienti quale appunto la ghianda o bellotas, e di altre specie come il pino e il faggio.

Sebbene le ghiande fossero da sempre usate come mangime per vari allevamenti, è soprattutto con l’allevamento del maiale iberico che questo mangime produce gli effetti più apprezzabili in quanto a qualità e gusto delle carni.

Affinando le varie tecniche di allevamento si giunse a stabilire che non era necessario nutrire il maiale con le ghiande per tutta la sua vita, ma solo nel periodo in cui l’animale rinnova completamente il suo grasso. Questo avviene in un arco temporale di tre mesi che coincide con gli ultimi mesi della sua esistenza. Il periodo in cui i maiali vengono portati nella dehesa, detto montanera, tipicamente compreso tra i primi di novembre e la fine di gennaio, stagione in cui cadono le ghiande, si caratterizza come quello durante il quale l’animale si nutre allo stato brado, ingrassando grazie al nutrimento delle ghiande, mentre il continuo esercizio fisico dovuto agli spostamenti negli ampi spazi della dehasa alla ricerca delle ghiande, contribuisce a migliorare la distribuzione del grasso intramuscolare.

La gestione della dehesa, quindi, pur facendo ricorso alle possibilità offerte dalle nuove tecnologia applicate all’agricoltura e all’allevamento, nella sostanza segue metodi tradizionali, che permettono la produzione e commercializzazione di tanti prodotti rigorosamente biologici e sostenibili. Infatti all’allevamento dei maiali iberici e del bestiame, composto esclusivamente da razze indigene, si affianca quello di pecore e capre, che oltretutto forniscono carne e lana, e la raccolta del legno di sughero. Inoltre, la presenza di milioni di api, allevate nei tanti alveari che popolano la riserva, forniscono un miele molto aromatico.

Durante questo viaggio mi è capitato di sentire diverse volte una frase, pronunciata da chi con grande passione lavora per la valorizzazione della dehasa, che esprime  un fondato timore sul futuro di questa realtà ambientale che per le sue particolari caratteristiche va salvaguardata ad ogni costo: “Si dà valore solo a ciò che si vede e si conosce. Ciò che non si vede, non esiste”. Questo timore nasce dalla consapevolezza oggi abbastanza diffusa che il processo di antropizzazione a cui è sottoposta la dehesa iberica possa produrre in futuro dei cambiamenti degli attuali equilibri ambientali i cui effetti stravolgenti risulteranno del tutto visibili quando  sarà difficile porvi rimedio.

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