Sembra un racconto di fantasia: ottobre 2021, i titoli dei giornali annunciano la COP26 a Glasgow, ed ormai, la notizia che si sta per tenere il più importante congresso internazionale per combattere la micidiale crisi climatica l’hanno assimilata anche le pietre, soprattutto quelle che si beccano i getti d’acqua pressurizzati del fracking. Ma come si è arrivatə a questo punto? Chi ha lanciato l’allarme per il riscaldamento globale, come e quando i governi hanno deciso di affrontarlo, e soprattutto, che cosa hanno ottenuto?

Era il lontano 1856 e la scienziata americana Eunice Newton Foote è la prima persona a fare esperimenti sui gas serra, e capisce che l’aumento della CO2 nell’atmosfera causato dall’uso dei combustibili fossili provocherà un aumento delle temperature globali, ma un po’ perché era un’idea nuova e un po’ di più perché era una donna nessuno sembrava darle retta.

Passano gli anni: nel 1896 il premio Nobel per la chimica Arrhenius dà una prima stima quantitativa del riscaldamento causato, ma questa previsione rimane un modello teorico fino al 1958, quando l’osservatorio di Mauna Loa, Hawaii, inizia a raccogliere dati sulla concentrazione di CO2 nell’atmosfera.
Ormai il nesso tra combustibili fossili, anidride carbonica, e riscaldamento globale è evidente, ma il modello di Arrhenius è troppo vago, e nel mondo reale, quello della politica, ancora non succede nulla.

Nel mondo della fantasia invece si è in piena guerra fredda, dilaga la paura per un olocausto atomico, e di conseguenza diventa immaginabile l’idea che gli uomini possano influenzare l’equilibrio naturale del pianeta. Quando nel 1967 il futuro premio Nobel per la fisica Manabe e il suo studente Wetherald pubblicano un accurato modello climatico l’opinione pubblica è finalmente pronta, e queste fondate paure filtrano dal mondo della fantasia a quello reale.

Nel 1968 la Svezia propone alle Nazioni Unite di fare un incontro per discutere su come gestire a livello globale le interazioni tra uomo e ambiente. Così, mentre alla radio John Lennon canta World hold on/ It’s gonna be alright/ You’re gonna see the light, nel mondo reale inizia la prima conferenza delle Nazioni Unite per affrontare i problemi ambientali, è il 1972.

Nonostante la tensione fra Russia e Stati Uniti domini il racconto internazionale di quegli anni, alla conferenza sono ben altri i conflitti che emergono: da una parte i paesi in via di sviluppo dell’epoca, tra i quali Cina, Perù, Pakistan, e Cile, criticano fortemente le politiche coloniali degli Stati Uniti e dei suoi alleati nel mondo. Le accuse sono tanto dure da far rimpiangere al segretario degli interni americano i confronti con la Russia! Dall’altra il gruppo di Brussel, di cui oltre agli Stati Uniti facevano parte Francia, Italia, Inghilterra, e Germania dell’ovest, cerca tramite accordi segreti di indebolire i risultati della conferenza per preservare i propri interessi economici, anche a scapito dei paesi in via di sviluppo. Il conflitto di interessi tra i paesi industriali e il resto del mondo è evidente anche nell’organizzazione della conferenza: il segretario generale dell’incontro, che dovrebbe avere un ruolo neutrale di mediatore, è Maurice Strong, un imprenditore canadese attivo nel settore minerario e petrolifero.

Il risultato dell’incontro è in linea con le critiche mosse spesso alla politica dal mondo dell’attivismo e della scienza, e sintetizzate recentemente da Greta Thunberg come “Bla, bla, bla”: tante chiacchiere e pochi fatti.
Alla fine delle trattative nasce l’UNEP, il programma ambientale dell’ONU, con sede a Nairobi, Kenya, e pochi poteri effettivi, e viene firmata la dichiarazione di Stoccolma, i cui 27 principi, tanto belli quanto disattesi, guideranno l’inazione climatica da quel momento a venire. I primi punti affermano:
1) I diritti umani devono essere affermati, l’apartheid e il colonialismo condannati
2) Le risorse naturali vanno salvaguardate
3) La capacità della Terra di produrre risorse rinnovabili deve essere mantenuta
4) La fauna selvatica deve essere salvaguardata
5) Le risorse non rinnovabili devono essere condivise e non esaurite
6) L’inquinamento non deve superare la capacità dell’ambiente di auto-pulirsi

Con una dichiarazione del genere potremmo sperare in un finale in cui tutti iniziarono a collaborare e vissero tutti felici e contenti, ma nel mondo reale le favole che si raccontano hanno raramente un bel finale.
Siamo nel 1972, alla radio John Lennon canta “And when you’re one/ Really one/ Well you get things done”, e per fare davvero qualcosa di buono tutti insieme c’è ancora una lunga storia da raccontare. Passeremo attraverso la favola del Protocollo di Kyoto, le tortuose COP, fino alle ultime manifestazioni imminenti, quelle per il G20 a Roma e per la COP26 a Glasgow, in cui un’altra volta fantasia e realtà si scontreranno, fra strade e palazzi di vetro, per raccontare il rapporto fra essere umano e l’ambiente.

Se volete scrivere un pezzo di queste storie, e contaminare la realtà con un tocco di utopia, prendete cartone e pennarelli, scrivete la vostra speranza allegra, il vostro grande desiderio, che vorreste regalare a questo mondo e a tutti gli animali che lo abitano, ed aggiungetelo alla ricchezza e alla diversità che il prossimo sabato percorrererà le strade di Roma. Vi aspettiamo in piazzale Ostiense a Roma il 30 ottobre per la Giornata nazionale di mobilitazione VOI G20, NOI IL FUTURO.

di Andrea Drago per conto di Valeria Belardelli

Condividi: