Nel testo di John Welwood Amore perfetto, relazioni imperfette si affronta uno dei temi più complessi della nostra condizione esistenziale: l’amore.

L’amore è un assoluto: credo che difficilmente se ne possa rintracciare un altro. Forse la morte, ma, mentre la morte potrebbe essere opinata, potrebbe essere puro fenomeno e non essenza, non vi è niente nel darsi della vita che non attraversi l’amore.

Amore è principio, forza generativa: sarà forse per questo, mi domando, che tutti ne abbiamo un così disperato bisogno?

Anche il più efferato degli uomini
cerca amore

Proprio nel testo di John Welwood, l’amore viene identificato come principio motore del nostro agire nel mondo. Si nasce, ci racconta lo psicologo statunitense, cullati da un amore perfetto: quell’amore che la madre dona al figlio nei primi giorni di vita, quell’amore assoluto di cui ci si nutre e attraverso il quale si cresce.

Questo sentimento non necessita di essere chiesto ma è un cerchio che ci avvolge e ci sovrasta. In questa esperienza dell’amore materno l’essere animale-umano incontra e fa conoscenza con l’amore perfetto; quello da cui non ci si deve difendere, quello di cui non si ha motivo di temere né di mettere mai in dubbio. La prima cosa che – in genere – l’essere animale-umano conosce è quindi l’amore inteso come mancanza radicale di disgiunzione tra un io e un tu.

Ed esso è uno stato di benessere assoluto, totale, che non si disgrega, che non è né minacciato né minaccioso, ma solo flusso di bene infinito che irradia ogni poro della pelle del nostro io. Un io che non è gettato nell’universo ma accompagnato, coccolato, cullato dalla presenza di un tu in un atto generativo che consegna a un noi.

Ma, poi, ogni essere animale-umano è appunto fallibile, ha i suoi buchi, limiti, infiltrazioni di male che non gli permettono di continuare a nutrire in maniera assoluta ed indistinta un altro essere. Sarà forse perché l’uomo appunto non è assoluto, può accedere all’assoluto, ma solo in maniera parziale.

Accade dunque, nel momento in cui la dedicazione assoluta del genitore madre viene a mancare o si affievolisce, che quell’io consolidatosi nell’amore perfetto inizia il suo cammino di disgregazione. Ogni figlio è quindi oggetto di ferite inevitabili che levigano sicurezze creando delle risacche nel nostro io che ci porteremo appresso per tutta la vita. Queste lacerazioni saranno quella inattendibile bussola che ci impedirà di orientarci in maniera sana nelle relazioni che ci attenderanno nella nostra vita.

Ogni relazione si fonda sull’amore, ma se l’amore è appunto qualcosa di perfetto da potersi intendere come un assoluto, l’idea, il principio da cui si origina ogni forma di vita, le relazioni invece sono sempre qualcosa di imperfetto. Ma perché? Perché, soprattutto tra esseri animali-umani, non riusciamo in alcun modo a celebrare nei nostri rapporti l’assolutezza dell’amore perfetto?

Afferma John Welwood:

“Non ci sono persone cattive, ma solo persone amate male”.

Non vi nascondo che, nonostante mi occupi da anni di relazione come tema centrale del mio percorso filosofico, le relazioni umane, soprattutto quelle sentimentali ed amorose, restano il mio più grande dubbio e quesito.

Come è possibile che l’amore finisca?

Seguendo il vettore della scienza, fisiologicamente quello che viene emanato dal nostro organismo – l’ossitocina, detta anche l’ormone dell’amore – nei primi mesi o anche anni in cui intratteniamo una relazione ad un certo punto smette di essere alimentato. A quel punto, sempre secondo la scienza, decade la fase dell’innamoramento. E allora una relazione è pronta a finire.

In antitesi a ciò che la scienza vuole spingerci a credere, secondo il ragionamento di John Welwood, la nostra incapacità di stare nella relazione non deriva dalla mancanza di ossitocina quanto dalla nostra paura di non essere davvero amati; ciò che al principio era amore perfetto finisce per decadere nella relazione imperfetta giacché emergono i nostri buchi e i nostri timori.

Siamo animali-umani rotti, tutti siamo rotti ed è per questo che ci affidiamo alla menzognera bussola delle nostre paure, rinchiusi in un labirinto di dubbi che ci imprigionano rendendoci sterili. Pertanto, non è solo una questione ormonale che ci spinge ad intessere una relazione profonda con qualcuno, a desiderare di condividere una vita insieme, ma un intimo bisogno dell’essere umano di amare e di sentirsi amato, di vivere nell’amore. E per amore intendo quell’amore romantico che non ci fa più sentire soli.

Certo, anche l’amicizia è un sentimento profondo ed importante, ma in essa non si passa attraverso la comune condivisione e conoscenza di quell’amore perfetto che ci ha nutriti e condotti al mondo. La potenza quindi dell’amore romantico sta proprio in questa esperienza condivisa di assoluto, e, una volta che si è vissuta la perfezione, la bellezza, il calore, insieme a qualcuno, che lo si è condiviso nelle profondità dell’anima e del corpo come si può smettere di amare? Perché?

Avete mai vissuto un’esperienza così profonda con qualcuno? Vi siete mai immersi e persi ritrovandovi in una carne che non è la vostra, avete mai danzato con un corpo che restituiva armonia al vostro? Come può finire tutto questo? Come possiamo scegliere di abbandonare chi con noi, chi attraverso di noi ci ha fatto fare esperienza di assoluto?

L’assoluto non può scomparire e non si può aprire una finestra sul mondo così intensa solo perché abbiamo uno scarico di ossitocina in corpo. L’amore ci parla di un oltre senza il quale non si può vivere. Eppure, poi si vive, no, anzi, non si vive, si sopravvive.

Secondo John Welwood non si può fare esperienza d’amore con l’altro se prima non si è fatta esperienza dell’amore per sé stessi. Io sarò ancora ingenua, un’inguaribile romantica (come direbbe Vasco Rossi), ma non credo sia possibile toccare con le dita l’immensità del cielo se non accompagnati dall’altro. È la disgiunzione dal sé che ci permette di entrare a contatto con l’assoluto.

Ma, se da un lato non condivido l’autonomia amorosa che egli suggerisce, sono invece convinta che in questo testo si tocchi un punto fondamentale: sono i nostri meccanismi di difesa, le nostre paure, le nostre questioni non risolte che rendono le relazioni imperfette. È proprio questa incapacità di fondo di aprirci all’altro che ci impedisce di vivere nell’amore assoluto, trasformando la relazione in un gioco di forza che la intossica e che ci trascina senza alcun pudore dalle vette di un cielo stellato all’abisso più profondo. Siamo sempre noi che prima ci diamo e poi ci neghiamo, sottraendo a noi stessi l’unica possibilità di salvezza in questa vita: l’amore.  

Perché, proprio come ci suggerisce Margareth Mazzantini in uno dei suoi romanzi: Nessuno si salva da solo.

Condividi: