Continua la nostra intervista a Mario Cristiani per capire gli esordi del suo approccio all’arte (qui la prima parte). I suoi pensieri si incendiano quando gli chiediamo quando nasce la sua attenzione al sociale.

È lì che ci rivela che nella facoltà di Scienze Politiche, che frequentava da giovane, aveva avuto modo di seguire corsi di sociologia del lavoro e, tra i vari argomenti trattati, era stato sedotto da una tipologia di impresa che avesse responsabilità sociali e culturali, sul modello di Adriano Olivetti.

La militanza politica con i Verdi alla Regione Toscana, che consisteva anche in un attivismo ispirato a Ghandi e alle pratiche della non violenza, avevano fatto il resto e generato in lui un forte impegno democratico, trasferito solo in un secondo momento in ambito artistico. A questo punto Mario, che fino ad allora si dedicava quattro giorni alla politica e tre all’arte, o tre alla politica e quattro all’arte, a seconda delle necessità, cominciò a seguire un’agenda diversa.

“Avevo avuto l’investitura all’assemblea dei Verdi di Pienza nel 1994 per diventare Assessore alla Cultura della provincia di Siena, quando ho lasciato. Fu la morte di Luciano Pistoi che mi spinse verso l’arte, la vidi come un segno a cui non potevo sottrarmi. Cercai quindi il modo di portare avanti il percorso politico e della non violenza in maniera più pratica e diretta, lavorando a tempo pieno per l’Associazione e la Galleria, lasciando però gli incarichi politici ed istituzionali. Cercavo la sintesi per provare a dar vita, procedendo dal lato privato, ad una trasformazione sociale ed economica nel rispetto delle amministrazioni pubbliche, dell’individuo e della comunità. Del resto, per mia esperienza e formazione, sono sempre stato un uomo di mezzo tra queste istanze tutte necessarie alla possibilità di generare la “Città del Futuro”, rivela.

Reponsabilità sociale, etica e culturale

Cristiani provava a seguire in altri termini l’ispirazione di quello che era già stato il proposito di Adriano Olivetti, antesignano del concetto di responsabilità sociale, etica e culturale d’impresa. Accettare la condizione di imprenditore, infatti, per Cristiani era possibile solo se considerata a braccetto con una visione che avesse ricadute di quel tipo. Anche il concetto di libertà individuale per Cristiani è centrale, e confessa:

“L’artista rappresenta la libertà. L’artista è la libertà, per cui, sostenere la sua arte, significa difendere la libertà di tutti”,

lasciando trapelare con queste poche battute i tratti di un uomo dalle idee chiare, interessato a tentare una ridefinizione dell’arte nella comunità contemporanea.

Periferia e città, qui agisce Arte all’Arte

Mario, ci spieghi la tua visione di Rinascimento moderno e il rapporto che esiste tra periferia e città, su cui agisce espressamente Arte all’Arte?
Io sono molto ancorato all’idea di Rinascimento: penso che gli artisti invitati da tutte le culture del mondo possano riconnettersi con l’origine del pensiero moderno espresso nelle opere degli artisti del Rinascimento, riuscendo in questo modo a superare l’idea di colonialismo o di colonizzazione. In questo modo vogliono dare vita alla generazione di “quei concetti visivi/opere d’arte” che, diffusi ed accessibili gratuitamente nel territorio, nel lungo periodo possano generare idee di rispetto per la fragilità della vita in generale e anche delle persone.

L’idea di ripartire dalla “campagna” per ripensare la città, uscendo dalla diade centro-periferia, vuole essere un modo per ripensare la città del futuro in un accordo più rispettoso e solidale tra città e campagna. Questa la modalità e la “missione” del suo lavoro
Credo che nella costruzione delle città di oggi ci sia, tra le altre cose, un problema lessicale” ritiene Mario Cristiani, “nel senso che, se ragioniamo in termini di centro e periferia, vuol dire che “il centro” è già stato costruito, e credo che sia anche per questo che oggi si fanno solo le periferie: è come se già nei termini si pensasse e si immaginasse di realizzare case, palazzi, strade e piazze “periferiche”. Che siano per ricchi o per poveri cambia poco, sempre periferie sono. Il punto su cui portare l’attenzione è quindi che ciò che la mia generazione lascerà a quella successiva come memoria del tempo, della libertà e della democrazia, saranno solo posti poco interessanti da veder e da godere, in sintesi una memoria pessima del nostro operato.

Dobbiamo fare meglio, così non va bene. Non dobbiamo rassegnarci a questo, chi l’ha detto che non è possibile un destino diverso a quello di periferia? Perché deve esserci una situazione che guida e un’altra senza autonomia e con poca immaginazione nello spazio fisico della vita quotidiana? Per questi motivi uso termini più classici come città e campagna, si tratta infatti di parole che si riferiscono a luoghi omogenei e misurabili negli stessi termini qualitativi. Non possono infatti avere gli stessi parametri di valutazione, sono due entità non omogenee. Città e campagna devono rappresentare due termini che hanno la loro autonomia: la città nasce come posto del diritto, della libertà e del teatro, la campagna deve avere la sua identità. Ed è da una differenziazione di questo rapporto che nascono i progetti dell’Associazione. La domanda è: Come si può costruire un percorso che ci porti fuori dal discorso di fare periferie sempre più brutte?”

Solo con pensieri di politica edificante, in cui la sintassi sociale si articola in discorsi di deontologia del luogo che riservano grande respiro a quei contesti extra urbani. Il linguaggio del territorio deve conservare il proprio senso e condurre ad un ribaltamento dell’agire moderno per ripensare l’hinterland come facente parte di un discorso per rigenerare la città.

È questo il senso del percorso da Arte all’Arte a Le Città del Futuro

Qual è il ruolo degli artisti coinvolti del progetto Arte all’Arte?
Portare gli artisti della comunità internazionale dell’arte, in questi piccoli paesi (della Toscana per la maggior parte) era anche un modo per far sentire i ragazzi del posto, i nostri coetanei o più giovani o più colti, parte di un mondo apparentemente lontano. Il nostro paesaggio è molto antropizzato, ma il punto di sintesi, per ridisegnare lo spazio urbano nel modo più interessante è fare un lavoro sinergico a partire dal coinvolgimento di artisti, architetti, filosofi, scienziati, paesaggisti, imprenditori aperti a sostenere attività sociali e culturali anche nelle piccole realtà. Sarà poi il filo che tesseranno gli artisti con le loro opere ad aprire questo scenario.

C’è un ruolo egemonico che hanno svolto certi artisti e che oggi ci spinge a cercare chi potrebbe tornare a farlo. Arte all’Arte è stato un tentativo di seminare nel territorio determinati concetti attraverso opere permanenti di arte contemporanea che facessero circolare idee ma anche connettere le piccole realtà al contesto dell’arte dei grandi musei internazionali. Artisti di quei livelli hanno una consapevolezza più alta e possono creare connessioni, rotture e riallacciare collegamenti virtuosi tra passato, presente e futuro.

Così, speravo e spero che le persone che fino ad allora non si erano interessate di arte, cominciassero a vivificare i loro interessi. Speravo, e spero, che ne nascesse e nasca una competizione per fare lavorare i più bravi a trasformare, con la loro opera, partendo dai posti più piccoli, quelle che oggi vengono chiamate città d’arte, innescando un circolo virtuoso da un circolo vizioso, che sia in grado di generare una competizione positiva volta a rendere i posti più belli, più visibili e godibili. Una “gara” a chi realizza il posto migliore a partire dal punto di vista degli artisti.

Questa è la parte non profit del mio lavoro, attraverso la quale trovare sinergie tra la parte privata e quella pubblica, un terreno in cui ognuno lascia indietro il suo diretto interesse personale e/o aziendale e lavora per un migliore futuro in comune.

L’idea di fondo consiste nell’aprire un dialogo tra gli artisti e i luoghi meno frequentati al fine di generare percorsi virtuosi nella collettività.

Oltre 25 opere delle 89 che furono realizzate sono state donate grazie alla generosità degli artisti e dall’Associazione alle città, e sono disseminate nel territorio come nuovi germogli di pensiero, arricchendo il bagaglio culturale dei borghi, dei cittadini, dei passanti e degli appassionati, restando visibili e accessibili gratuitamente per tutto l’anno.

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