Le proteste per la vicenda di Masha Amini hanno creato fermento nella comunità artistica e ci consentono di fare una riflessione sulla simbologia dei capelli e del loro taglio, soprattutto alla luce della mostra Unveiled che sarà prorogata fino a fine settembre.

Tra pochi giorni si celebrerà un triste anniversario: quello del fermo e della morte, registrata alcuni giorni dopo l’arresto, di Masha Amini, una ragazza curda di 22 anni in visita a Teheran con la famiglia, che nel settembre del 2022 fu fermata dalla polizia religiosa perché non indossava correttamente il velo islamico (l’hijab), come prescritto dalle leggi iraniane.

La morte, probabilmente a causa della violenza della polizia, ha provocato subito enormi proteste che si sono estese a tutto il Paese e oltre, coinvolgendo anche gli uomini, in nome di più diritti per le donne e di una maggiore libertà e uguaglianza per tutti. Molto è stato scritto a riguardo, anche su questa testata.

Ogni rivolta collettiva degna di questa denominazione necessita di un fattore scatenante, per il suo innesco, e di una potente rappresentazione visiva, per entrare nell’immaginario collettivo.

Se la distruzione e lo sfregio delle fotografie dei capi politici e/o leader religiosi è un gesto rituale, ampiamente e trasversalmente sfruttato (anche durante alcune proteste nelle nostre democrazie occidentali), sono le donne iraniane che, bruciando i foulard, passeggiando truccate e senza velo e, soprattutto, tagliandosi i capelli in segno di lutto, ad aver segnato in modo inequivocabile questa ribellione al potere costituito.

Il taglio simbolico dei capelli

Il gesto del taglio di una ciocca di capelli è stato replicato nelle piazze virtuali del mondo occidentale, finendo con l’incrociarsi anche a forme di protesta già in atto per i diritti delle donne ed alimentandosi attraverso le piattaforme social (ad esempio, con gli hashtag #MahasaAmini, #WomanLifeFreedom e #hairforfreedom, oltre ai numerosi video di solidarietà postati su YouTube).

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 Farnaz Damnabi / 29 ARTS IN PROGRESS gallery

L’arte non ha tardato a far sentire la propria voce. Oltre alle illustrazioni di Marjane Satrapi, autrice di Persepoli da tempo attiva sul fronte dei diritti, molte altre opere si possono trovare su Instagram (nella pagina Iranian women of graphic design ricca di manifesti e opere di design che sostengono il movimento).

I musei e gli artisti in favore
delle donne iraniane

Inoltre, in un ambito più istituzionale, vanno citate le azioni della Triennale Milano, del MAXXi di Roma e di varie gallerie per il mondo, insieme alle iniziative di nomi più illustri che hanno espresso la propria vicinanza alle vittime della violenza.

Ricordiamo Shirin Neshat, la cui opera è da sempre concentrata sulle costrizioni a cui è soggetta la popolazione del suo Paese di origine, il francese JR, che ha ricordato sui canali social il suo progetto Woman are heroes e scelto l’immagine di una bandiera fatta di capelli tagliati dell’artista belga Edith Dekyndtis.

La mostra Unveiled di Farnaz Damnabi

Nel tempo altri eventi hanno dato l’opportunità di conoscere l’attività di giovani artiste iraniane. Citiamo la mostra Unveiled della fotografa Farnaz Damnabi, presso la 29 Arts in progress gallery a Milano, inaugurata a fine maggio e prolungata fino al 30 settembre, grazie al grande successo ottenuto durante il periodo di apertura che ha riscosso un record di presenze e una notevole attenzione mediatica internazionale.

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 Farnaz Damnabi / 29 ARTS IN PROGRESS gallery

L’esposizione è costituita da una selezione di fotografie che raccontano l’identità femminile iraniana. Unveiled svela la femminilità iraniana nella routine di donne, madri e lavoratrici ignorate da una società patriarcale, con tutti i problemi collegati alla mancanza dell’uguaglianza e della libertà.

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 Farnaz Damnabi / 29 ARTS IN PROGRESS gallery

Ma i capelli, e la loro manipolazione, da sempre hanno assunto un ruolo simbolico ed espressivo. Se nella cultura e tradizione dei popoli mediterranei i capelli sono stati spesso velati proprio in quanto simbolo di forza e sensualità, dalla seconda metà del Novecento in poi, nel mondo occidentale sulla via dell’emancipazione, sono stati utilizzati come espressione di protesta rispetto all’ordine costituito (basti pensare ai ciuffi alla Presley, alle chiome lunghe e incolte degli hippie, alle creste punk, alle acconciature afro, ai dreadlocks da rasta, fino alle ciocche dipinte con colori candy e fluo).

Oltre alla moda e alla cultura, i capelli hanno assunto un ruolo performativo anche nell’arte. Un esempio tra tutti: i capelli che separano e che uniscono Marina Abramovic e Ulay in Relation in time (del 1977), simbolo di un legame/costrizione tra due sagome che non si vedono e non si parlano, di spalle uno rispetto all’altra, enfatizzando l’unione e l’incomunicabilità tra i due.

Anche l’atto simbolico del taglio dei capelli fa parte del linguaggio artistico e diventa testimone assoluto in un’opera che descrive una cesura completa rispetto al passato, su un piano più strettamente sentimentale e privato.

Frida Kahlo e la rinuncia ai suoi capelli

Nel 1940, dopo il divorzio da Diego Rivera, Frida Kahlo dipinge un autoritratto completamente diverso da tutti gli altri. Frida rinuncia agli amati abiti femminili Tehuana (di cui Diego è ossessionato) e veste un abito maschile scuro e oversize (forse dello stesso Diego).

Inoltre Frida Kahlo ha tagliato i suoi lunghi capelli e li tiene nella mano sinistra. Seduta su una sedia, ha intorno a sé uno spazio vuoto, privo di profondità, circondata solo dalle ciocche che ha tagliato e che sembrano animate di vita propria.

Il testo di una canzone dipinta sopra questo ritratto recita: “Guarda, se ti ho amato è stato per i tuoi capelli, ora sei calva, non ti amo più”. L’opera si trova al MOMA di NY, nell’ala dedicata ai surrealisti.

La quasi totale mancanza di profondità (per l’assenza di ombre), i colori e il tratto ingenuo rendono la figura, seppur seduta, fluttuante nell’aria, mentre i capelli attorcigliati sembrano quasi animarsi, contorcendosi per terra.

Forse non assistiamo ad una scena reale, ma ad un sogno di Frida Kahlo, forse quello di un’indipendenza che nasce dal sacrificio dei suoi capelli e dalla rinuncia della sua femminilità.

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