Bob Geldof e The Vegetarians of Love: quando la musica diventa azione
Dal folk-rock intimo all’organizzazione di Live Aid: la lezione di un musicista che ha cambiato la storia. Bob Geldof e "The Vegetarians of Love"

Dal folk-rock intimo all’organizzazione di Live Aid: la lezione di un musicista che ha cambiato la storia. Bob Geldof e "The Vegetarians of Love"

C’è un disco di Bob Geldof che porta un titolo curioso e ironico: The Vegetarians of Love. Era il 1990, e il frontman dei Boomtown Rats, dopo lo scioglimento della band e il successo travolgente del singolo solista This Is the World Calling, pubblicava il suo secondo album da solista.
Non un’opera qualunque, ma un lavoro che mescolava folk, rock e suggestioni celtiche, in cui l’energia punk degli esordi lasciava spazio a una scrittura più matura, riflessiva, capace di farsi intima e corale allo stesso tempo. Con lui c’erano musicisti come Pete Briquette, David A. Stewart e produttori visionari come Rupert Hine.
Tra le tracce, spicca The Great Song of Indifference, un brano che entrò nelle classifiche britanniche e che, con il suo tono pungente e sferzante, restava fedele all’anima irriverente di Geldof. Altri episodi, come Love or Something o A Gospel Song, mostrano invece un lato più melodico e spirituale. The Vegetarians of Love non fu solo un album: era una dichiarazione, un viaggio dentro un mondo musicale libero da etichette, fatto di strumenti acustici, fisarmoniche, violini, organi e persino utensili da cucina trasformati in percussioni.
Ma parlare di Bob Geldof significa inevitabilmente andare oltre la musica registrata. Perché se il mondo ancora oggi ricorda il suo nome, è soprattutto per un gesto che ha cambiato la storia: il Live Aid del 1985.
Insieme a Midge Ure, Geldof organizzò il più grande concerto benefico mai realizzato, trasmesso in mondovisione da Londra e Philadelphia, con Queen, U2, David Bowie, Elton John, Led Zeppelin e decine di altri artisti sul palco. Un evento che raccolse fondi contro la carestia in Etiopia e dimostrò, per la prima volta su scala planetaria, che la musica poteva essere più di intrattenimento: poteva farsi azione concreta, politica, vita.
Prima ancora, con Do They Know It’s Christmas?, aveva messo insieme Band Aid, un super-gruppo nato per beneficenza. E vent’anni dopo, nel 2005, con Live 8 riportò sul palco il sogno di una musica capace di smuovere coscienze, questa volta contro il debito dei Paesi poveri. Non a caso fu candidato al Nobel per la Pace.
Oggi, Bob Geldof ha superato i settant’anni e continua a muoversi tra scrittura, conferenze e qualche ritorno con i Boomtown Rats, che nel 2020 hanno pubblicato un nuovo album. Non ha mai smesso di parlare, di provocare, di difendere cause sociali e ambientali. Non è soltanto un musicista, ma un esempio raro di artista che ha saputo coniugare creatività e organizzazione, palco e impegno civile.
Ed è qui che il parallelismo con i musicisti contemporanei diventa inevitabile. Nel mercato attuale, spesso dominato da algoritmi, numeri e carriere bruciate in fretta, manca proprio quella capacità di “pensare oltre sé stessi” che ha reso grande una figura come Geldof. Essere musicisti oggi non dovrebbe voler dire soltanto pubblicare dischi o accumulare follower, ma imparare a costruire progetti, reti, idee che abbiano un impatto più ampio. Non per forza salvare il mondo, ma almeno immaginare che la musica possa incidere sulla realtà, e non solo consumarsi nell’effimero.
The Vegetarians of Love resta una tappa importante di un artista che non si è mai accontentato di fare musica per sé stesso. Ed è un invito, ancora oggi, a non fermarsi alla superficie. Perché, in fondo, la vera lezione di Bob Geldof è che un brano, un album, o un concerto possono cambiare non solo la vita di chi ascolta, ma anche il destino di chi ha più bisogno.
Buona Musica!
