A metà del 1975 la stragrande maggioranza dei giovani inglesi professava un’unica fede musicale: quella nel progressive rock. Genesis, Yes e affini: le lunghe suite strumentali, il patto di ferro tra il rock e la musica classica, temi e parole che affondavano le radici nei miti celtici.

Era questa la nuova veste scelta dal rock dopo la grazia degli anni ’60 e la caduta della prima parte del decennio. Un’astronave elettrica e barocca sulla quale in pochissimi non erano saliti.

Un sacerdote venuto dalla Giamaica

Ma quel presente fatto di fughe strumentali e oniriche fu sostituito in sole due notti da un altro sogno collettivo e da un altro viaggio. Da un rito magico, officiato da un giovane sacerdote che proveniva da Trenchtown, Giamaica, l’ex periferia del Regno. Perché il 17 e il 18 luglio del 1975 il canto di Bob Marley prese il rock, gli tolse ogni certezza e lo condusse su altre strade.

In quel pomeriggio di luglio una sola cosa era sicura: che non si era mai vista gente così strana nel cuore di Londra, all’esterno del Lyceum Ballroom uno dei teatri più belli della capitale inglese. Tremila giamaicani perfettamente mescolati ai ragazzi inglesi, arrivati lì per ascoltare quello che consideravano il loro padre spirituale.

Quasi nessuno ha il biglietto, ma tutti vogliono assistere. La polizia si oppone ma nulla da fare: due porte vengono divelte e la folla può entrare liberamente. Assisterà a un concerto memorabile, registrato con lo studio mobile dei Rolling Stones. Bob Marley è al suo zenit.

Ha appena pubblicato Natty Dread, il disco che lo consacra come star internazionale. L’atmosfera di quella sera è inspiegabile. Dennis Morris, fotografo di scena, la sintetizzerà cosi: “quella sera tutti i presenti hanno deciso che sarebbero diventati dei rasta”.

Lively Up Yoursel e No Woman No Cry trasportano il pubblico e la musica popolare in altri territori: esotici, incontaminati. Il rock riscopre il sacro, diventa l’accesso a un libero paradiso nel cuore dell’Occidente che troverà proprio in Inghilterra i suoi discepoli: senza l’impatto di quel concerto i Clash, i Police e decine di altri gruppi non sarebbero semplicemente esistiti.

La magia di Bob Marley

E non si trattò solo di portare il verbo del reggae all’Occidente. Perché in quei due concerti Bob Marley sembra quasi lasciare in seconda fila la propria storia e le proprie origini. Riesce, ed è qui la magia, a ricoprire le sue canzoni di una nuova patina: che da diario di viaggio di un ribelle si trasformano in un canto ecumenico.

E lo fa proprio in quelle due notti di Londra. Da un lato si affida all’elettricità, contamina tutto il suono della sua band con l’insegnamento del rock degli ultimi vent’anni. E dall’altro mette in scena un infinito call & response con le I-Threes, le sue coriste, secondo i dettami del soul.

E non si tratta di un’addizione, ma di pura alchimia: Bob Marley riesce ad estrarre dai generi musicali che attraversa tutti gli elementi che suonano messianici. Li assorbe e li immette in un tessuto musicale del tutto nuovo.

Il rock prende come proprio oggetto il futuro dell’uomo, ristabilisce il suo essere il mezzo migliore per arrivare alla Terra Promessa. Senza ingenuità, dogmi o canoni. La Redemption Music, veicolo di liberazione, inizia a Londra in quel giorno di luglio.

L’album Live! che qui vi ripropongo renderà quelle due notti di musica eterne.

Condividi: